Corpus Domini
(Lc 9,11b-17)
Il Vaticano II non ha speso una sola parola riguardo le molteplici devozioni eucaristiche.
Per farci comprendere appieno la Persona del Cristo, i padri conciliari avevano ben presente che Gesù non ha lasciato una statua o una reliquia.
Ha preferito esprimersi in un gesto, che ci interpella.
Nel mondo ebraico, di sera ogni famiglia si ritrovava attorno alla mensa, e quello dello spezzare il pane era il momento più significativo della loro esperienza di convivialità (e di memoria della consegna di sé agli altri).
L’unico pane veniva frazionato e condiviso fra tutti i famigliari - ma anche un povero affamato poteva affacciarsi all’uscio, che non doveva venire serrato.
Pane e vino, prodotti che avevano assimilato le energie del cielo e della terra, erano percepiti con sensibilità spirituale - doni del Creatore per la vita e la gioia dell’umanità.
In quella cultura, il pane è cibo base. Ma la nostra vita è completa solo se c’è anche l’elemento della festa: ecco il vino.
Il pane ancora oggi non viene tagliato con un coltello, per rispettarne la sacralità: solo spezzato. Esso contiene l’esistere concreto.
Per questo Gesù sceglie il Banchetto come segno della sua Persona, vita, parola, vicenda rischiosa, donate in alimento.
Durante la cena in famiglia, pane e vino non venivano percepiti al pari della manna, ossia come prodotti naturali e grezzi. Neppure era un nutrirsi per ricuperare le forze, e basta.
Nel frumento e nell’uva si erano dati appuntamento anche tutti i variegati contributi del focolare domestico.
Attorno alla mensa, ciascun uomo vedeva nel pane e nel vino il frutto del suo lavoro: pulitura del terreno, aratura, seminagione, mietitura, potature, vendemmia e opera di torchio.
La donna coglieva nel pane il suo lavoro di macinatura, impastatura, cottura. Anche i minori potevano ricordare qualcosa di proprio, perché i ragazzetti si prestavano ad attingere acqua.
La cena era una celebrazione dell’armonia. La mensa era appunto un luogo in cui i giovani venivano educati alla percezione dell’esistere nell’unità, invece che nel disinteresse.
Gratitudine verso i doni di Dio e percezione del proprio apporto, che giunge (realmente) all’obiettivo nello spirito di sinergia e comunione.
Contributi, risorse e capacità convenivano a porgersi in servizio, per la vita di tutti.
Nel gesto eucaristico Gesù dice: cieli e terra nuovi non corrispondono al mondo in cui ciascuno si affretta a mietere per sé o la sua cerchia, onde accaparrarsi il massimo delle risorse.
Il suo Regno? Tutti invitati e fratelli concordi, nessuno padrone o dominatore - destinato a stare davanti o sopra (anche se più svelto degli altri) persino in Cielo.
Anche gli Apostoli - chiamati da Gesù con sé ma ancora rimasti a distanza di sicurezza da Lui (cf. Lc 9,10.12) - non sono i proprietari del Pane, bensì coloro che lo devono porgere a tutti (vv.13.16), per creare abbondanza dov’essa non c’è.
Nel brano di Lc Gesù suscita sconcerto. Non è d’accordo con l’idea che ciascuno s’arrangi; neppure gli va a genio l’elemosina (vv.12-13).
Impone ai suoi che la folla si sdrai (v.14 testo greco) come facevano i signori e le persone libere nei momenti solenni.
Vuole e insiste che siano anzitutto gli apostoli a servire (vv.13.16), non altri schiavi.
E forse la cosa più sbalorditiva è che a nessuno dei presenti impone gesti preventivi di purificazione, com’era abitudine nella religiosità tradizionale.
Prima del pasto essa postulava l’abluzione: una sorta di cerimonia che sottolineasse un distacco sacrale fra puro e impuro.
Unico compito degli apostoli è quello di distribuire l’Alimento - poi da sminuzzare, vagliare e assimilare, per edificare un nuovo Regno - non fare radiografie preventive; tantomeno interessate.
In religione abbiamo una lunga trafila di adempimenti da osservare per presentarci a cospetto di Dio.
Nel cammino di Fede è l’incontro gratuito col Signore che fa crescere, rendendoci puri senza condizioni.
Appello alla Convivialità reale, e Richiamo sempreverde a non accontentarsi.