(Gv 15,9-17)
Gesù si è appena servito dell’immagine della ‘vigna’ per configurare il carattere del nuovo popolo e la ‘circolazione di vita’ con chi crede in Lui.
L’allegoria della vite e dei tralci è ora tradotta in termini esistenziali.
La propagazione del dinamismo divino in noi dà il via a una corrente e comunicazione di amore. Movimento d’amore autentico: che Viene.
È un Flusso ininterrotto di rassomiglianze della condizione divina.
Sintonia trasparente dal valore generativo, portata dal Figlio: «come» e «per il fatto che» [ho amato voi] (v.12 testo greco).
Il Signore non chiede di “essere amato” [a partire da noi stessi, non saremmo affidabili], ma di ‘accogliere’ la modalità di Dio - il Dono che discende dal Padre e da Lui.
La Gioia che ne sgorga non sarà d’euforia o esaltazione: è frutto d’una consapevolezza che coniuga la divina proposta di ‘somiglianza non possessiva’ con la nostra capacità di fare spazio dentro.
E in tale intercapedine, incontrare i nostri lati profondi - non il distaccarci dal Nucleo, per diventare esterni.
Permanendo nella circolazione d’amore Padre-Figlio siamo avvolti da una Felicità personale.
Essa intuisce il senso e l'unicità del nostro ‘seme’ e senza sforzo cambia il modo di vedere la vita, le sofferenze, le relazioni, e la Gioia.
«Nessuno ha amore più grande di questo: che uno deponga la propria vita per i suoi amici» (v.13).
Differenza tra religiosità e Fede? L’Amicizia, ch’è più forte sia di alchimie cerebrali che del volontarismo.
L’Amico condivide intenti, coltiva comunione di vita.
Il «servo» (v.15) resta inaffidabile e rancoroso, perché semplice esecutore di ordini altrui - i quali non riguardano le irriducibili ‘radici’ nascoste, la Sorgente cui il cuore attinge e che gli appartiene (v.16).
Così l’Amico fidato è lieto non solo quando si realizza in prima persona, ma anche quando può dilatare e rallegrare la vita del suo diletto. Egli ben volentieri si spodesta dal primo seggio in favore dell’amato.
Gv non parla di amore ai nemici come fa Mt 5 nel Discorso della Montagna, ma insiste sull’amore vicendevole [interno alla comunità dei credenti] come relazione con la stessa vita divina.
Qui si nota un cruccio particolare verso le singole persone e il clima fra amici di Fede, i quali devono prima essi stessi rovesciare le posizioni di privilegio - e incarnare lo spirito di disinteresse e verità che predicano agli altri.
In tal guisa, il Signore non ci chiede “frutti” [ovvero molteplici opere esteriori, spesso venate da esibizionismo] bensì ‘una’ sola opera: l’Amore senza doppiezze, remore, forzature, dissociazioni.
Nella singolare e inedita personalizzazione del «Frutto» (v.16), Cristo non rimane un Modello da imitare, bensì una Vita reale che continua in noi.
Unico tigre nel motore; invitando e ospitando dentro il mistero dell’Eros fondante, che dilata l’Io nel Tu:
Nell’Amicizia, nei sentimenti opposti che affiorano, nella crescente unità di pensiero e di aspirazioni; nelle persone che si avvicinano, nella comunione del desiderio e delle circostanze… le volontà si accomunano.
In tale Empatia divino-umana [più persuasiva del volontarismo] i codici di comportamento, o il progetto estrinseco, condizionato, estraneo, cui (prima) piegarsi, ora tessono un dialogo; infine si uniscono - per Nome.
Ecco l’accendersi e il riversarsi della Comunione, su un alto terreno d’intesa; senza conflitti celati. Con mente larga, che valica l’ossessione dei disagi e dei confronti.
Con mente amniotica, in grado di partorire novità senza servaggio.
Insomma, nell’Ideale come nel Sogno preferiamo l’Amicizia.
E percorriamo la Via della Fede nel Crocifisso - quella del «Frutto» autentico e felice: dello ‘smacco e squilibrio d’amore’.
[S. Mattia, 14 maggio]