Giu 19, 2025 Scritto da 

Cuore che non si arrende

Celebrando il Giubileo dei Sacerdoti nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù, siamo chiamati a puntare al cuore, ovvero all’interiorità, alle radici più robuste della vita, al nucleo degli affetti, in una parola, al centro della persona. E oggi volgiamo lo sguardo a due cuori: il Cuore del Buon Pastore e il nostro cuore di pastori.

Il Cuore del Buon Pastore non è soltanto il Cuore che ha misericordia di noi, ma è la misericordia stessa. Lì risplende l’amore del Padre; lì mi sento sicuro di essere accolto e compreso come sono; lì, con tutti i miei limiti e i miei peccati, gusto la certezza di essere scelto e amato. Guardando a quel Cuore rinnovo il primo amore: la memoria di quando il Signore mi ha toccato nell’animo e mi ha chiamato a seguirlo, la gioia di aver gettato le reti della vita sulla sua Parola (cfr Lc 5,5).

Il Cuore del Buon Pastore ci dice che il suo amore non ha confini, non si stanca e non si arrende mai. Lì vediamo il suo continuo donarsi, senza limiti; lì troviamo la sorgente dell’amore fedele e mite, che lascia liberi e rende liberi; lì riscopriamo ogni volta che Gesù ci ama «fino alla fine» (Gv 13,1) - non si ferma prima, fino alla fine -, senza mai imporsi.

Il Cuore del Buon Pastore è proteso verso di noi, “polarizzato” specialmente verso chi è più distante; lì punta ostinatamente l’ago della sua bussola, lì rivela una debolezza d’amore particolare, perché tutti desidera raggiungere e nessuno perdere.

Davanti al Cuore di Gesù nasce l’interrogativo fondamentale della nostra vita sacerdotale: dove è orientato il mio cuore? Domanda che noi sacerdoti dobbiamo farci tante volte, ogni giorno, ogni settimana: dove è orientato il mio cuore? Il ministero è spesso pieno di molteplici iniziative, che lo espongono su tanti fronti: dalla catechesi alla liturgia, alla carità, agli impegni pastorali e anche amministrativi. In mezzo a tante attività permane la domanda: dove è fisso il mio cuore? Mi viene alla memoria quella preghiera tanto bella della Liturgia: “Ubi vera sunt gaudia…”. Dove punta, qual è il tesoro che cerca? Perché – dice Gesù – «dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). Ci sono debolezze in tutti noi, anche peccati. Ma andiamo al profondo, alla radice: dov’è la radice delle nostre debolezze, dei nostri peccati, cioè dov’è proprio quel “tesoro” che ci allontana dal Signore?

I tesori insostituibili del Cuore di Gesù sono due: il Padre e noi. Le sue giornate trascorrevano tra la preghiera al Padre e l’incontro con la gente. Non la distanza, l’incontro. Anche il cuore del pastore di Cristo conosce solo due direzioni: il Signore e la gente. Il cuore del sacerdote è un cuore trafitto dall’amore del Signore; per questo egli non guarda più a sé stesso – non dovrebbe guardare a sé stesso – ma è rivolto a Dio e ai fratelli. Non è più “un cuore ballerino”, che si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi e piccole soddisfazioni. E’ invece un cuore saldo nel Signore, avvinto dallo Spirito Santo, aperto e disponibile ai fratelli. E lì risolve i suoi peccati.

Per aiutare il nostro cuore ad ardere della carità di Gesù Buon Pastore, possiamo allenarci a fare nostre tre azioni, che le Letture di oggi ci suggeriscono: cercare, includere e gioire.

Cercare. Il profeta Ezechiele ci ha ricordato che Dio stesso cerca le sue pecore (34,11.16). Egli, dice il Vangelo, «va in cerca di quella perduta» (Lc 15,4), senza farsi spaventare dai rischi; senza remore si avventura fuori dei luoghi del pascolo e fuori degli orari di lavoro. E non si fa pagare gli straordinari. Non rimanda la ricerca, non pensa “oggi ho già fatto il mio dovere, e casomai me ne occuperò domani”, ma si mette subito all’opera; il suo cuore è inquieto finché non ritrova quell’unica pecora smarrita. Trovatala, dimentica la fatica e se la carica sulle spalle tutto contento. A volte deve uscire a cercarla, a parlare, persuadere; altre volte deve rimanere davanti al tabernacolo, lottando con il Signore per quella pecora.

Ecco il cuore che cerca: è un cuore che non privatizza i tempi e gli spazi. Guai ai pastori che privatizzano il loro ministero! Non è geloso della sua legittima tranquillità - legittima, dico, neppure di quella -, e mai pretende di non essere disturbato. Il pastore secondo il cuore di Dio non difende le proprie comodità, non è preoccupato di tutelare il proprio buon nome, ma sarà calunniato, come Gesù. Senza temere le critiche, è disposto a rischiare, pur di imitare il suo Signore. «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno…» (Mt 5,11).

Il pastore secondo Gesù ha il cuore libero per lasciare le sue cose, non vive rendicontando quello che ha e le ore di servizio: non è un ragioniere dello spirito, ma un buon Samaritano in cerca di chi ha bisogno. È un pastore, non un ispettore del gregge, e si dedica alla missione non al cinquanta o al sessanta per cento, ma con tutto sé stesso. Andando in cerca trova, e trova perché rischia. Se il pastore non rischia, non trova. Non si ferma dopo le delusioni e nelle fatiche non si arrende; è infatti ostinato nel bene, unto della divina ostinazione che nessuno si smarrisca. Per questo non solo tiene aperte le porte, ma esce in cerca di chi per la porta non vuole più entrare. E come ogni buon cristiano, e come esempio per ogni cristiano, è sempre in uscita da sé. L’epicentro del suo cuore si trova fuori di lui: è un decentrato da sé stesso, centrato soltanto in Gesù. Non è attirato dal suo io, ma dal Tu di Dio e dal noi degli uomini.

