don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Sabato, 07 Giugno 2025 06:30

Ricapitola la Rivelazione

Cari fratelli e sorelle!

Dopo il tempo pasquale, concluso domenica scorsa con la Pentecoste, la Liturgia è ritornata al “tempo ordinario”. Ciò non vuol dire però che l’impegno dei cristiani debba diminuire, anzi, entrati nella vita divina mediante i Sacramenti, siamo chiamati quotidianamente ad essere aperti all’azione della Grazia, per progredire nell’amore verso Dio e il prossimo. L’odierna domenica della Santissima Trinità, in un certo senso, ricapitola la rivelazione di Dio avvenuta nei misteri pasquali: morte e risurrezione di Cristo, sua ascensione alla destra del Padre ed effusione dello Spirito Santo. La mente e il linguaggio umani sono inadeguati a spiegare la relazione esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e tuttavia i Padri della Chiesa hanno cercato di illustrare il mistero di Dio Uno e Trino vivendolo nella propria esistenza con profonda fede.

La Trinità divina, infatti, prende dimora in noi nel giorno del Battesimo: “Io ti battezzo – dice il ministro – nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Il nome di Dio, nel quale siamo stati battezzati, noi lo ricordiamo ogni volta che tracciamo su noi stessi il segno della croce. Il teologo Romano Guardini, a proposito del segno della croce, osserva: “lo facciamo prima della preghiera, affinché … ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato … Esso abbraccia tutto l’essere, corpo e anima, … e tutto diviene consacrato nel nome del Dio uno e trino” (Lo spirito della liturgia. I santi segni, Brescia 2000, 125-126).

Nel segno della croce e nel nome del Dio vivente è, perciò, contenuto l’annuncio che genera la fede e ispira la preghiera. E, come nel vangelo Gesù promette agli Apostoli che “quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,13), così avviene nella liturgia domenicale, quando i sacerdoti dispensano, di settimana in settimana, il pane della Parola e dell’Eucaristia. Anche il santo Curato d’Ars lo ricordava ai suoi fedeli: “Chi ha accolto la vostra anima – diceva – al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? … sempre il sacerdote” (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale).

Cari amici, facciamo nostra la preghiera di sant’Ilario di Poitiers: “Conserva incontaminata questa fede retta che è in me e, fino al mio ultimo respiro, dammi ugualmente questa voce della mia coscienza, affinché io resti sempre fedele a ciò che ho professato nella mia rigenerazione, quando sono stato battezzato nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo” (De Trinitate, XII, 57, CCL 62/A, 627). Invocando la Beata Vergine Maria, prima creatura pienamente inabitata dalla Santissima Trinità, domandiamo la sua protezione per proseguire bene il nostro pellegrinaggio terreno.

[Papa Benedetto, Angelus 30 maggio 2010]

1. La Chiesa nel suo pellegrinaggio verso la piena comunione d’amore con Dio si presenta come un “popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Questa stupenda definizione di San Cipriano (De Orat.Dom. 23; cfr LG 4) ci introduce nel mistero della Chiesa, resa comunità di salvezza dalla presenza di Dio Trinità. Come l’antico popolo di Dio, essa è guidata nel suo nuovo Esodo dalla colonna di nube durante il giorno e dalla colonna di fuoco durante la notte, simboli della costante presenza divina. In questo orizzonte vogliamo contemplare la gloria della Trinità, che rende la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

2. La Chiesa è innanzitutto una. I battezzati, infatti, sono misteriosamente uniti a Cristo e costituiti suo Corpo mistico nella forza dello Spirito Santo. Come afferma il Concilio Vaticano II, “il supremo modello e il principio di questo mistero è l’unità nella Trinità delle persone di un solo Dio, Padre e Figlio nello Spirito Santo” (UR 2). Anche se nella storia questa unità ha conosciuto la prova dolorosa di tante divisioni, la sua inesauribile sorgente trinitaria spinge la Chiesa a vivere sempre più profondamente quella koinonia o comunione che risplendeva nella prima comunità di Gerusalemme (cfr At 2,42; 4,32).

Da questa prospettiva attinge luce il dialogo ecumenico, dal momento che tutti i cristiani sono consapevoli del fondamento trinitario della comunione: “La koinonia è opera di Dio e ha un carattere marcatamente trinitario. Nel battesimo si ha il punto di partenza dell’iniziazione della koinonia trinitaria per mezzo della fede, attraverso Cristo, nello Spirito… E i mezzi che lo Spirito ha dato per sostenere la koinonia sono la Parola, il ministero, i sacramenti, i carismi” (Prospettive sulla koinonia, Rapporto del III quinquennio 1985-89 del dialogo cattolici-pentecostali, n.31). A tal proposito il Concilio ricorda a tutti i fedeli che “con quanta più stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, con tanta più intima e facile azione potranno accrescere la mutua fraternità” (UR 7).

3. La Chiesa è anche santa. Nel linguaggio biblico, prima ancora che espressione della santità morale ed esistenziale del fedele, il concetto di “santo” rimanda alla consacrazione operata da Dio attraverso l’elezione e la grazia offerta al suo popolo. È, quindi, la presenza divina che “consacra nella verità” la comunità dei credenti (cfr Gv 17,17.19).

