Feb 25, 2025 Scritto da 

Suono stridente, che non accarezza le orecchie - per farci abbracciare la via che non tramonta

«Suonate il corno, proclamate un solenne digiuno» (Gl 2,15), dice il profeta nella prima Lettura. La Quaresima si apre con un suono stridente, quello di un corno che non accarezza le orecchie, ma bandisce un digiuno. È un suono forte, che vuole rallentare la nostra vita che va sempre di corsa, ma spesso non sa bene dove. È un richiamo a fermarsi - un “fermati!” -, ad andare all’essenziale, a digiunare dal superfluo che distrae. È una sveglia per l’anima.

Al suono di questa sveglia si accompagna il messaggio che il Signore trasmette per bocca del profeta, un messaggio breve e accorato: «Ritornate a me» (v. 12). Ritornare. Se dobbiamo ritornare, vuol dire che siamo andati altrove. La Quaresima è il tempo per ritrovare la rotta della vita. Perché nel percorso della vita, come in ogni cammino, ciò che davvero conta è non perdere di vista la meta. Quando invece nel viaggio quel che interessa è guardare il paesaggio o fermarsi a mangiare, non si va lontano. Ognuno di noi può chiedersi: nel cammino della vita, cerco la rotta? O mi accontento di vivere alla giornata, pensando solo a star bene, a risolvere qualche problema e a divertirmi un po’? Qual è la rotta? Forse la ricerca della salute, che tanti oggi dicono venire prima di tutto ma che prima o poi passerà? Forse i beni e il benessere? Ma non siamo al mondo per questo. Ritornate a me, dice il Signore. A me. È il Signore la meta del nostro viaggio nel mondo. La rotta va impostata su di Lui.

Per ritrovare la rotta, oggi ci è offerto un segno: cenere in testa. È un segno che ci fa pensare a che cosa abbiamo in testa. I nostri pensieri inseguono spesso cose passeggere, che vanno e vengono. Il lieve strato di cenere che riceveremo è per dirci, con delicatezza e verità: di tante cose che hai per la testa, dietro cui ogni giorno corri e ti affanni, non resterà nulla. Per quanto ti affatichi, dalla vita non porterai con te alcuna ricchezza. Le realtà terrene svaniscono, come polvere al vento. I beni sono provvisori, il potere passa, il successo tramonta. La cultura dell’apparenza, oggi dominante, che induce a vivere per le cose che passano, è un grande inganno. Perché è come una fiammata: una volta finita, resta solo la cenere. La Quaresima è il tempo per liberarci dall’illusione di vivere inseguendo la polvere. La Quaresima è riscoprire che siamo fatti per il fuoco che sempre arde, non per la cenere che subito si spegne; per Dio, non per il mondo; per l’eternità del Cielo, non per l’inganno della terra; per la libertà dei figli, non per la schiavitù delle cose. Possiamo chiederci oggi: da che parte sto? Vivo per il fuoco o per la cenere?

In questo viaggio di ritorno all’essenziale che è la Quaresima, il Vangelo propone tre tappe, che il Signore chiede di percorrere senza ipocrisia, senza finzioni: l’elemosina, la preghiera, il digiuno. A che cosa servono? L’elemosina, la preghiera e il digiuno ci riportano alle tre sole realtà che non svaniscono. La preghiera ci riannoda a Dio; la carità al prossimo; il digiuno a noi stessi. Dio, i fratelli, la mia vita: ecco le realtà che non finiscono nel nulla, su cui bisogna investire. Ecco dove ci invita a guardare la Quaresima: verso l’Alto, con la preghiera, che libera da una vita orizzontale, piatta, dove si trova tempo per l’io ma si dimentica Dio. E poi verso l’altro, con la carità, che libera dalla vanità dell’avere, dal pensare che le cose vanno bene se vanno bene a me. Infine, ci invita a guardarci dentro, col digiuno, che libera dagli attaccamenti alle cose, dalla mondanità che anestetizza il cuore. Preghiera, carità, digiuno: tre investimenti per un tesoro che dura.

Gesù ha detto: «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). Il nostro cuore punta sempre in qualche direzione: è come una bussola in cerca di orientamento. Possiamo anche paragonarlo a una calamita: ha bisogno di attaccarsi a qualcosa. Ma se si attacca solo alle cose terrene, prima o poi ne diventa schiavo: le cose di cui servirsi diventano cose da servire. L’aspetto esteriore, il denaro, la carriera, i passatempi: se viviamo per loro, diventeranno idoli che ci usano, sirene che ci incantano e poi ci mandano alla deriva. Invece, se il cuore si attacca a quello che non passa, ritroviamo noi stessi e diventiamo liberi. Quaresima è il tempo di grazia per liberare il cuore dalle vanità. È tempo di guarigione dalle dipendenze che ci seducono. È tempo per fissare lo sguardo su ciò che resta.

