Mar 4, 2025 Scritto da 

Le manifestazioni del potere di Dio sulla terra: nulla di esteriore

Quale strada conduce al Padre?

(Lc 11,29-32)

 

Gesù si scontra con l’incredulità. Essa viene da vari accecamenti e partiti presi, o (soprattutto nei discepoli) nasce da disattenzione.

Il Signore si allontana da chi lo mette alla prova e da coloro che rifiutano ciò ch’è donato da Dio, pretendendo di fissare come debba agire.

Il Figlio dell’uomo rispetta ogni persona che lo segue, ma fa comprendere che le decisioni e ancor prima la mancanza di percezione acuta impediscono l’Incontro e la redenzione della vita.

In tale ottica, i credenti non vivono per “dimostrare”. Cristo stesso non ci aspetta in manifestazioni subliminali e mirabolanti, ma sulla sponda d’una spiritualità terrestre.

 

Il Valore non ha bisogno di applausi (arma a doppio taglio) - maschera della proposta artificiosa, e della vita inautentica.

 

La corrispondenza umanizzante non cresce col moltiplicarsi dei segnali da capogiro.

Dio non costringe i poco convinti, né surclassa con prove; così guadagna un patrimonio d’Amore nella crescita.

La sua Chiesa autentica, senza strepiti né posizioni persuasive - apparentemente insignificante - è raccolta tutta in intima unità col suo Primogenito: potenza nativa, portentosa e rigeneratrice - solida e reale.

 

La regina del mezzogiorno cercava soluzioni accattivanti a curiosità enigmatiche, ma le poteva conoscere dentro la sua anima e nella vita.

Incarnazione: non ci sono altri segni validi che gli accadimenti e le nuove relazioni - con se stessi e gli altri - le quali porgono la Persona stessa e inaudita del Risorto [quello senza involucri].

L’Eterno non è più la pura trascendenza dei giudei, né la vetta della sapienza del mondo antico.

Il segno dell’Altissimo è la vicenda di Gesù vivo in noi. Essa apre la strada emozionante che conduce verso il Padre.

 

Confidiamo in Cristo, quindi niente droghe spirituali che c’illudano di felicità.

È il senso della nuova Creazione: nell’abbandono allo Spirito - ma tutto concreto (non di maniera) e che procede trascinando la realtà alternativa.

La sua Persona è segnale unico, che scioglie dai molti surrogati della religione delle paure, delle pastoie, dei ruoli consolidati.

Tare che vorrebbero imprigionarlo in “alleato” facitore di miracoli seducenti e immediatamente risolutivi.

Qualcuno in semplice purificatore del tempio o in un personaggio da mulino bianco - e così noi, se ci lasciamo manipolare.

 

Infatti, i leaders religiosi cui Gesù si rivolge sono quelli di ritorno nelle sue comunità!

Si trattava di giudaizzanti i quali volevano inquadrare il Messia nello schema delle normali attese cui erano stati da sempre abituati.

O già se la intendevano e si mostravano stufi...

In questi “veterani” non c’era cifra alcuna di conversione all’idea del Figlio di Dio come Servitore, fiducioso nei sogni senza prestigio.

In loro? Nessuna traccia d’idea nuova - né cambio di passo che segnasse tramonto della società plateale, disumanizzante, e anche sacrale - dell’esterno.

 

Ai leaders popolari talora sfugge il significato dell’unico Segno vivo: Gesù Alimento della vita.

Per causa loro, non dei lontani, il Signore «geme nello spirito» [cf. Mc 8,12 testo greco] - ancora oggi, rattristato da tanta cecità.

La vita è infatti preclusa a chi non sa spostare lo sguardo.

Subito dopo Lc (12,1) si riferisce infatti al pericolo dell’ideologia dominante che faceva perdere alle stesse guide la percezione obiettiva degli accadimenti.

Un «lievito» grossolano ma radicato nell’esperienza penosa della gente; che stimolava gonfiori persino nei discepoli, contaminandoli.

 

Ai primi della classe poteva sembrare che Gesù fosse un leader come Mosè, per il fatto che aveva appena alimentato il popolo affamato nel deserto [cf. Mt 15,32-39; Mc 8,1-9].

Ma il rifiuto è netto: in specie Mc (8,12) lo rende acuto sottolineando il senso di sofferenza del Maestro.

Quindi come anche Mt e Lc nell’episodio appunto di Giona - il suo radicale, perentorio diniego.

Per salvare il popolo bisognoso di tutto non c’è altra via che partire da dentro.