E il segno più alto di tale presenza è costituito dalla liturgia, che è l’epifania della consacrazione del popolo di Dio. In essa c’è la presenza eucaristica del corpo e sangue del Signore, ma anche “la nostra eucaristia, cioè il nostro rendere grazie a Dio, il lodarlo per averci redenti con la sua morte e resi partecipi della vita immortale per mezzo della sua risurrezione. Un tale culto, rivolto alla Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, accompagna e permea innanzitutto la Celebrazione Eucaristica. Ma esso deve pure riempire i nostri templi” e la vita della Chiesa (Dominicae Coenae n. 3). E proprio “mentre comunichiamo tra noi nella mutua carità e nell’unica lode della Trinità Santissima, corrispondiamo all’intima vocazione della Chiesa e pregustando partecipiamo alla liturgia della gloria eterna” (LG 51).

4. La Chiesa è cattolica, inviata per l’annuncio di Cristo al mondo intero nella speranza che tutti i capi dei popoli si raccolgano con il popolo del Dio di Abramo (cfr Sal 47,10; Mt 28,19). Come afferma il Concilio Vaticano II, “la Chiesa peregrinante è per sua natura missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre. Questo disegno scaturisce dall’ ‘amore fontale’, cioè dalla carità di Dio Padre, che essendo il principio senza principio, da cui il Figlio è generato e da cui lo Spirito Santo attraverso il Figlio procede, per la sua immensa e misericordiosa benignità ci crea liberamente e gratuitamente ci chiama a partecipare alla vita e alla sua gloria. Egli ha effuso con liberalità e non cessa di effondere la divina bontà, sicché lui che di tutti è il creatore, possa anche essere ‘tutto in tutti ’ (1 Cor 15,28), procurando ad un tempo la sua gloria e la nostra felicità” (AG 2).

5. La Chiesa, infine, è apostolica. Secondo il mandato di Cristo, gli apostoli devono andare e ammaestrare tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che egli ha comandato (cfr Mt 28,19-20). Questa missione si estende a tutta la Chiesa, che attraverso la Parola, resa viva, luminosa ed efficace dallo Spirito Santo e dai Sacramenti, “realizza il piano di Dio, a cui Cristo in spirito di obbedienza e di amore si consacrò per la gloria del Padre che l’aveva mandato, cioè la costituzione di tutto il genere umano nell’unico popolo di Dio, la sua riunione nell’unico corpo di Cristo, la sua edificazione nell’unico tempio dello Spirito Santo” (AG 7).

La Chiesa una, santa, cattolica e apostolica è popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo. Queste tre immagini bibliche additano in modo luminoso la dimensione trinitaria della Chiesa. In questa dimensione si ritrovano tutti i discepoli di Cristo, chiamati a viverla in modo sempre più profondo e con una comunione sempre più viva. Lo stesso ecumenismo trova nel riferimento trinitario il suo solido fondamento, poiché lo Spirito “unisce i fedeli con Cristo, mediatore di ogni dono di salvezza, e dona loro - attraverso lui - accesso al Padre, che nello stesso Spirito essi possono chiamare abba’, Padre” (Commissione Congiunta Cattolici Romani - Evangelici Luterani, Chiesa e giustificazione, n. 64). Nella Chiesa, dunque, ritroviamo una grandiosa epifania della gloria trinitaria. Raccogliamo, allora, l’invito che Sant’Ambrogio ci rivolge: “Alzati, tu che prima stavi sdraiato a dormire… Alzati e vieni di corsa alla Chiesa: qui c’è il Padre, qui c’è il Figlio, qui c’è lo Spirito Santo” (In Lucam VII).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 14 giugno 2000]

Sabato, 07 Giugno 2025 06:18

Mistero e noi

Oggi, festa della Santissima Trinità, il Vangelo di san Giovanni ci presenta un brano del lungo discorso di addio, pronunciato da Gesù poco prima della sua passione. In questo discorso Egli spiega ai discepoli le verità più profonde che lo riguardano; e così viene delineato il rapporto tra Gesù, il Padre e lo Spirito. Gesù sa di essere vicino alla realizzazione del disegno del Padre, che si compirà con la sua morte e risurrezione; per questo vuole assicurare ai suoi che non li abbandonerà, perché la sua missione sarà prolungata dallo Spirito Santo. Ci sarà lo Spirito a prolungare la missione di Gesù, cioè a guidare la Chiesa avanti.

Gesù rivela in che cosa consiste questa missione. Anzitutto lo Spirito ci guida a capire le molte cose che Gesù stesso ha ancora da dire (cfr Gv 16,12). Non si tratta di dottrine nuove o speciali, ma di una piena comprensione di tutto ciò che il Figlio ha udito dal Padre e che ha fatto conoscere ai discepoli (cfr v. 15). Lo Spirito ci guida nelle nuove situazioni esistenziali con uno sguardo rivolto a Gesù e, al tempo stesso, aperto agli eventi e al futuro. Egli ci aiuta a camminare nella storia saldamente radicati nel Vangelo e anche con dinamica fedeltà alle nostre tradizioni e consuetudini.

