Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Francesco nella sua giovane esistenza aveva incontrato la compassione paterna e materna del Signore.
Dopo una vita trascorsa in allegre brigate e un po’ dissoluta, fu folgorato dal Padre delle Misericordie o, come lui lo chiamava, dal Grande Elemosiniere.
Toccato dalla Grazia, dopo il suo evidente cambiamento di mentalità, dinanzi al Crocifisso di San Damiano gli fu rivelata la sua vocazione-missione.
Rinunciò a tutto, perfino al padre terreno, per essere libero di andare dove il Padre che è nei cieli lo inviava.
Lo spreco degli anni giovanili lo tradusse in generosità senza limiti verso lebbrosi e poveri.
L’Abbraccio benedicente dell’Onnipotente gli aveva impresso una più solida e preziosa caratura umana e spirituale.
Pianse per tutta la vita i suoi peccati, pensando alla Passione di Gesù Cristo, morto e risorto per tutti i figli perduti.
Nelle Fonti (‘Vita seconda’ del suo biografo Celano) troviamo un passo commovente:
"Una volta venne a conoscenza che un frate ammalato aveva desiderio di mangiare un po’ d’uva. Lo accompagnò in una vigna e, sedutosi sotto una vite, per infondergli coraggio, cominciò egli stesso a mangiare per primo" (FF 762).
La misericordia per i mali altrui è fondamento francescano nel cammino spirituale.
E ancora:
"Soleva dire che è dovere del superiore, padre e non tiranno, prevenire l’occasione della colpa e non permettere che cada chi poi difficilmente potrebbe rialzarsi, una volta caduto.
Oh, quanto è degna di compassione la nostra stoltezza!
Non soltanto non rialziamo o sosteniamo i deboli, ma a volte li spingiamo a cadere.
Giudichiamo di nessuna importanza sottrarre al Sommo Pastore una pecorella, per la quale sulla Croce gettò un forte grido con lacrime.
Ma ben diversamente tu, padre santo, preferivi emendare gli erranti e non perderli!
[…] l’olio ed il vino, la verga e il bastone, lo zelo e l’indulgenza, la bruciatura e l’unzione, il carcere ed il grembo materno, ogni cosa ha il suo tempo.
Tutto ciò richiede il Dio delle vendette e il Padre delle misericordie: però preferisce la misericordia al sacrificio" (FF 763).
La stessa Chiara, madre amorevole, aveva ricevuto un cuore generoso e pieno di compassione, specie verso le sorelle bisognose.
Le Fonti, attraverso la Regola, attestano che come guida della comunità, la Prima Pianta di Francesco non si faceva imprigionare dalla legge, ma su tutto regnava l’inconfondibile Carità.
Leggiamo infatti:
"[L’abbadessa] consoli le afflitte. Sia ancora l’ultimo rifugio delle tribolate perché, se mancassero presso di lei i rimedi di salute, non abbia a prevalere nelle inferme il morbo della disperazione" (FF 2778).
Francesco e Chiara trasformati dalla Misericordia del Padre fecero tesoro del dono ricevuto riversandolo gratuitamente su tutte le creature. Mai ingabbiati dalla inamovibilità dei codici, furono testimoni di quella singolare accoglienza che recupera chi ha sbagliato e lo reintroduce nella vita nuova dei risorti.
«…Dov’è misericordia e discrezione,
ivi non è superfluità né durezza» (FF 177).
«Mentre ancora era lontano, lo vide suo padre, ebbe compassione, e correndo cadde al suo collo e lo strabaciò» (Lc 15,20)
Domenica 4a di Quaresima (C) (Lc 15,1-3.11-32)
Nella parabola del fariseo e pubblicano Gesù evangelizza quanti presumevano di essere giusti, disprezzando gli altri.
Francesco si sentì sempre un nulla davanti a Dio sprofondando nella sua umiltà come il seme nella terra.
Temeva la superbia al pari della peste e la detestava profondamente.
Apparire, mostrare, insuperbire, erano verbi con cui non volle mai allacciare alcun legame: li aborriva.
Leggiamo nella Vita prima del Celano:
"Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti, desiderava conoscere […] che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati.
