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Lug 7, 2025 Scritto da 
Croce e Vuoto

Prodigi “esteri” e presunzione che rende ottusi

E gli elogi assodati?

(Mt 11,20-24)

 

La nuova traduzione CEI puntualizza che quello di Gesù non è il Volto di un Dio capriccioso, manipolatore.

Chi s’introduce in un cammino di sequela in Cristo fa esperienza non di “miracoli” [a lotteria o a territorio], bensì di «Prodigi» (vv.20-21.23), Meraviglie dello Spirito che opera nel mondo e per tutti.

Una mia cugina monaca di clausura [un tempo strettissima e di fatto preconciliare - ora più equilibrata] mi diceva:

«Avevamo un tipo di vita così chiuso e severo che vedevamo gli Angeli per forza».

Un parossismo visionario infondato, o che abusava delle forze dei semplici - di palliativa autoguarigione, e solo compensatorio; che svicola dal presente e non prepara il futuro.

 

C’è chi guarda il Signore con gli occhi del passato, o con quelli di una visione del mondo preconcetta, teorica e sofisticata, irreale.

Solo il principio d’Incarnazione [che ci mette a soqquadro] dilata gli orizzonti anche carismatici - e dona respiro.

Qui nel concreto, nessuno ha bisogno di rimodulare le strettoie dell’anima, rifugiandosi nel misticismo fai-da-te.

La nostra Oasi è paradossale, e sta nelle passioni radicali; nel concerto della loro fioritura che germina in un crescendo, e non vuole spegnersi.

Perché - sebbene più crudo del “film” omologato cui assistiamo fuori di noi - è il mondo interno che pulsa, ricco di interessi.

Allora la quintessenza inaridita vuole spaccare la superficie dei condizionamenti.

Essa parla di un presente che non ci nutre più: troppo nella testa, troppo epidermico e distante, incompleto; senza valore aggiunto.

Mentre nello Spirito il cuore desidera incessantemente cambiar colore. L’interno è poliedrico, e muove davvero.

Oppure il malessere tutto intimo scriverà se stesso nella ricerca della religiosità-spettacolo, nell’adesione a stendardi (anche à la page), o simili contentini.

 

Partendo non dalla consapevolezza delle proprie risorse e d’una vitalità cosmica, ma da saperi e discipline altrui - fortemente osservanti o astratte [antichissime o tutte future] - non abbiamo più i codici per interpretare il genio del tempo.

Coi paraocchi non si può valutare se stessi, né scoprire la trama di Dio nella storia, e neppure la dimensione non puramente terrena dei suoi Doni, ovunque straordinari - addirittura palesi nel loro portato.

Questa l’unica ricompensa della vocazione: un’altra Visione e intelligenza di sé e del mondo intero, che in ritmo crescente rigenera - fa rinascere nei modi meno assodati; non troppo direttivi.

Non è poco aver Fede nel regno a venire, invece di vederlo nero; e sobbarcarsi troppi doveri, con fatica artificiosa.

Attaccandosi così a fantasie o parossismi, vecchi ritmi sempre uguali o avanguardismi cerebrali (magari, nell’illusione che siano essi a guidarci o consolarci - anche nella rinascita dalla crisi globale).

Credere solo ai costumi o alle mode di pensiero e darli per scontati non evita quei meccanismi che fanno retrocedere.

Così ci si lascerebbe imbrigliare nei lacci, e guidare da calcoli; iniziare il cammino personale non dal proprio Nome - ma da qualche sintesi o scienza altrui.

E aderire a idoli di massa, venire ripetutamente a facile e più agiato compromesso coi costumi locali; così via.

 

L’autentico elogio è in noi, ed è solo del Signore.

Egli è l’Unico che si volge a «città» forse considerate nemiche e malvagie, tuttavia prive di quelle “solide” convinzioni che le bloccherebbero in un altro genere di perversione.

Di tali disturbi il nostro Nucleo si farebbe inesorabilmente carico - e tale radice diverrebbe mortifera.

Peggio di quella moralista che ancora circonda la vicenda spirituale - finora considerata il livello più importante.

In tal guisa, il malessere scritto dentro si riverserebbe ancora al di fuori, come su una lavagna.

Ciò capiterebbe anche dentro e fuori chi si crede ben munito, e ha la tendenza a non esprimersi sul serio.

Talora il fastidio e la ricerca dell’esteriore sono infatti espressione della necessità profonda di non voler sentire il contatto con le situazioni del mondo, il quale ci contesta, e mette in discussione.

 

Insomma, Dio è l’Unico che non pensa di capire tutto… senza cogliere nulla.

Sa che ogni (forse futuro) amico e “salvatore” del prossimo è un semplice liberato dalla schiavitù.

E noi per questo siamo pellegrini dell’Esodo. Non dei rifugiati nei totem che non mantengono motivazioni - né le promesse rimaste nel passato o nel futuro, grandiose o piccine che siano.

Assorti nella vita che nasce, ci lasciamo travolgere dall’energia germinale di tale Eros, sempre inedito.

Non affidiamo all’esterno - solo alle corazze - il benessere spirituale, e la nostra crescita.

 

Non siamo noi a condurre l’Amore.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

I segni di Gesù in te sviliscono e cadono nel vuoto?

La realtà in cui vivi ti ha salvato e costruito [ripescando te stesso] oppure omologato?

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".