Ma il mistero della Trinità ci parla anche di noi, del nostro rapporto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Infatti, mediante il Battesimo, lo Spirito Santo ci ha inseriti nel cuore e nella vita stessa di Dio, che è comunione di amore. Dio è una “famiglia” di tre Persone che si amano così tanto da formare una sola cosa. Questa “famiglia divina” non è chiusa in sé stessa, ma è aperta, si comunica nella creazione e nella storia ed è entrata nel mondo degli uomini per chiamare tutti a farne parte. L’orizzonte trinitario di comunione ci avvolge tutti e ci stimola a vivere nell’amore e nella condivisione fraterna, certi che là dove c’è amore, c’è Dio.

Il nostro essere creati ad immagine e somiglianza di Dio-comunione ci chiama a comprendere noi stessi come esseri-in-relazione e a vivere i rapporti interpersonali nella solidarietà e nell’amore vicendevole. Tali relazioni si giocano, anzitutto, nell’ambito delle nostre comunità ecclesiali, perché sia sempre più evidente l’immagine della Chiesa icona della Trinità. Ma si giocano in ogni altro rapporto sociale, dalla famiglia alle amicizie all’ambiente di lavoro: sono occasioni concrete che ci vengono offerte per costruire relazioni sempre più umanamente ricche, capaci di rispetto reciproco e di amore disinteressato.

La festa della Santissima Trinità ci invita ad impegnarci negli avvenimenti quotidiani per essere lievito di comunione, di consolazione e di misericordia. In questa missione, siamo sostenuti dalla forza che lo Spirito Santo ci dona: essa cura la carne dell’umanità ferita dall’ingiustizia, dalla sopraffazione, dall’odio e dall’avidità. La Vergine Maria, nella sua umiltà, ha accolto la volontà del Padre e ha concepito il Figlio per opera dello Spirito Santo. Ci aiuti Lei, specchio della Trinità, a rafforzare la nostra fede nel Mistero trinitario e ad incarnarla con scelte e atteggiamenti di amore e di unità.

[Papa Francesco, Angelus 22 maggio 2016]

Limpidi e netti

(Mt 5,33-37)

 

«Sì quando è sì, No quando è no». Non c’è bisogno di dare forza alla fiducia.

 

Ogni giuramento - anche sacrale - è una scappatoia che non guarisce una realtà già spenta.

Il teatrino delle formule roboanti ammette solo la convinzione che dell’Altro non ci si possa fidare appieno.

La trasparenza totale nei rapporti non ha bisogno di sgabelli a sostegno. 

È ridicolo tentare di favorire la reciprocità inventando l’aiutino del giuramento, che rafforzi la parola di una persona con qualcosa di più grande di lui [in grado di metterlo in castigo nel caso d’inadempienze; poi vada come vada].

Le buone relazioni, l’ideale di giustizia, il credito, e tutta la nostra vita, giungono a perfezione in modo limpido.

Non c’è bisogno di girare attorno, diventare artificiali, appoggiarsi su altre cautele che poi si rimangiano la parola, anche se ben allestite e perfettamente messe in scena.

 

Veniamo al punto teologico: ciò che conta per il Padre è la Persona, non le sue espressioni simboliche o i suoi ‘meriti’ - finti puntelli al tu-per-tu, da apparecchiare in vetrina per dirottarlo.

Il faccia a faccia vale tutta la partita: assai più di ciò che suona a orecchio, ben oltre la contabilità di quanto donna e uomo hanno adempiuto.

La nostra lealtà forte davanti a Dio non c’è; anzi, ne abbiamo bisogno. Inutile nascondere la polvere sotto un tappeto di motti e sproloqui altisonanti.

Anche il mucchio delle opere di legge “perfettamente” assolte non fornisce alcun supporto.

Infatti le impalcature possono sembrare eccelse e fenomenali, ma sono cosa epidermica (spesso purtroppo insincera: castelli di carta e cartapesta) e col doppio scopo.

 

Il Padre è impressionato dal suo capolavoro creaturale, dal cuore schietto della donna e dell’uomo; non dal fumo negli occhi di montature impersonali allestite all’uopo.

Neppure si lascia blandire da piazzate di espressioni rituali, sigle, frasi fatte; o persino adempimenti eroici che rischiano di ledere le linee portanti della personalità e della Chiamata per Nome.

 

Non c’è nulla di più alto del nostro ‘volto’; il resto è astuzia e menzogna.  Mezzucci pericolosissimi.

I laici puritani dicevano: «Maggiori sono le forme, minore è la verità». Non: dare a credere.

Azioni, comportamenti, parole nitide. Questo vale. 

Insomma non dobbiamo ‘migliorare’ a modello e facsimile esterni - né allestire maggiori eventi - se non col Suo Gratis, assai più affidabile, permanente, efficace, delle nostre osservanze [omologanti e talora vanitose].

Il potere che abbiamo in dote non può incidere neppure sul colore naturale di un capello; questa la realtà - dietro le grandi quinte che mettiamo a punto per non ammettere che… qualcosa non va.

L’integrità che conta è tranquilla, trasparente, spontanea, schietta: non può essere roba nostra. Inutile fare e rifare ‘giuramenti’ per ingannare persino Dio.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ti sei ritrovato mercante all’ultima fiera? Ti sei mai espresso come un falsario?

 

 

[Sabato 10.a sett. T.O.  14 giugno 2025]

Limpidi e netti

(Mt 5,33-37)

 

«Sì quando è sì, No quando è no». Non c’è bisogno di dare forza alla fiducia.