A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera.
Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo:
«O Dio, sii propizio a me peccatore!»” (FF 363).
Temeva ogni forma di vanto e sfoggio di opere; ripugnava il sentirsi a posto e ogni genere di superbia.
Nella Regola bollata (1223) ai suoi frati diceva:
«Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cure e preoccupazioni di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione» (FF 103).
Nella Regola di Chiara, al comma 2809 delle Fonti, ritroviamo la stessa enunciazione - come ad evidenziare la medesima preoccupazione: mantenere le distanze da ogni forma di vanagloria.
Francesco (e pure Chiara) si percepiva grande peccatore, alla stregua del pubblicano del Vangelo, che non osava alzare neppure lo sguardo verso il cielo.
L’umiltà e la consapevolezza della propria penuria lo conducevano ad assumere un profilo molto basso, senza gloriarsi di nulla, né davanti a Dio né davanti agli uomini.
Infatti, nelle sue Ammonizioni, leggiamo:
«Beato quel servo il quale non si inorgoglisce per il bene che il Signore dice e opera per mezzo di lui, più per il bene che dice e opera per mezzo di un altro. Pecca l’uomo che vuol ricevere dal suo prossimo più di quanto non vuole dare di sé al Signore Dio» (FF 166).
E ancora:
«A questo segno si può riconoscere il servo di Dio, se ha lo Spirito del Signore: se, quando il Signore compie, per mezzo di lui, qualcosa di buono, la sua «carne» non se ne inorgoglisce - poiché la «carne» è sempre contraria ad ogni bene -, ma piuttosto si ritiene ancora vile ai propri occhi e si stima più piccolo di tutti gli altri uomini» (FF 161).
«O Dio, sii benigno con me peccatore […] perché chiunque s’innalza sarà abbassato, ma chi invece si abbassa sarà innalzato» (Lc 18,13-14)
Sabato 3a sett. Quaresima (Lc 18,9-14)
Agli scribi che chiedono qual è il comandamento grande Gesù risponde in modo spiazzante: Ascolta! Amare Dio e il prossimo con tutto se stessi vale più di mille sacrifici!
Allo scriba, che aveva compreso tutto questo, Gesù evidenzia che non è lontano dal Regno di Dio.
Il Povero Assisano aveva le idee ben chiare sulle priorità da dare nel cammino spirituale.
Per lui l’amore a Dio con tutte le fibre del suo essere, e al prossimo, era una dolcissima verità scolpita nel cuore a lettere di fuoco.
Nel merito ci assistono le Fonti, ricche di episodi di vita.
"L’anima era tutta assetata del suo Cristo e a Lui si offriva interamente nel corpo e nello spirito […]
Cercava sempre un luogo appartato, dove potersi unire non solo con lo spirito, ma con le singole membra, al suo Dio.
E se all’improvviso si sentiva visitato dal Signore, per non rimanere senza cella, se ne faceva una piccola col mantello.
E se a volte era privo di questo, ricopriva il volto con la manica, per non svelare la manna nascosta […]
Spesso, senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé e, concentrando all’interno le potenze esteriori, si alzava con lo spirito al cielo.
In tale modo dirigeva tutta la mente e l’affetto a quell’unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente" (FF 681-682).
Altresì, fin dagli inizi della sua conversione, l’amore ai fratelli, la compassione per le loro sofferenze e bisogni, erano motivo conduttore dei suoi gesti.
"Prese con sé molto denaro e si recò all’ospizio dei lebbrosi; li riunì e distribuì a ciascuno l’elemosina, baciandogli la mano.
Nel ritorno, il contatto che dianzi gli riusciva repellente, quel vedere cioè e toccare dei lebbrosi, gli si trasformò veramente in dolcezza […] per Grazia di Dio diventò compagno e amico dei lebbrosi così che, come afferma nel suo Testamento, stava in mezzo a loro e li serviva umilmente" (FF 1408).
Chiara, fedele discepola di Francesco, faceva la medesima cosa fra le mura damianite, pronta sempre a servire amorevolmente le sorelle della sua comunità e quanti bussavano alla porta del Monastero.