Seconda parola: includere. Cristo ama e conosce le sue pecore, per loro dà la vita e nessuna gli è estranea (cfr Gv 10,11-14). Il suo gregge è la sua famiglia e la sua vita. Non è un capo temuto dalle pecore, ma il Pastore che cammina con loro e le chiama per nome (cfr Gv 10,3-4). E desidera radunare le pecore che ancora non dimorano con Lui (cfr Gv 10,16).

Così anche il sacerdote di Cristo: egli è unto per il popolo, non per scegliere i propri progetti, ma per essere vicino alla gente concreta che Dio, per mezzo della Chiesa, gli ha affidato. Nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua preghiera e dal suo sorriso. Con sguardo amorevole e cuore di padre accoglie, include e, quando deve correggere, è sempre per avvicinare; nessuno disprezza, ma per tutti è pronto a sporcarsi le mani. Il Buon Pastore non conosce i guanti. Ministro della comunione che celebra e che vive, non si aspetta i saluti e i complimenti degli altri, ma per primo offre la mano, rigettando i pettegolezzi, i giudizi e i veleni. Con pazienza ascolta i problemi e accompagna i passi delle persone, elargendo il perdono divino con generosa compassione. Non sgrida chi lascia o smarrisce la strada, ma è sempre pronto a reinserire e a comporre le liti. E’ un uomo che sa includere.

Gioire. Dio è «pieno di gioia» (Lc 15,5): la sua gioia nasce dal perdono, dalla vita che risorge, dal figlio che respira di nuovo l’aria di casa. La gioia di Gesù Buon Pastore non è una gioia per sé, ma è una gioia per gli altri e con gli altri, la gioia vera dell’amore. Questa è anche la gioia del sacerdote. Egli viene trasformato dalla misericordia che gratuitamente dona. Nella preghiera scopre la consolazione di Dio e sperimenta che nulla è più forte del suo amore. Per questo è sereno interiormente, ed è felice di essere un canale di misericordia, di avvicinare l’uomo al Cuore di Dio. La tristezza per lui non è normale, ma solo passeggera; la durezza gli è estranea, perché è pastore secondo il Cuore mite di Dio.

Cari sacerdoti, nella Celebrazione eucaristica ritroviamo ogni giorno questa nostra identità di pastori. Ogni volta possiamo fare veramente nostre le sue parole: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi». È il senso della nostra vita, sono le parole con cui, in un certo modo, possiamo rinnovare quotidianamente le promesse della nostra Ordinazione. Vi ringrazio per il vostro “sì”, e per tanti “sì” nascosti di tutti i giorni, che solo il Signore conosce. Vi ringrazio per il vostro “sì” a donare la vita uniti a Gesù: sta qui la sorgente pura della nostra gioia.

[Papa Francesco, omelia 3 giugno 2016]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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The liturgy interprets for us the language of Jesus’ heart, which tells us above all that God is the shepherd (Pope Benedict)
La liturgia interpreta per noi il linguaggio del cuore di Gesù, che parla soprattutto di Dio quale pastore (Papa Benedetto)
In the heart of every man there is the desire for a house [...] My friends, this brings about a question: “How do we build this house?” (Pope Benedict)
Nel cuore di ogni uomo c'è il desiderio di una casa [...] Amici miei, una domanda si impone: "Come costruire questa casa?" (Papa Benedetto)
Try to understand the guise such false prophets can assume. They can appear as “snake charmers”, who manipulate human emotions in order to enslave others and lead them where they would have them go (Pope Francis)
Chiediamoci: quali forme assumono i falsi profeti? Essi sono come “incantatori di serpenti”, ossia approfittano delle emozioni umane per rendere schiave le persone e portarle dove vogliono loro (Papa Francesco)
Every time we open ourselves to God's call, we prepare, like John, the way of the Lord among men (John Paul II)
Tutte le volte che ci apriamo alla chiamata di Dio, prepariamo, come Giovanni, la via del Signore tra gli uomini (Giovanni Paolo II)
Paolo VI stated that the world today is suffering above all from a lack of brotherhood: “Human society is sorely ill. The cause is not so much the depletion of natural resources, nor their monopolistic control by a privileged few; it is rather the weakening of brotherly ties between individuals and nations” (Pope Benedict)
Paolo VI affermava che il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità: «Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli» (Papa Benedetto)
Dear friends, this is the perpetual and living heritage that Jesus has bequeathed to us in the Sacrament of his Body and his Blood. It is an inheritance that demands to be constantly rethought and relived so that, as venerable Pope Paul VI said, its "inexhaustible effectiveness may be impressed upon all the days of our mortal life" (Pope Benedict)
Questa, cari amici, è la perpetua e vivente eredità che Gesù ci ha lasciato nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Eredità che domanda di essere costantemente ripensata, rivissuta, affinché, come ebbe a dire il venerato Papa Paolo VI, possa “imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale” (Papa Benedetto)
The road that Jesus points out can seem a little unrealistic with respect to the common mindset and to problems due to the economic crisis; but, if we think about it, this road leads us back to the right scale of values (Pope Francis)
La strada che Gesù indica può sembrare poco realistica rispetto alla mentalità comune e ai problemi della crisi economica; ma, se ci si pensa bene, ci riporta alla giusta scala di valori (Papa Francesco)
Our commitment does not consist exclusively of activities or programmes of promotion and assistance; what the Holy Spirit mobilizes is not an unruly activism, but above all an attentiveness that considers the other in a certain sense as one with ourselves (Pope Francis)
Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione (Papa Francesco)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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don Giuseppe Nespeca

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