 

Ogni giuramento - anche sacrale - è una scappatoia che non guarisce una realtà già spenta.

Il teatrino delle formule roboanti ammette solo la convinzione che dell’Altro non ci si possa fidare appieno.

La trasparenza totale nei rapporti non ha bisogno di sgabelli a sostegno. 

È ridicolo tentare di favorire la reciprocità inventando l’aiutino del giuramento, che rafforzi la parola di una persona con qualcosa di più grande di lui [in grado di metterlo in castigo nel caso d’inadempienze; poi vada come vada].

Le buone relazioni, l’ideale di giustizia, il credito, e tutta la nostra vita, giungono a perfezione in modo limpido.

Non c’è bisogno di girare attorno, diventare artificiali, appoggiarsi su altre cautele che poi si rimangiano la parola, anche se ben allestite e perfettamente messe in scena.

 

Veniamo al punto teologico: ciò che conta per il Padre è la Persona, non le sue espressioni simboliche o i suoi ‘meriti’ - finti puntelli al tu-per-tu, da apparecchiare in vetrina per dirottarlo.

Il faccia a faccia vale tutta la partita: assai più di ciò che suona a orecchio, ben oltre la contabilità di quanto donna e uomo hanno adempiuto.

La nostra lealtà forte davanti a Dio non c’è; anzi, ne abbiamo bisogno. Inutile nascondere la polvere sotto un tappeto di motti e sproloqui altisonanti.

Anche il mucchio delle opere di legge “perfettamente” assolte non fornisce alcun supporto.

Infatti le impalcature possono sembrare eccelse e fenomenali, ma sono cosa epidermica (spesso purtroppo insincera: castelli di carta e cartapesta) e col doppio scopo.

 

Il Padre è impressionato dal suo capolavoro creaturale, dal cuore schietto della donna e dell’uomo; non dal fumo negli occhi di montature impersonali allestite all’uopo.

Neppure si lascia blandire da piazzate di espressioni rituali, sigle, frasi fatte; o persino adempimenti eroici che rischiano di ledere le linee portanti della personalità e della Chiamata per Nome.

 

Non c’è nulla di più alto del nostro ‘volto’; il resto è astuzia e menzogna.  Mezzucci pericolosissimi.

I laici puritani dicevano: «Maggiori sono le forme, minore è la verità». Non: dare a credere.

Azioni, comportamenti, parole nitide. Questo vale. 

Insomma non dobbiamo ‘migliorare’ a modello e facsimile esterni - né allestire maggiori eventi - se non col Suo Gratis, assai più affidabile, permanente, efficace, delle nostre osservanze [omologanti e talora vanitose].

Il potere che abbiamo in dote non può incidere neppure sul colore naturale di un capello; questa la realtà - dietro le grandi quinte che mettiamo a punto per non ammettere che… qualcosa non va.

L’integrità che conta è tranquilla, trasparente, spontanea, schietta: non può essere roba nostra. Inutile fare e rifare ‘giuramenti’ per ingannare persino Dio.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ti sei ritrovato mercante all’ultima fiera? Ti sei mai espresso come un falsario?

 

 

 

L’acqua vanesia del sacro che trattiene per sé, e la vera Sorgente

(Gv 5,1-3.5-16)

 

«Egli, invece, compie su di lui diversi gesti: prima di tutto lo condusse in disparte lontano dalla folla. In questa occasione, come in altre, Gesù agisce sempre con discrezione. Non vuole fare colpo sulla gente, Lui non è alla ricerca della popolarità o del successo, ma desidera soltanto fare del bene alle persone. Con questo atteggiamento, Egli ci insegna che il bene va compiuto senza clamori, senza ostentazione, senza “far suonare la tromba”. Va compiuto in silenzio.

[…] La guarigione fu per lui un’«apertura» agli altri e al mondo.

Questo racconto del Vangelo sottolinea l’esigenza di una duplice guarigione. Innanzitutto la guarigione dalla malattia e dalla sofferenza fisica, per restituire la salute del corpo; anche se questa finalità non è completamente raggiungibile nell’orizzonte terreno, nonostante tanti sforzi della scienza e della medicina. Ma c’è una seconda guarigione, forse più difficile, ed è la guarigione dalla paura. La guarigione dalla paura che ci spinge ad emarginare l’ammalato, ad emarginare il sofferente, il disabile. E ci sono molti modi di emarginare, anche con una pseudo pietà o con la rimozione del problema; si resta sordi e muti di fronte ai dolori delle persone segnate da malattie, angosce e difficoltà. Troppe volte l’ammalato e il sofferente diventano un problema, mentre dovrebbero essere occasione per manifestare la sollecitudine e la solidarietà di una società nei confronti dei più deboli».

[Papa Francesco, Angelus 9 settembre 2018]

 

Gesù preferisce trasgredire la legge che allinearsi al mondo spietato e alla società inviolabile dell’esterno, che emargina i disgraziati.

Nella religione dei trofei competitivi, degli abbandoni reali e delle speranze false o banali, qualcuno a lotteria viene sanato, tutti gli altri no. Solo il più svelto guarisce, non il più bisognoso.