"Lavava lei stessa i sedili delle inferme, li detergeva proprio lei, con quel suo nobile animo, senza rifuggire dalle sozzure né schifare il fetore" (FF 3181).
"Molto spesso lavava i piedi delle servigiali che tornavano da fuori e, lavatili, li baciava" (FF 3182).
Amare il Signore con tutte le forze e il prossimo come se stessi vale più degli olocausti; i due Giganti assisani lo avevano ben compreso, testimoniandolo a tutti.
«E amerai il Signore Dio tuo da tutto il tuo cuore e da tutta la tua vita e da tutta la tua mente e da tutta la tua forza […] Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mc 12,30-31)
Venerdì 3.a sett. Quaresima (Mc 12,28b-34)
In questo brano del Vangelo di Luca Gesù scaccia un demonio da un uomo muto che, liberato, comincia a parlare. Subito alcuni lo accusano di farlo in nome del principe dei demoni. Ma Gesù attesta di agire mediante il Dito di Dio, per opera di Dio.
Come Gesù, così Francesco ebbe tentazioni e fu grandemente provato dal demonio.
Ma il Dito di Dio, lo Spirito Santo, vinse in lui ogni battaglia, estendendo il Regno dei cieli nei cuori.
Al pari di Francesco, anche Chiara incontrò prove in tal senso da cui, per la Grazia di Dio, uscì sempre immune, perché non divisa, ma totalmente unita a Cristo.
Le Fonti sono portavoci eloquenti, di grande verità esistenziale. Guardiamo cosa ci dicono nel merito.
“In quei luoghi doveva lottare corpo a corpo col demonio, che l’affrontava per spaventarlo non solo con tentazioni interiori, ma anche esteriormente con strepiti e rovine.
Ma Francesco, da fortissimo soldato di Cristo, ben sapendo che il suo Signore poteva tutto dovunque, non si lasciava per nulla intimorire, ma ripeteva in cuor suo:
«Non puoi, o maligno, scatenare contro di me le armi della tua malizia, in questi luoghi più di quanto mi faresti se fossimo tra la folla» (FF 446).
E un frate, che da tempo veniva molestato dagli assalti del demonio e in pianto ai piedi di Francesco, fu da lui liberato:
“Il Padre ne sentì pietà, e comprendendo che era tormentato da istigazioni maligne:
«Io vi ordino, o demoni, - esclamò - in virtù di Dio di non tormentare più d’ora in avanti il mio fratello, come avete osato finora».
Subito si dissipò quel buio tenebroso, il frate si alzò libero e non sentì più alcun tormento, come se ne fosse sempre stato esente” (FF 697).
Altresì Chiara fu più volte attaccata dal nemico.
“Mentre una volta piangeva, in piena notte, le apparve l’angelo delle tenebre in forma di nero fanciullo, e così la ammonì: Non piangere tanto, perché diventerai cieca!
Ma, rispondendogli lei subito: «Non sarà cieco chi vedrà Dio», confuso si allontanò” (FF 3198).
E nella prima lettera alla sua figlia spirituale, Agnese di Boemia, Chiara stessa si esprime in tal guisa:
«L’uomo coperto di vestiti non può pretendere di lottare con un ignudo, perché è più presto gettato a terra chi offre una presa all’avversario» (FF 1867).
I servi di Dio, nella loro semplicità, hanno le idee chiare, perché guidati dal Dito di Dio - e non mollano la Vocazione autentica.
«Ma se con il Dito di Dio io scaccio i demoni, quindi è arrivato per voi il Regno di Dio» (Lc 11,20)
Giovedì 3.a sett. Quaresima (Lc 11,14-23)
Nel brano di Vangelo oggi proposto, Gesù proclama di essere venuto per dare pieno compimento alla Legge.
Quindi non per demolire o trasgredire la Parola, ma osservarla amando.
L’amore è il vero compimento della Legge del Signore, che è perfetta e rinfranca l’anima.
Francesco lo aveva ben compreso vivendo e insegnando alla sua fraternità a fare altrettanto.