Poi procedere verso una pienezza di essere che dilaga, ci approva, e sfociando consente di spezzare la vita in favore dei fratelli.

 

Non c’è scappatoia.

Unicamente la comunione con la sorgente celata del proprio Sé eminente e il dialogo rispettoso e fattivo con gli altri, salva da una mentalità di gruppo chiuso.

In tal guisa, nessun club è ammesso - che rivendicasse l’esclusiva monopolista su Dio e sulle anime (Lc 9,49-50) con esplicita pretesa a disciplinare le moltitudini.

La comunità del Risorto aborrisce la concezione competitiva della stessa vita religiosa, se riflesso sacrale del mondo imperiale e d’una società che angustia e amareggia l’esistenza dei piccoli.

Sarebbe una vita malata nella ricerca di prestigio purchessia, anche solo apparente.

 

Viceversa, nelle realtà fraterne «il più piccolo tra tutti, questi è grande» (Lc 9,48).

Quindi bisogna assolutamente evitare che nei fedeli s’insinui una mentalità piramidale e dello scarto.

Spirito di competizione che poi inesorabilmente finisce per cercare rifugio nel miracolismo ipocrita, surrogato della vita di Fede.

Lo stesso fa il Maestro per educare i membri di Chiesa che restano [alcuni tuttora] affetti da senso di superiorità nei confronti delle folle e degli estranei.

Sentimento di popolo eletto e privilegiato (Lc 9,54-55) che si stava infiltrando persino nelle comunità primitive.

 

A chi non vuole aprire gli occhi se non per farsi catturare i sensi da fenomeni tutti da discernere - perché malgrado il credo ufficiale che professa rimane legato a una ideologia di potere - il Signore non riserva mai conferme impressionanti venute «dal cielo» (Lc 11,16) che ne sarebbero la paradossale convalida.

Unico segnale è e sarà la sua Chiesa vivente: “vittoria” del Risorto, che pulsa in tutti coloro che lo prendono sul serio.

Senza gerarchie fisse - sotto la guida infallibile della Chiamata e della Parola - i figli sanno reinterpretare, anche in modo inedito.

Tale il prodigio, incarnato nelle mille vicende della storia, della vita personale e comunitaria; nei recuperi, risanamenti e rivalutazioni impossibili.

L’autentico Messia non elargisce alcuna esibizione cosmica.

Nessun festival che obblighi gli spettatori a chinare il capo, a cospetto di tanta gloria sconvolgente e degnazione - come se fosse un dittatore celeste.

E nessun fulmine a scorciatoia.

 

Nel corso dei secoli le Chiese sono cadute spesso in questa tentazione “apologetica”, tutta interna alle devozioni dall’impulso arido: cercare segni meravigliosi e sbandierarli per mettere a tacere gli avversari.

Stratagemmi per un banale tentativo di chiudere la bocca a coloro che chiedono non esperienze di parapsicologia, bensì testimonianze poco avvizzite e senza trucco o escamotage: di concreta disalienazione.

Niente male, questa nostra attività di liberazione in favore degli ultimi, e che tiene duro; non avvinghiata all’idea d’un arruffapopolo dagli aspetti trionfalistici o consolatori.

Preferiamo l’onda del Mistero.

Aneliamo essere guidati da una energia sconosciuta, che ha in serbo un obbiettivo non artificioso - condotti dall’Amico eminente ma intimo e nascosto. Esclusivo in noi.

Saremo una sola umanità nel Maestro, sulla Via giusta e che ci appartiene. Anche percorrendo sentieri interrotti e incompleti, persino di smarrimento.

 

A commento del Tao Tê Ching (i) il maestro Ho-shang Kung scrive: 

«L’eterno Nome vuol essere come l’infante che ancora non ha parlato, come il pulcino che ancora non s’è sgusciato.

La perla luminosa sta dentro l’ostrica, la bella gemma sta in mezzo alla roccia: per quanto all’interno esso risplenda, all’esterno esso è stolto e insipiente».

 

Tutto ciò è forse valutato “incoscienza” e “inconcludenza”... ma porta ciò che siamo - esprimendo un altro modo di vedere il mondo.

In noi stessi e dentro il Richiamo dei Vangeli abbiamo una potenza fresca, che approva il percorso differente dall’immediatamente normale e dal vistoso lampante.

Un Appello che è incanto, delizia e splendore, perché ci attiva rimettendo in discussione.

Verbo che non ragiona secondo gli schemi.

Istanza accorata, che non si fa impressionare dalle cose eccezionali, dalle recite che soffocano l’anima in ricerca di senso e autenticità.