In ogni caso, la stragrande maggioranza rimane a guardare, paralizzata dalla solitudine - viceversa chi ne è affetto chiede vita, refrigerio; il canto gorgogliante di una storia autenticamente sacra.

 

In quel tempo, nei luoghi “santi” il culto dei sacrifici esigeva molta acqua [per gli animali da lavare, quindi sgozzare e macellare] in specie nelle grandi feste.

Ampie cisterne raccoglievano l’acqua piovana, e terme pubbliche (verso nord) agglomeravano i malati in attesa di aiuto o guarigione dallo stesso isolamento cui erano condannati - secondo norme di purità.

Le piscine al di fuori erano utilizzate per tergere gli agnelli prima del sacrificio al Tempio, e questo metodo di utilizzo conferiva all’acqua stessa un alone di santità risanatrice.

 

Molti malati accorrevano per bagnarsi nel «moto dell’acqua» (v.3).

Si narrava che un angelo agitasse le acque delle terme popolari [forse per una fonte intermittente] e che il primo a entrarvi nell’unico momento che si rendevano irrequiete sarebbe guarito.

Simbolo di una religione che porge ai malfermi speranze fasulle, le quali pure attraggono l’immaginario delle masse escluse, vessate da calamità - che non conoscono l’uomo-Dio del loro destino.

 

«Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse, perché Gesù si era allontanato, essendoci folla in quel luogo» (v.13).

Il Volto del Figlio è inconoscibile nella ressa attorno, malgrado la pletora di guide e devoti impeccabili - che solo distraggono, e si accontentano delle forme abitudinarie dell’organizzazione, esageratamente solenni.

 

Condotte abbondanti purificavano il Tempio e trascuravano le persone.

Icona di una religiosità ricca e misera: vanesia, inutile, dannosa; che abbandona a se stessi coloro che è chiamata a sostenere.

Gli scribi insegnavano la legge agli studenti nel recinto sacro e i rabbini ricevevano i clienti sotto il portico di Salomone, sulla spianata del Tempio, verso est.

In alto la Torah e i suoi commerci; in basso e fuori - lì vicino - il tradimento dei poveracci.

 

L’acqua fluiva nel Tempio, ma non mondava nessuno - anzi, peggiorava la situazione.

Ciò perdurava da tutta un’era - una «generazione» (v.5). Simbologia dei 38 anni (Dt 2,14) che appunto mancava di mentalità accogliente.

 

L’istituzione religiosa ufficiale teneva la folla a distanza di sicurezza, rivelando solo una ridicola e brutale caricatura del Volto amico, ospitale e compartecipe del Padre.

La turba dei bisognosi cui giungeva acqua magica solo a caso e a sorpresa è appunto parabola dell’umanità indigente, drammaticamente sprovvista di tutto - persino d’un conforto spirituale autentico.

Gesù invece avvicina i bisognosi di sua iniziativa (vv.6.14) e si coinvolge - a rischio della vita - con chi è più solo, impacciato e goffo.

Lui in noi: volti accoglienti e presenza attiva del Padre, d’istinto accostati non alla gente che conta, ma al trascurato, agli infermi - impossibilitati persino a ricevere miracoli.

Siamo inviati non a meritevoli e autosufficienti, ma proprio a coloro non in grado di usare i propri mezzi per farsi avanti.

Quelli che traballano - e su ciò non c’è bisogno d’imprimatur: tale norma è di diritto divino.

 

Alcuna gioia da parte delle autorità... solo inchieste.

Non importa: nessun timore reverenziale. Dio non è desideroso di farsi obbedire; piuttosto, di realizzarci.

Cristo stesso non opera al fine di farsi riconoscere e acclamare [«si era allontanato»]. E neppure ha cura di noi, solo per attivare una conversione religiosa.

Egli guarisce avendo percepito il bisogno, non affinché il malato creda in Dio.

 

Dice il Tao Tê Ching [x]: «Fa’ vivere le creature e nutrile, falle vivere e non tenerle come tue». «Parlar molto e scrutar razionalmente val meno che mantenersi vuoto» (v).

 

Lasciamo le persone libere di attraversare le loro stagioni, non stereotipi.

Solo, aiutiamo ad aprire porte più genuine e commisurate al cammino personale, anche inopinato o scontrollato.

Siamo interpellati e mandati ad accompagnare ciascuno nell’inaudito, tutto originale - guidando non a una sacralità già redatta, bensì alla plasticità di consapevolezze sane.

Venerdì, 06 Giugno 2025 05:49

Recupero di semplicità

[…] Parlare di Dio vuol dire anzitutto avere ben chiaro ciò che dobbiamo portare agli uomini e alle donne del nostro tempo: non un Dio astratto, una ipotesi, ma un Dio concreto, un Dio che esiste, che è entrato nella storia ed è presente nella storia; il Dio di Gesù Cristo come risposta alla domanda fondamentale del perché e del come vivere. Per questo, parlare di Dio richiede una familiarità con Gesù e il suo Vangelo, suppone una nostra personale e reale conoscenza di Dio e una forte passione per il suo progetto di salvezza, senza cedere alla tentazione del successo, ma seguendo il metodo di Dio stesso. Il metodo di Dio è quello dell’umiltà – Dio si fa uno di noi – è il metodo realizzato nell’Incarnazione nella semplice casa di Nazaret e nella grotta di Betlemme, quello della parabola del granellino di senape. Occorre non temere l’umiltà dei piccoli passi e confidare nel lievito che penetra nella pasta e lentamente la fa crescere (cfr Mt 13,33). Nel parlare di Dio, nell’opera di evangelizzazione, sotto la guida dello Spirito Santo, è necessario un recupero di semplicità, un ritornare all’essenziale dell’annuncio: la Buona Notizia di un Dio che è reale e concreto, un Dio che si interessa di noi, un Dio-Amore che si fa vicino a noi in Gesù Cristo fino alla Croce e che nella Risurrezione ci dona la speranza e ci apre ad una vita che non ha fine, la vita eterna, la vita vera [...]