Le Fonti forniscono, attraverso vari tasselli, preziosi esempi di vita. Nella Lettera ai reggitori dei popoli:
«Vi supplico […] con tutta la riverenza di cui sono capace, di non dimenticare il Signore, assorbiti come siete dalle cure e preoccupazioni di questo mondo, e di non deviare dai suoi comandamenti, poiché tutti coloro che dimenticano il Signore e si allontanano dai comandamenti di lui, sono maledetti e saranno dimenticati da lui» (FF 211).
Al tempo stesso, il Poverello, con quell’equilibrio ed elasticità che lo contraddistingueva, sottolinea:
«E ogniqualvolta sopravvenga la necessità, sia consentito a tutti i frati, ovunque si trovino, di prendere tutti i cibi che gli uomini possono mangiare, così come il Signore dice di David, il quale mangiò i pani dell’offerta che non era permesso mangiare se non ai sacerdoti […] Similmente, ancora, in tempo di manifesta necessità tutti i frati provvedano per le cose loro necessarie così come il Signore darà loro la grazia, poiché la necessità non ha legge» (FF 33).
Secondo il pensiero di Francesco, ciò che danneggia l’amore è la detrazione. Infatti, nella Leggenda maggiore, leggiamo:
"Il vizio della detrazione, nemico radicale della pietà e della grazia, lo aveva in orrore come il morso del serpente e come la più dannosa pestilenza […]
«La cattiveria dei detrattori - diceva - è tanto maggiore di quella dei ladri, quanto maggiore è la forza con cui la legge di Cristo, che trova il suo compimento nell’amore, ci obbliga a bramare la salvezza delle anime più di quella dei corpi»" (FF 1141).
Chiara stessa, nella Regola, avverte:
«Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino le sorelle da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo, dalla detrazione e mormorazione, dalla discordia e divisione» (FF 2809).
«Siano invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione» (FF 2810).
L’Amore era la Regola dei frati e delle Povere Dame di San Damiano: «[…] e così, portando il giogo della carità vicendevole, con facilità adempiremo la legge di Cristo. Amen.» (FF 2918 - Lettera ad Ermentrude di Bruges).
«Non crediate che io sia venuto ad abbattere la Legge o i Profeti; non sono venuto a demolire, ma a dare compimento» (Mt 5,17)
Mercoledì 3a sett. Quaresima (Mt 5,17-19)
L’Annunciazione illustra l’arte dell’ascolto in Maria, visitata dall’Angelo Gabriele. Ella accetta il Mistero ma pone domande di senso, usando la sua intelligenza, in umiltà e dignità.
Dopo la conversione, Francesco e Chiara cercarono sempre la volontà di Dio proprio guardando a Maria, la serva del Signore, colei che aveva trovato favore presso l’Onnipotente, divenendo la Madre di Gesù.
Fin dagli inizi della sua vocazione-missione, Francesco rivolse alla Vergine speciale e devota attenzione.
Le Fonti ci mettono al corrente dello straordinario amore per Lei, espresso in un’antifona ieratica del Poverello:
«Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te, nata nel mondo, tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo sommo Re il Padre celeste, madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo; prega per noi con san Michele arcangelo e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi, presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e maestro» (FF 281).
Francesco "Circondava di un amore indicibile la Madre di Gesù, perché aveva reso nostro fratello il Signore della maestà" (FF 786).
Ma Chiara stessa, considerata «altera Maria», quando giunse alla Porziuncola, dove Francesco con i frati l’aspettavano per la sua totale dedizione a Dio:
"dopo che ebbe prese le insegne della santa penitenza davanti all’altare di Santa Maria e, quasi davanti al talamo nuziale della Vergine, l’umile ancella si fu sposata a Cristo, subito San Francesco la condusse alla chiesa di San Paolo*, con l’intenzione che rimanesse in quel luogo finché la Volontà dell’Altissimo non disponesse diversamente" (FF 3172).
Come Maria, Chiara pronunciò il suo "Fiat" alla volontà del Padre:
«Ecco la serva del Signore: avvenga a me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
Oh quanto hanno amato la volontà di Dio entrambe!
Dimentiche di sé hanno aderito al progetto divino su di loro, ognuna nel suo tempo, ognuna nel suo solco.
