La vita reale in Gesù - il condannato per aver vissuto controcorrente
(Gv 17,11b-19)
In Asia Minore si prendevano facilmente di mira le fraternità dei figli di Dio - innocue, eppure considerate una bomba per quel sistema.
Mondo il quale non voleva che qualsivoglia verità alternativa entrasse nel suo immaginario.
Immesse nella morte-risurrezione del Cristo, le comunità di Fede vivevano come una grande famiglia, unita nella carità e comprensione vicendevole - non secondo obblighi sociali già configurati.
Nelle chiese si percepiva il calore dei rapporti fraterni: un nucleo di società alternativa a quella dell’impero, che all’orizzonte del suo universo ben gestito escludeva l’accesso di umili e bisognosi.
La Fede giocava al limite.
In tale contesto, Gesù chiede al Padre un’intima custodia dei credenti, consacrati in Lui (vv.11-13.17.19)... non per toglierli dalle tribolazioni, bensì per l’evangelizzazione.
Procedendo il cammino di Esodo nei suoi, e immergendosi nelle situazioni, la sua Persona, Parola e vicenda prolungava l’atto gesuano della consacrazione del mondo [secondo categorie semitiche].
Non una sorta di protezione di sorelle e fratelli, alla stessa maniera d’una divinità pagana, ma per vivere la pienezza delle Beatitudini.
Tutto ciò, nell’arco di un discernimento profondo, e capacità d’azione incisiva - indotta dal clima fraterno e dal senso di approvazione divino, senza più diktat esterni.
Era il “potere” del «Nome» (vv.11-12): la realtà del nuovo Volto dell’Altissimo, come svelato nella vicenda problematica del Figlio.
Energia primordiale, intima ed empatica, che nei medesimi termini gloriosi e paradossali investiva i discepoli, chiamati a manifestare la condizione divina; diventati ‘come Cristo’.
Persino di fronte alle fatiche, a beffe e ripulse altrui, nell’amore scambievole vissuto in comunità, nella convivialità delle differenze di fedeli e assemblee, si manifestava la terapia e il rilancio di Dio.
Il Padre si svelava amore imprevedibile, proprio nella manifestazione di questa ‘Unità’.
Ma anche la presenza di Gesù non riuscì a proteggere Giuda dall’autodistruzione.
Il suo caso è un risultato speciale, proprio perché non ha avuto fiducia nell’amore e nella Parola della Vita.
Vittima d’influsso e calcolo di false guide esterne.
Qui si spiega l’esclusione del «mondo» dalla preghiera di Gesù (v.9).
Gesù promette una gioia contromano: la felicità autentica, la letizia delle radicali ‘differenze’.
Non l’allegria garantita dall’ambiente opulento e dispersivo dell’emporio cosmopolita di riferimento in Gv: Efeso [soprattutto del porto e dell’Artemision].
Cristo non desiderava assicurare l’ilare frenesia d’una religiosità contaminata da ambivalenze e tornaconti.
«Custodire nel Nome» (v.11) avrebbe dovuto essere: avere accesso al Padre, nel Figlio; proprio nel Gratis e nella cruda esperienza del figlio di falegname, così vessato dalle autorità.
In Lui - irradiando la sua eccentricità, trasparenza, e disinteresse - costruire Unità.
Solo nella consapevolezza di tale semenza e concatenazione intima, i discepoli potevano dedicare la vita a testimoniare Altre convinzioni - pur in clima d’intimidazione sociale.
Gesù ha trasformato la sua preoccupazione in preghiera.
[Mercoledì 7.a sett. di Pasqua, 4 giugno 2025]