Parlare di Dio, quindi, vuol dire far comprendere con la parola e con la vita che Dio non è il concorrente della nostra esistenza, ma piuttosto ne è il vero garante, il garante della grandezza della persona umana. Così ritorniamo all’inizio: parlare di Dio è comunicare, con forza e semplicità, con la parola e con la vita, ciò che è essenziale: il Dio di Gesù Cristo, quel Dio che ci ha mostrato un amore così grande da incarnarsi, morire e risorgere per noi; quel Dio che chiede di seguirlo e lasciarsi trasformare dal suo immenso amore per rinnovare la nostra vita e le nostre relazioni; quel Dio che ci ha donato la Chiesa, per camminare insieme e, attraverso la Parola e i Sacramenti, rinnovare l’intera Città degli uomini, affinché possa diventare Città di Dio.

[Papa Benedetto, Udienza Generale 28 novembre 2012]

Venerdì, 06 Giugno 2025 05:45

Schiettezza

1. Nei Vangeli troviamo un altro fatto che attesta la coscienza di Gesù di possedere un’autorità divina, e la persuasione che di tale autorità ebbero gli evangelisti e la prima comunità cristiana. Infatti i Sinottici sono concordi nel dire che gli ascoltatori di Gesù “erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi” (Mc 1, 22; Mt 7, 29; Lc 4, 32). È un’informazione preziosa che Marco ci dà fin dall’inizio del suo Vangelo. Essa ci attesta che la gente aveva colto subito la differenza tra l’insegnamento di Cristo e quello degli scribi israeliti, e non solo nel modo, ma nella stessa sostanza: gli scribi poggiavano il loro insegnamento sul testo della Legge mosaica, della quale erano interpreti e chiosatori; Gesù non seguiva affatto il metodo di un “insegnante” o di un “commentatore” della Legge antica, ma si comportava come un legislatore e, in definitiva, come uno che aveva autorità sulla Legge. Si noti: gli ascoltatori sapevano bene che si trattava della Legge divina, data da Mosè in forza di in potere che Dio stesso gli aveva concesso come a suo rappresentante e mediatore presso il popolo di Israele.

Gli evangelisti e la prima comunità cristiana che riflettevano su quell’osservazione degli ascoltatori circa l’insegnamento di Gesù, si rendevano conto ancor meglio del suo significato integrale, perché potevano confrontarla con tutto il successivo ministero di Cristo. Per i Sinottici e per i loro lettori era quindi logico il passaggio dall’affermazione di un potere sulla Legge mosaica e su tutto l’Antico Testamento a quella della presenza di un’autorità divina in Cristo. E non solo come in un Inviato o Legato di Dio come era stato nel caso di Mosè: Cristo attribuendosi il potere di completare e interpretare autorevolmente o addirittura di dare in modo nuovo la Legge di Dio, mostrava la sua coscienza di essere “uguale a Dio” (cf. Fil 2, 6).

2. Che il potere attribuitosi da Cristo sulla Legge comporti un’autorità divina, lo dimostra il fatto che egli non crea un’altra Legge abolendo l’antica: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti; non sono venuto per abolire ma per dare compimento” (Mt 5, 17). È chiaro che Dio non potrebbe “abolire” la Legge che egli stesso ha dato. Può invece - come fa Gesù Cristo - chiarire il suo pieno significato, far capire il suo giusto senso, correggere le false interpretazioni e le arbitrarie applicazioni, a cui il popolo e i suoi stessi maestri e dirigenti, cedendo alle debolezze e limitazioni della condizione umana, l’hanno piegata.

Per questo Gesù annunzia, proclama e richiede una “giustizia” superiore a quella degli scribi e dei farisei (cf. Mt 5, 20), la “giustizia” che Dio stesso si è proposto ed esige con l’osservanza fedele della Legge in ordine al “regno dei cieli”. Il Figlio dell’uomo opera dunque come un Dio che ristabilisce ciò che Dio ha voluto e posto una volta per sempre.

3. Difatti della Legge di Dio egli anzitutto proclama: “In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno della legge, senza che tutto sia compiuto” (Mt 5, 18). È una dichiarazione drastica, con la quale Gesù vuole affermare sia l’immutabilità sostanziale della Legge mosaica, sia il compimento messianico che essa riceve nella sua parola. Si tratta di una “pienezza” dell’Antica Legge, che egli, insegnando “come uno che ha autorità” sulla Legge, fa vedere che si manifesta soprattutto nell’amore di Dio e del prossimo. “Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22, 40). Si tratta di un “compimento” corrispondente allo “spirito” della Legge, che già traspare dalla “lettera” dell’Antico Testamento, che Gesù coglie, sintetizza, e propone con l’autorità di uno che è Signore anche della Legge. I precetti dell’amore, e anche della fede generatrice di speranza nell’opera messianica, che egli aggiunge alla Legge antica esplicitandone il contenuto e sviluppandone le virtualità nascoste, sono pure un compimento.