Nelle Fonti ancora troviamo:
«A quel modo, dunque, che la gloriosa Vergine delle vergini portò Cristo materialmente nel suo grembo, tu pure, seguendo le sue vestigia, specialmente dell’umiltà e povertà di lui, puoi sempre, senza alcun dubbio, portarlo spiritualmente nel tuo corpo casto e verginale. E conterrai in te Colui dal quale tu e tutte le creature sono contenute, e possederai ciò che è bene più duraturo e definitivo anche a paragone di tutti gli altri possessi transeunti di questo mondo» (FF 2893 - Lettera terza alla Beata Agnese di Praga).
Francesco e Chiara, sull’esempio dell’umile Maria di Nazareth, hanno amato la volontà di Dio su di loro in modo solare e duraturo.
Infatti, in una preghiera conclusiva di Francesco, contempliamo il suo costante anelito a ricercarla e assecondarla con abbandono.
«Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio, concedi a noi miseri di fare, per la forza del tuo amore, ciò che sappiamo che tu vuoi, e di volere sempre ciò che a te piace, affinché, interiormente purificati, interiormente illuminati e accesi dal fuoco dello Spirito Santo, possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, e, con l’aiuto della tua sola grazia, giungere a te, o Altissimo, che nella Trinità perfetta e nella Unità semplice vivi e regni glorioso, Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Amen» (FF 234 - Lettera a tutto l’Ordine).
*La chiesa e il monastero benedettino di San Paolo delle Abbadesse, dove Chiara viene condotta dopo la sua consacrazione in Porziuncola, sorgevano nei pressi di Bastìa Umbra, a 4 km da Assisi.
Annunciazione del Signore (Lc 1,26-38)
Nel passo di Lc affiora l’incredulità e la diffidenza della gente di Nazareth nei confronti di Gesù, le provocazioni addotte e le risposte del Signore che sottolineano l’inaccoglienza sorda al suo Messaggio.
Francesco d’Assisi era ammirato della santità ordinaria di chiunque, ma in modo speciale dei suoi frati.
Spesso ripeteva che è da compiangere il predicatore che nella predicazione cerca la propria gloria anziché la salvezza delle anime.
A costoro sarebbe preferibile uno semplice e privo di “lingua”, ma capace di spingere gli altri al bene.
Si rallegrava molto quando sapeva che i suoi frati sparsi per il mondo, con la santità quotidiana della vita, inducevano molti a tornare sulla retta via.
Un giorno, recatosi in una chiesa della borgata di Assisi, si mise a fare le pulizie.
Lì venne a sapere che un certo Giovanni, uomo semplice, stava arando un suo campo vicino alla chiesa.
"E subito andò da lui e lo trovò intento a pulire. Gli disse: «Fratello, dà la scopa a me, voglio aiutarti».
Prese lui la scopa e finì di fare pulizia.
Poi si misero a sedere, e Giovanni prese a dire: «Da molto tempo ho intenzione di servire a Dio, soprattutto da quando ho inteso parlare di te e dei tuoi fratelli. Ma non sapevo come unirmi a te. Ma dal momento che è piaciuto al Signore ch’io ti vedessi, sono disposto a fare tutto quello che ti piace».
Osservando il fervore di lui, Francesco esultò nel Signore, anche perché allora aveva pochi fratelli e perché quell’uomo con la sua semplicità gli dava affidamento che sarebbe stato un buon religioso".
Francesco lo invitò a donare ai poveri i beni posseduti, come dice il Vangelo.
Giovanni, il semplice, non se lo fece ripetere due volte e obbedì al Poverello in tutto, vendendo un bue per darlo ai poveri.
Continuano le Fonti:
"Francesco, cui piacque sempre la pura e santa semplicità in se stesso e negli altri, ebbe grande affetto per Giovanni.
E appena lo ebbe vestito del saio, prese lui come suo compagno.
Era questi talmente semplice, che si riteneva obbligato a fare qualunque cosa facesse Francesco.
Quando il Santo stava a pregare in una chiesa o in un luogo appartato, Giovanni voleva vederlo e fissarlo, per ripetere tutti i gesti di lui: se Francesco piegava le ginocchia, se alzava al cielo le mani giunte, se sputava o tossiva, anche lui faceva altrettanto.
