(Mt 1,18-24)
Matteo 1:19 Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.
Quando si legge questo versetto, ognuno si sente autorizzato a entrare nella mente di Giuseppe, prenderne il posto e riflettere nel testo i propri pensieri, le proprie congetture, le proprie fantasie.
Giuseppe è qui definito "uomo giusto", dikaios; e in questo versetto si esprime il dramma di Giuseppe, è il dramma di ogni giusto. A cosa allude esattamente questa giustizia? Certamente non al fatto che egli ha deciso tra sé di non esporre Maria a un qualche giudizio, con possibili conseguenze tragiche per lei; né al fatto di volerla ripudiare segretamente, dato che Giuseppe era già “giusto” prima che accadessero queste cose. Il "giusto", biblicamente, è colui che mette in pratica fedelmente la Torah. La religione ebraica, infatti, è la religione dell'ortoprassi, la corretta esecuzione di ciò che Dio comanda, senza voler prima comprendere. Il comandamento di Dio è una volontà che va soltanto eseguita. Giusto è colui, quindi, che sa conformarsi ed eseguire fedelmente quanto la Torah comanda. Eppure in questo caso Giuseppe non applica la Torah, la quale richiederebbe il ripudio, il divorzio, e l’eventuale lapidazione.
Allora in che senso Giuseppe è giusto? Secondo una interpretazione, "giusto" dovrebbe essere inteso nel senso di "buono": Giuseppe ha dei sospetti, ma è un uomo "buono", ha un "cuore buono", non farà una sceneggiata e si separerà da Maria in silenzio. Ma dikaios non ha mai il significato di "buono".
In realtà, "giusto" deve avere il senso tipico di Matteo, cioè accettazione del piano di Dio per quanto sconcertante possa essere. Giuseppe essendo uomo giusto, dall’altezza della sua giustizia pensa solo il bene, ma non al suo bene, bensì a quello di Maria. E qual è il bene per Maria? È quello di non ripudiarla con atto pubblico. Questo avrebbe esposto Maria come minimo al ludibrio della gente. Il bene, dunque, consiste nell’uscire in punta di piedi, in silenzio, dalla vita di Maria. Questo significa "licenziarla in segreto". Lui si sarebbe ritirato senza che nessuno sapesse niente. L’uomo "giusto" è colui che si ritira rispettosamente davanti all’intervento di Dio.
“Non voleva ripudiarla”, traduce il verbo greco “deigmatìsai”, un verbo molto raro. Per cui si trovano traduzioni e interpretazioni divergenti: "non voleva esporla ad infamia"; "non voleva infamare pubblicamente"; "non voleva esporla al pubblico ludibrio", tutte versioni che sembrano implicare che Giuseppe considerasse Maria colpevole.
La questione è di sapere se questo raro verbo greco deve avere un significato peggiorativo o no. In uno dei suoi scritti, lo storico della chiesa Eusebio di Cesarea osserva che “deigmatisai” significa semplicemente: "far conoscere", "portare alla luce". Una cosa che non è conosciuta e che viene in seguito rivelata può essere buona o cattiva, edificante o vergognosa; ma la parola in sé significa "esporre, o proporre come esempio", "apparire", "mostrare". Quindi Giuseppe non vuole esporre il fatto, non vuole farlo apparire, non vuole mostrarlo pubblicamente.
“Decise di licenziarla” traduce il greco “apolysai”, che rimanda al senso di «liberare», «sciogliere», «prosciogliere». Quindi può significare semplicemente «lasciar libero», «lasciar andare», ma può avere anche il senso di «sciogliere, rompere i legami matrimoniali». Potrebbe dunque – secondo alcuni – significare «ripudiare», «divorziare». In questo caso bisognerebbe interpretarlo come se Giuseppe volesse consegnare a Maria un attestato di ripudio da sottoporre al tribunale in vista di ottenere il divorzio. Ma questa è un’interpretazione secondo la linea dura. Tecnicamente parlando, la parola può significare «divorziare» soltanto con una certa forzatura. Ma siccome il divorzio è un atto pubblico, fatto davanti a dei testimoni, e qui il verbo è accompagnato dall’avverbio “lathra” ("segretamente, occultamente"), un atto pubblico non si può fare in segreto.
Traduzione alternativa: "Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva esporla, decise di separarsi da lei in segreto". Se noi leggiamo il versetto in questa prospettiva, esso cambia completamente tono. Giuseppe non poteva dire in pubblico ciò che Maria gli aveva rivelato in confidenza, doveva conservarlo nel suo cuore come un segreto prezioso. Ma lui, cosa doveva fare? Pieno di timore religioso davanti al mistero che si è compiuto in Maria sua sposa, Giuseppe non vede in questo momento nessun’altra via d’uscita che quella di ritirarsi discretamente. Dunque l’idea stessa di una denuncia svanisce completamente. L’ottica è radicalmente rovesciata. Pieno di rispetto per Maria, nella quale lo Spirito Santo aveva realizzato cose così grandi, Giuseppe è pronto a cederla totalmente a Dio.
Altre interpretazioni partono da presupposti del tipo che Giuseppe non fosse stato informato del concepimento verginale di Maria. Essendo giusto, non poteva in coscienza convivere con una peccatrice, in contrasto con la legge del Signore. È questa l’ipotesi tradizionale, ma che non tiene conto dell’intento cristologico e non storiografico dell’evangelista. Quindi due direzioni opposte sono possibili nell’interpretazione: una severa e un’altra più moderata, che lascia aperta la via a una spiegazione favorevole.
Dobbiamo aprirci a qualcosa di molto più grande di quanto noi possiamo immaginare. Lo stesso concepimento verginale di Maria deve essere vissuto da ogni credente, cioè l'essere disposti ad accogliere qualcosa di infinito. Solo così possiamo ricevere il dono di Dio. Perché Maria ha concepito il Verbo di Dio? Semplicemente perché essendo umile, sapendo di non meritarlo, non dice: non lo merito e quindi lo rifiuto; ma essendo umile dice: lo ricevo come dono.
L’umile desidera Dio, mentre l’orgoglioso desidera qualche cosa che può fare lui. Paradossalmente sarebbe l’orgoglioso ad essere giusto perché conosce i suoi limiti, i suoi doveri, i suoi obblighi; visto che è giusto si ferma lì: Io mi conosco, so qual è il mio limite e mi fermo. E Giuseppe fa questo ragionamento. Questa cosa è troppo grande per me, non è per me, quindi resto fuori dal dono di Dio. Sarebbe come se vai a lavorare un’ora e ti danno cinque milioni; dici: no, non è giusto. Così è della grazia: richiede umiltà per accettarla.
Pensiamo se Maria, quando l’angelo le disse “il Signore è con te, tu concepirai un figlio”, Maria avesse risposto: forse ti stai sbagliando, io non sono degna, vai da un'altra. Noi diciamo spesso così! Vuol dire che la Parola non è radicata in noi, per questo nostro senso di indegnità che non viene da Dio. Dio non dà il senso di indegnità, dà il senso di umiltà e ci accoglie affinché noi possiamo accogliere il dono. Quindi si entra nel vangelo con questa apertura d’animo ad accogliere l’impossibile, perché il dono che Dio ci dà è impossibile, è Sé stesso.
Argentino Quintavalle, autore dei libri
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