La sua vita è un modello di questo compimento, sicché Gesù può dire ai suoi discepoli non solo e non tanto: Seguite la mia Legge, ma: Seguite me, imitate me, camminate nella luce che viene da me.

4. Il Discorso della montagna, come è riportato da Matteo, è il luogo del Nuovo Testamento dove si vede affermato chiaramente ed esercitato decisamente da Gesù il potere sulla Legge che Israele ha ricevuto da Dio come cardine dell’alleanza. È là che, dopo avere dichiarato il valore perenne della Legge e il dovere di osservarla (Mt 5, 18-19), Gesù passa ad affermare la necessità di una “giustizia” superiore a “quella degli scribi e dei farisei”, ossia di una osservanza della Legge animata dal nuovo spirito evangelico di carità e di sincerità.

Le esemplificazioni concrete sono note. La prima consiste nella vittoria sull’ira, il risentimento, il malanimo che si annidano facilmente nel cuore umano, anche quando si può esibire un’esteriore osservanza dei precetti mosaici, tra i quali quello di non uccidere: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio” (Mt 5, 21-22). La stessa cosa vale per chi avrà offeso un altro con parole ingiuriose, con scherzi e derisioni. È la condanna di ogni cedimento all’istinto dell’avversione, che potenzialmente è già un atto di lesione e persino di uccisione, almeno spirituale, perché viola l’economia dell’amore nei rapporti umani e fa del male agli altri e a questa condanna Gesù intende contrapporre la Legge della carità che purifica e riordina l’uomo fin nei più intimi sentimenti e movimenti del suo spirito. Della fedeltà a questa Legge Gesù fa una condizione indispensabile della stessa pratica religiosa: “Se dunque presenti la tua offerta all’altare e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, e va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-24). Trattandosi di una legge d’amore, è persino irrilevante chi sia ad avere in cuore qualcosa contro l’altro: l’amore predicato da Gesù parifica e unifica tutti nel volere il bene, nello stabilire o ristabilire l’armonia nei rapporti col prossimo, persino in casi di contese e di procedimenti giudiziari (cf. Mt 5, 25).

5. Un’altra esemplificazione di perfezionamento della Legge è quella circa il sesto comandamento del Decalogo, nel quale Mosè proibiva l’adulterio. Con un linguaggio iperbolico e persino paradossale, atto a richiamare l’attenzione e a scuotere lo stato d’animo degli ascoltatori, Gesù annuncia. “Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio, ma io vi dico . . .” (Mt 5, 27); e condanna anche gli sguardi e i desideri impuri, mentre raccomanda la fuga delle occasioni, il coraggio della mortificazione, la subordinazione di tutti gli atti e i comportamenti alle esigenze della salvezza dell’anima e di tutto l’uomo (cf. Mt 5, 29-30).

A questo caso se ne ricollega in certo modo un altro che Gesù affronta subito: “Fu anche detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico . . .” e dichiara decaduta la concessione fatta dall’antica Legge al popolo di Israele “per la durezza del cuore” (cf. Mt 19, 8), proibendo anche questa forma di violazione della legge dell’amore in armonia con il ristabilimento della indissolubilità del matrimonio (cf. Mt 19, 9).

6. Con lo stesso procedimento Gesù contrappone all’antico divieto di spergiurare, quello di non giurare affatto (Mt 5, 33-38), e la ragione che emerge abbastanza chiaramente è ancora fondata nell’amore: non si deve essere increduli o diffidenti col prossimo, quando è abitualmente schietto e leale, e piuttosto occorre da una parte e dall’altra seguire questa legge fondamentale del parlare e dell’agire: “Il vostro linguaggio sia , se è sì; no, se è no. Il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37).

[Giovanni Paolo II, Udienza Generale 14 ottobre 1987]

Venerdì, 06 Giugno 2025 05:37

Non di facciata

L’odierna liturgia ci presenta un’altra pagina del Discorso della montagna, che troviamo nel Vangelo di Matteo (cfr 5,17-37). In questo brano, Gesù vuole aiutare i suoi ascoltatori a compiere una rilettura della legge mosaica. Quello che fu detto nell’antica alleanza era vero, ma non era tutto: Gesù è venuto per dare compimento e per promulgare in modo definitivo la legge di Dio, fino all’ultimo iota (cfr v. 18). Egli ne manifesta le finalità originarie e ne adempie gli aspetti autentici, e fa tutto questo mediante la sua predicazione e più ancora con l’offerta di sé stesso sulla croce. Così Gesù insegna come fare pienamente la volontà di Dio e usa questa parola: con una “giustizia superiore” rispetto a quella degli scribi e dei farisei (cfr v. 20). Una giustizia animata dall’amore, dalla carità, dalla misericordia, e pertanto capace di realizzare la sostanza dei comandamenti, evitando il rischio del formalismo. Il formalismo: questo posso, questo non posso; fino a qui posso, fino a qui non posso … No: di più, di più.