Pur essendo incantato da tale semplicità di cuore, Francesco cominciò a rimproverarlo. Ma Giovanni rispose: «Fratello ho promesso di fare tutto quello che fai tu; e perciò intendo fare tutto quello che tu fai».
Il Santo era meravigliato e felice davanti a tanta purità e semplicità. Giovanni fece tali progressi in tutte le virtù, che Francesco e gli altri restavano stupefatti della sua santità.
E dopo non molto tempo egli morì in questa santa perfezione. Francesco, colmo di letizia nell’intimo ed esteriormente, raccontava ai frati la vita di lui, e lo chiamava «san Giovanni» in luogo di «frate Giovanni» (FF 1566).
Gli astanti si meravigliano della santità manifesta nell’ordinario di chi vive la Parola concretamente e si chiedevano: «Non é costui il Figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22).
La vita semplice e trasparente spiazza quanti hanno della santità idee astruse; la credono legata a sontuose discendenze, dimenticando che Dio ama e annuncia nell’ordinario.
«Nessun profeta è accetto nella sua patria» (Lc 4,24)
Lunedì 3.a sett. Quaresima (Lc 4,24-30)
Nella prima pericope, il Vangelo di oggi evidenzia l’urgenza della conversione profonda di ogni uomo, senza puntare il dito sulla colpevolezza altrui, bensì guardando alla propria.
In Francesco è il caso di parlare di conversione permanente, sempre cercata - e che durò finché visse.
Si considerava, infatti, il più peccatore fra gli uomini, raggiunto dalla Grazia.
Consultando le Fonti ci accorgiamo del calibro del Poverello anche a riguardo di questo tema.
Leggiamo di un frate che, rapito in estasi, vide fra i tanti seggi in cielo uno di particolare bellezza.
Chiedendo di chi fosse, una voce gli rispose che era riservato all’umile Francesco.
Il racconto continua:
"Rientrato in se stesso, il frate vede Francesco che ritorna dalla preghiera.
Gli si prostra subito dinanzi, con le braccia in forma di croce, e si rivolge non come a uno che viva sulla terra, ma quasi ad un essere che regni già in cielo:
«Prega per me il Figlio di Dio, padre, che non tenga conto dei miei peccati».
L’uomo di Dio gli tende la mano e lo rialza, sicuro che nella preghiera ha ricevuto una Visione.
Alla fine, mentre si allontanano dal luogo, il frate chiede a Francesco:
«Padre, cosa ne pensi di te stesso?».
Ed egli rispose:
«Mi sembra di essere il più grande peccatore, perché se Dio avesse usata tanta misericordia con qualche scellerato, sarebbe dieci volte migliore di me».
A queste parole, subito lo Spirito disse interiormente al frate:
«Conosci che è stata vera la tua visione da questo: perché quest’uomo umilissimo sarà innalzato per la sua umiltà a quel trono che è stato perduto per la superbia» (FF 707).
E lo stesso Francesco, parlando ai suoi frati dell’efficacia della preghiera, diceva loro:
«Invero [ci sono] coloro che si illudono d’avere edificato o convertito a penitenza con i loro discorsi; è il Signore che li edifica e converte grazie alle orazioni dei frati santi, anche se questi ultimi lo ignorano […]
Questi frati sono i miei cavalieri della tavola rotonda, che si nascondono in luoghi appartati e disabitati, per impegnarsi con più fervore nella preghiera e nella meditazione, piangendo i peccati propri e altrui […]» (FF 1624).
Il Minimo metteva in guardia dal sentirsi migliori degli altri e dal gloriarsi d’indurre a conversione con propri discorsi, gonfi di sapienza compiaciuta.
Nessuno è perfetto! Migliore è solo lo Spirito di Dio, che trasforma i cuori di pietra in cuori di carne.
Gesù richiama alla conversione: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,5) è espressione ricorrente.
Francesco, umile di cuore e semplice, al riguardo offre un episodio che chiama a riflessione.
