La Liturgia della festa di S. Benedetto, compatrono d’Europa, sottolinea il tema del lasciare tutto per Cristo, per il Vangelo, contraccambiato dal centuplo e la Vita dell’Eterno.
Benedetto, come Francesco, lasciò ogni bene per seguire Gesù, riassumendo il suo percorso nel celebre assioma: «Ora et labora», «prega e lavora».
A volte si contrappone la severità dell’ ascetica monastica benedettina all’allegria francescana, come se San Benedetto e San Francesco fossero due universi a se stanti; ma non è così.
Ci sono elementi nei quali si diversificano e altri in comune, magari elaborati diversamente.
Entrambi reputano importanti la preghiera e il lavoro. Nonché l’orazione come via che conduce al distacco da tutto e alla interiorizzazione, luogo dell’incontro con Cristo - da anteporre a tutto.
Anche Francesco considera il lavoro un aspetto importante della sua vita e della Regola minoritica, richiamando in questo quella benedettina.
Il Poverello, pur non essendo benedettino (come dipinto nel Sacro Speco di Subiaco, in un’antica immagine) anche lui visse dentro una storia che lo ha preceduto, attingendo da essa alcune cose, altre rifiutandole.
Chi è addentro alle Fonti francescane, volendo affermare la novità di Frate Francesco rispetto a San Benedetto da Norcia, fa riferimento ad un brano della Compilatio Assisiensis.
In essa si narra come durante un Capitolo alla Porziuncola, dove si discuteva della Regola minoritica, alcuni frati proposero l’adozione di forme di vita precedenti.
Ma Francesco rispose:
«Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato per la via dell’umiltà e mi ha mostrato la via della semplicità. Non voglio quindi che mi nominiate altre Regole, né quella di Sant’Agostino, né quella di San Bernardo o di San Benedetto.
Il Signore mi ha detto che questo egli voleva:
che io fossi nel mondo un ‘novello pazzo’; e il Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza!» (FF 1564).
La grandezza della Regola benedettina non risiede tanto nell’apporto di novità, quanto nella capacità di sintesi delle varie esperienze monastiche precedenti in una sorta di lettura sapienziale.
Ma questi santi, entrambi, danno molta importanza al lavoro che vince l’ozio e fa vivere nella costante Presenza di Cristo nella storia, al quale anteporre tutto.
L’orazione continua e il lavoro costante sono dunque due elementi comuni diversamente elaborati, ma fondamentali per la sequela di Gesù e il distacco da ogni cosa.
Francesco ai frati insegnava:
«Nell’orazione purifichiamo i nostri sentimenti e ci uniamo con l’unico, vero e sommo Bene e rinvigoriamo la virtù […]
Nell’orazione parliamo a Dio, lo ascoltiamo e ci tratteniamo in mezzo agli angeli; nella predicazione, invece, dobbiamo scendere spesso verso gli uomini e, vivendo da uomini in mezzo agli uomini, pensare, vedere, dire e ascoltare al modo umano» (FF1204).
Nel suo Testamento, il Minimo scrive:
«Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà.
Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio» (FF 119).
Ed è proprio questa impostazione di pensiero e di vita che rese i benedettini capaci di costruire l’Europa "rendendo il quotidiano eroico e l’eroico quotidiano" e che spinse i frati francescani, tra le altre cose, ad un lavoro costante e fedele soprattutto nella missione evangelizzatrice di pace.
Figli di Dio in modo diverso, ugualmente proiettati a seguire Gesù, sapendo che l’aver lasciato tutto per il suo Regno è garanzia di vita eterna.
«E chiunque ha lasciato case o fratelli o sorelle o padre o madre o figli o campi a causa del mio nome, riceverà il centuplo ed erediterà la vita dell’Eterno» (Mt 19,29).
S. Benedetto patrono d’Europa (Mt 19,27-29)