Genuina Meraviglia, impulso indomabile annidato nella dimensione di pienezza umana, e che non si arrende: vuole esprimersi nella sua trasparenza e farsi realtà.

Una sorta d’Infante intimo: si muove in modo giudicato “astruso”, ma rimette le cose a posto, dentro e fuori.

 

La testimonianza libera e vivificante, attenta e sempre personalmente geniale, sarà innata e inedita, graffiante, inventiva senz’accorgimenti, imprevedibile e affatto conformista.

Essa farà scaturire e incessantemente rialimenterà una esperienza di Fede convinta, singolare, incisiva - malgrado possa apparire perdente e non di successo, poco onorevole e insensazionale.

Assai più dei miracoli, le suppliche della nostra essenza e della realtà faranno riconoscere il richiamo e l’agire di Dio negli uomini e nella trama della storia.

Inviti che possono germinare altri sbalordimenti e prodigi di bontà divino-umana, che visioni parossistiche condite di nevrosi e sentimentalismi vuoti o magie.

Unico segno di salvezza è Cristo in noi - senza cuciture, né grandi gesti isterici.

Persona immagine e somiglianza dell’umanità nuova; manifestazione del potere di Dio sulla terra.

 

Per l’autentica conversione: nulla di esteriore.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Di che genere è la tua ricerca di prove?

In cosa si discosta il tuo Segno che fa credere dagli espedienti, da atti di forza, o da quello che altri vorrebbero che diffondessi?

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Praying, celebrating, imitating Jesus: these are the three "doors" - to be opened to find «the way, to go to truth and to life» (Pope Francis)
Pregare, celebrare, imitare Gesù: sono le tre “porte” — da aprire per trovare «la via, per andare alla verità e alla vita» (Papa Francesco)
In recounting the "sign" of bread, the Evangelist emphasizes that Christ, before distributing the food, blessed it with a prayer of thanksgiving (cf. v. 11). The Greek term used is eucharistein and it refers directly to the Last Supper, though, in fact, John refers here not to the institution of the Eucharist but to the washing of the feet. The Eucharist is mentioned here in anticipation of the great symbol of the Bread of Life [Pope Benedict]
Narrando il “segno” dei pani, l’Evangelista sottolinea che Cristo, prima di distribuirli, li benedisse con una preghiera di ringraziamento (cfr v. 11). Il verbo è eucharistein, e rimanda direttamente al racconto dell’Ultima Cena, nel quale, in effetti, Giovanni non riferisce l’istituzione dell’Eucaristia, bensì la lavanda dei piedi. L’Eucaristia è qui come anticipata nel grande segno del pane della vita [Papa Benedetto]
Work is part of God’s loving plan, we are called to cultivate and care for all the goods of creation and in this way share in the work of creation! Work is fundamental to the dignity of a person. Work, to use a metaphor, “anoints” us with dignity, fills us with dignity, makes us similar to God, who has worked and still works, who always acts (cf. Jn 5:17); it gives one the ability to maintain oneself, one’s family, to contribute to the growth of one’s own nation [Pope Francis]
Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio; noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo all’opera della creazione! Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre (cfr Gv 5,17); dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione [Papa Francesco]
God loves the world and will love it to the end. The Heart of the Son of God pierced on the Cross and opened is a profound and definitive witness to God’s love. Saint Bonaventure writes: “It was a divine decree that permitted one of the soldiers to open his sacred wide with a lance… The blood and water which poured out at that moment was the price of our salvation” (John Paul II)
Il mondo è amato da Dio e sarà amato fino alla fine. Il Cuore del Figlio di Dio trafitto sulla croce e aperto, testimonia in modo profondo e definitivo l’amore di Dio. Scriverà San Bonaventura: “Per divina disposizione è stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza” (Giovanni Paolo II))
[Nicodemus] felt the fascination of this Rabbi, so different from the others, but could not manage to rid himself of the conditioning of his environment that was hostile to Jesus, and stood irresolute on the threshold of faith (Pope Benedict)
[Nicodemo] avverte il fascino di questo Rabbì così diverso dagli altri, ma non riesce a sottrarsi ai condizionamenti dell’ambiente contrario a Gesù e resta titubante sulla soglia della fede (Papa Benedetto)
Those wounds that, in the beginning were an obstacle for Thomas’s faith, being a sign of Jesus’ apparent failure, those same wounds have become in his encounter with the Risen One, signs of a victorious love. These wounds that Christ has received for love of us help us to understand who God is and to repeat: “My Lord and my God!” (Pope Benedict)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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