“Diceva che sono da compiangere i predicatori, che vendono spesso il loro ministero per un soldo di vanagloria. E cercava a volte di guarire il loro gonfiore con questo rimedio:
«Perché vi gloriate della conversione degli uomini, quando li hanno convertiti con le loro preghiere i miei frati semplici?».
Ed anzi commentava così il passo che dice: «perfino la sterile ha partorito numerosi figli»:
«La sterile è il mio frate poverello, che non ha il compito di generare figli nella Chiesa. Ma nel giudizio ne avrà dato alla luce moltissimi, perché in quel giorno il giudice ascriverà a sua gloria quelli, che ora converte con le sue preghiere personali»” (FF 749).
E ancora:
«Ci sono molti frati che […] annunziando il Vangelo a qualche persona e al popolo, nel vedere o nel sentire che alcuni ne sono rimasti edificati o convertiti a penitenza, diventano tronfi e montano in superbia per risultati ottenuti da fatica altrui.
L’umile e quotidiana conversione del Minimo e dei suoi frati ha, nel tempo, rivoluzionato ogni modo di pensare borioso, grazie alla Parola di Cristo.
«Credete che questi Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver sofferto queste cose? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti ugualmente» (Lc 13,2-3).
3a Domenica di Quaresima (anno C) (Lc 13,1-9)
Il capitolo quindici di Luca è noto per le parabole della Misericordia.
Dinanzi ai farisei e scribi che mormorano, perché vicino ai pubblicani e peccatori, Gesù risponde con parabole efficaci il cui fondamento è:
non respingere, ma andare incontro per rialzare.
Laddove si ha pietà della condizione perdente dell’uomo, ivi Cristo risorge.
Francesco nella sua giovane esistenza aveva incontrato la compassione paterna e materna del Signore.
Dopo una vita trascorsa in allegre brigate e un po’ dissoluta, fu folgorato dal Padre delle Misericordie o, come lui lo chiamava, dal Grande Elemosiniere.
Toccato dalla Grazia, dopo il suo evidente cambiamento di mentalità, dinanzi al Crocifisso di San Damiano gli fu rivelata la sua vocazione-missione.
Rinunciò a tutto, perfino al padre terreno, per essere libero di andare dove il Padre che è nei cieli lo inviava.
Lo spreco degli anni giovanili lo tradusse in generosità senza limiti verso lebbrosi e poveri.
L’Abbraccio benedicente dell’Onnipotente gli aveva impresso una più solida e preziosa caratura umana e spirituale.
Pianse per tutta la vita i suoi peccati, pensando alla Passione di Gesù Cristo, morto e risorto per tutti i figli perduti.
Nelle Fonti (‘Vita seconda’ del suo biografo Celano) troviamo un passo commovente:
"Una volta venne a conoscenza che un frate ammalato aveva desiderio di mangiare un po’ d’uva. Lo accompagnò in una vigna e, sedutosi sotto una vite, per infondergli coraggio, cominciò egli stesso a mangiare per primo" (FF 762).
La misericordia per i mali altrui è fondamento francescano nel cammino spirituale.
E ancora:
"Soleva dire che è dovere del superiore, padre e non tiranno, prevenire l’occasione della colpa e non permettere che cada chi poi difficilmente potrebbe rialzarsi, una volta caduto.
Oh, quanto è degna di compassione la nostra stoltezza!
Non soltanto non rialziamo o sosteniamo i deboli, ma a volte li spingiamo a cadere.
Giudichiamo di nessuna importanza sottrarre al Sommo Pastore una pecorella, per la quale sulla Croce gettò un forte grido con lacrime.
Ma ben diversamente tu, padre santo, preferivi emendare gli erranti e non perderli!
[…] l’olio ed il vino, la verga e il bastone, lo zelo e l’indulgenza, la bruciatura e l’unzione, il carcere ed il grembo materno, ogni cosa ha il suo tempo.
Tutto ciò richiede il Dio delle vendette e il Padre delle misericordie: però preferisce la misericordia al sacrificio" (FF 763).
La stessa Chiara, madre amorevole, aveva ricevuto un cuore generoso e pieno di compassione, specie verso le sorelle bisognose.
Le Fonti, attraverso la Regola, attestano che come guida della comunità, la Prima Pianta di Francesco non si faceva imprigionare dalla legge, ma su tutto regnava l’inconfondibile Carità.