Dove fissare allora lo sguardo lungo il cammino della Quaresima? È semplice: sul Crocifisso. Gesù in croce è la bussola della vita, che ci orienta al Cielo. La povertà del legno, il silenzio del Signore, la sua spogliazione per amore ci mostrano la necessità di una vita più semplice, libera dai troppi affanni per le cose. Gesù dalla croce ci insegna il coraggio forte della rinuncia. Perché carichi di pesi ingombranti non andremo mai avanti. Abbiamo bisogno di liberarci dai tentacoli del consumismo e dai lacci dell’egoismo, dal voler sempre di più, dal non accontentarci mai, dal cuore chiuso ai bisogni del povero. Gesù, che sul legno della croce arde di amore, ci chiama a una vita infuocata di Lui, che non si perde tra le ceneri del mondo; una vita che brucia di carità e non si spegne nella mediocrità. È difficile vivere come Lui chiede? Sì, è difficile, ma conduce alla meta. Ce lo mostra la Quaresima. Essa inizia con la cenere, ma alla fine ci porta al fuoco della notte di Pasqua; a scoprire che, nel sepolcro, la carne di Gesù non diventa cenere, ma risorge gloriosa. Vale anche per noi, che siamo polvere: se con le nostre fragilità ritorniamo al Signore, se prendiamo la via dell’amore, abbracceremo la vita che non tramonta. E certamente saremo nella gioia.

[Papa Francesco, omelia 6 marzo 2019]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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Jesus, who shared his quality as a "stone" in Simon, also communicates to him his mission as a "shepherd". It is a communication that implies an intimate communion, which also transpires from the formulation of Jesus: "Feed my lambs... my sheep"; as he had already said: "On this rock I will build my Church" (Mt 16:18). The Church is property of Christ, not of Peter. Lambs and sheep belong to Christ, and to no one else (Pope John Paul II)
Gesù, che ha partecipato a Simone la sua qualità di “pietra”, gli comunica anche la sua missione di “pastore”. È una comunicazione che implica una comunione intima, che traspare anche dalla formulazione di Gesù: “Pasci i miei agnelli… le mie pecorelle”; come aveva già detto: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). La Chiesa è proprietà di Cristo, non di Pietro. Agnelli e pecorelle appartengono a Cristo, e a nessun altro (Papa Giovanni Paolo II)
Praying, celebrating, imitating Jesus: these are the three "doors" - to be opened to find «the way, to go to truth and to life» (Pope Francis)
Pregare, celebrare, imitare Gesù: sono le tre “porte” — da aprire per trovare «la via, per andare alla verità e alla vita» (Papa Francesco)
In recounting the "sign" of bread, the Evangelist emphasizes that Christ, before distributing the food, blessed it with a prayer of thanksgiving (cf. v. 11). The Greek term used is eucharistein and it refers directly to the Last Supper, though, in fact, John refers here not to the institution of the Eucharist but to the washing of the feet. The Eucharist is mentioned here in anticipation of the great symbol of the Bread of Life [Pope Benedict]
Narrando il “segno” dei pani, l’Evangelista sottolinea che Cristo, prima di distribuirli, li benedisse con una preghiera di ringraziamento (cfr v. 11). Il verbo è eucharistein, e rimanda direttamente al racconto dell’Ultima Cena, nel quale, in effetti, Giovanni non riferisce l’istituzione dell’Eucaristia, bensì la lavanda dei piedi. L’Eucaristia è qui come anticipata nel grande segno del pane della vita [Papa Benedetto]
Work is part of God’s loving plan, we are called to cultivate and care for all the goods of creation and in this way share in the work of creation! Work is fundamental to the dignity of a person. Work, to use a metaphor, “anoints” us with dignity, fills us with dignity, makes us similar to God, who has worked and still works, who always acts (cf. Jn 5:17); it gives one the ability to maintain oneself, one’s family, to contribute to the growth of one’s own nation [Pope Francis]
Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio; noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo all’opera della creazione! Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre (cfr Gv 5,17); dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione [Papa Francesco]
God loves the world and will love it to the end. The Heart of the Son of God pierced on the Cross and opened is a profound and definitive witness to God’s love. Saint Bonaventure writes: “It was a divine decree that permitted one of the soldiers to open his sacred wide with a lance… The blood and water which poured out at that moment was the price of our salvation” (John Paul II)
Il mondo è amato da Dio e sarà amato fino alla fine. Il Cuore del Figlio di Dio trafitto sulla croce e aperto, testimonia in modo profondo e definitivo l’amore di Dio (Giovanni Paolo II))

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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don Giuseppe Nespeca

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