Leggiamo infatti:
"[L’abbadessa] consoli le afflitte. Sia ancora l’ultimo rifugio delle tribolate perché, se mancassero presso di lei i rimedi di salute, non abbia a prevalere nelle inferme il morbo della disperazione" (FF 2778).
Francesco e Chiara trasformati dalla Misericordia del Padre fecero tesoro del dono ricevuto riversandolo gratuitamente su tutte le creature. Mai ingabbiati dalla inamovibilità dei codici, furono testimoni di quella singolare accoglienza che recupera chi ha sbagliato e lo reintroduce nella vita nuova dei risorti.
«Dov’è misericordia e discrezione,
ivi non è superfluità né durezza» (FF 177).
«Mentre ancora era lontano, lo vide suo padre, ebbe compassione, e correndo cadde al suo collo e lo strabaciò» (Lc 15,20)
Sabato 2.a sett. Quaresima, (Lc 15,1-3.11-32)
Praying, celebrating, imitating Jesus: these are the three "doors" - to be opened to find «the way, to go to truth and to life» (Pope Francis)
Pregare, celebrare, imitare Gesù: sono le tre “porte” — da aprire per trovare «la via, per andare alla verità e alla vita» (Papa Francesco)
In recounting the "sign" of bread, the Evangelist emphasizes that Christ, before distributing the food, blessed it with a prayer of thanksgiving (cf. v. 11). The Greek term used is eucharistein and it refers directly to the Last Supper, though, in fact, John refers here not to the institution of the Eucharist but to the washing of the feet. The Eucharist is mentioned here in anticipation of the great symbol of the Bread of Life [Pope Benedict]
Narrando il “segno” dei pani, l’Evangelista sottolinea che Cristo, prima di distribuirli, li benedisse con una preghiera di ringraziamento (cfr v. 11). Il verbo è eucharistein, e rimanda direttamente al racconto dell’Ultima Cena, nel quale, in effetti, Giovanni non riferisce l’istituzione dell’Eucaristia, bensì la lavanda dei piedi. L’Eucaristia è qui come anticipata nel grande segno del pane della vita [Papa Benedetto]
Work is part of God’s loving plan, we are called to cultivate and care for all the goods of creation and in this way share in the work of creation! Work is fundamental to the dignity of a person. Work, to use a metaphor, “anoints” us with dignity, fills us with dignity, makes us similar to God, who has worked and still works, who always acts (cf. Jn 5:17); it gives one the ability to maintain oneself, one’s family, to contribute to the growth of one’s own nation [Pope Francis]
Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio; noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo all’opera della creazione! Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre (cfr Gv 5,17); dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione [Papa Francesco]
God loves the world and will love it to the end. The Heart of the Son of God pierced on the Cross and opened is a profound and definitive witness to God’s love. Saint Bonaventure writes: “It was a divine decree that permitted one of the soldiers to open his sacred wide with a lance… The blood and water which poured out at that moment was the price of our salvation” (John Paul II)
Il mondo è amato da Dio e sarà amato fino alla fine. Il Cuore del Figlio di Dio trafitto sulla croce e aperto, testimonia in modo profondo e definitivo l’amore di Dio. Scriverà San Bonaventura: “Per divina disposizione è stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza” (Giovanni Paolo II))
[Nicodemus] felt the fascination of this Rabbi, so different from the others, but could not manage to rid himself of the conditioning of his environment that was hostile to Jesus, and stood irresolute on the threshold of faith (Pope Benedict)
[Nicodemo] avverte il fascino di questo Rabbì così diverso dagli altri, ma non riesce a sottrarsi ai condizionamenti dell’ambiente contrario a Gesù e resta titubante sulla soglia della fede (Papa Benedetto)
Those wounds that, in the beginning were an obstacle for Thomas’s faith, being a sign of Jesus’ apparent failure, those same wounds have become in his encounter with the Risen One, signs of a victorious love. These wounds that Christ has received for love of us help us to understand who God is and to repeat: “My Lord and my God!” (Pope Benedict)
don Giuseppe Nespeca
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