In particolare, nel Vangelo di oggi Gesù prende in esame tre aspetti, tre comandamenti: l’omicidio, l’adulterio e il giuramento.

Riguardo al comandamento “non uccidere”, Egli afferma che viene violato non solo dall’omicidio effettivo, ma anche da quei comportamenti che offendono la dignità della persona umana, comprese le parole ingiuriose (cfr v. 22). Certo, queste parole ingiuriose non hanno la stessa gravità e colpevolezza dell’uccisione, ma si pongono sulla stessa linea, perché ne sono le premesse e rivelano la stessa malevolenza. Gesù ci invita a non stabilire una graduatoria delle offese, ma a considerarle tutte dannose, in quanto mosse dall’intento di fare del male al prossimo. E Gesù dà l’esempio. Insultare: noi siamo abituati a insultare, è come dire “buongiorno”. E quello è sulla stessa linea dell’uccisione. Chi insulta il fratello, uccide nel proprio cuore il fratello. Per favore, non insultare! Non guadagniamo niente…

Un altro compimento è apportato alla legge matrimoniale. L’adulterio era considerato una violazione del diritto di proprietà dell’uomo sulla donna. Gesù invece va alla radice del male. Come si arriva all’omicidio attraverso le ingiurie, le offese e gli insulti, così si giunge all’adulterio attraverso le intenzioni di possesso nei riguardi di una donna diversa dalla propria moglie. L’adulterio, come il furto, la corruzione e tutti gli altri peccati, vengono prima concepiti nel nostro intimo e, una volta compiuta nel cuore la scelta sbagliata, si attuano nel comportamento concreto. E Gesù dice: chi guarda una donna che non è la propria con animo di possesso è un adultero nel suo cuore, ha incominciato la strada verso l’adulterio. Pensiamo un po’ su questo: sui pensieri cattivi che vengono in questa linea.

Gesù, poi, dice ai suoi discepoli di non giurare, in quanto il giuramento è segno dell’insicurezza e della doppiezza con cui si svolgono le relazioni umane. Si strumentalizza l’autorità di Dio per dare garanzia alle nostre vicende umane. Piuttosto siamo chiamati ad instaurare tra di noi, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità un clima di limpidezza e di fiducia reciproca, così che possiamo essere ritenuti sinceri senza ricorrere a interventi superiori per essere creduti. La diffidenza e il sospetto reciproco minacciano sempre la serenità!

La Vergine Maria, donna dell’ascolto docile e dell’obbedienza gioiosa, ci aiuti ad accostarci sempre più al Vangelo, per essere cristiani non “di facciata”, ma di sostanza! E questo è possibile con la grazia dello Spirito Santo, che ci permette di fare tutto con amore, e così di compiere pienamente la volontà di Dio.

[Papa Francesco, Angelus 12 febbraio 2017]

Giovedì, 05 Giugno 2025 05:11

La Rivelazione della pari dignità

(Mt 5,27-32)

 

Nel diritto matrimoniale semitico la donna era valutata proprietà del marito: non veniva considerata persona giuridica, bensì un possesso dell’uomo, che poteva fare da padrone.

Anche nel Primo Testamento il peccato di adulterio era valutato come una sorta di grave violazione del diritto di proprietà del maschio, nonché eventuale impurità di sangue [il cui mescolamento era aborrito].

Sembrerà strano per la nostra mentalità, ma ciò aveva maggiore peso della stessa trasgressione morale.

Gesù rivela invece il valore della persona come tale.

Egli porta in primo piano il senso degli approcci e delle violazioni che ledono e offendono l’esistere dei deboli.

Addirittura introduce l’annuncio della pari dignità fra uomo e donna.

Il matrimonio è comunità d’amore, non unione dissolubile dal capriccio e dal calcolo materiale.

Situazione che finirà per censurare la persona indifesa - la quale poi [abbandonata] per vivere sarà condannata a subire altre violazioni di sé (v.32).

Con parole taglienti, il Signore richiama la necessità di una dura intransigenza verso ogni deviazione pedestre dell’egoismo, che umilia l’innocente privo di tutele.

Per salvare l’amore e dargli vigore, il Maestro prospetta anche amputazioni dolorose. Porre in atto i più gravi sacrifici può liberare il “forte” dal suo delirio.

Un’attrazione senza dono di sé non esprime la persona alla persona, è frutto acerbo d’immaturità vagabonda e conduce all’alienazione.

La donna - ossia il debole e innocente, che ama di più e sul serio - non è creatura passibile di beffe, né riducibile a possesso, cosa, bene di consumo, solo utile al padrone di casa.

Scrive in tal guisa Albertine Tshibilondi Ngoyi:

«La donna africana non è né un riflesso dell’uomo né una schiava. Non prova alcun bisogno di imitare l’uomo per esprimere la propria personalità. Secerne una civiltà originale con il suo lavoro, il suo genio personale, le sue preoccupazioni, il suo linguaggio e i suoi costumi. Non si è lasciata colonizzare dall’uomo e dal prestigio della civiltà maschile».

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Hai uno sguardo che apre il varco al tradimento? Non ritieni che esso manifesti in atto una leggerezza d’impostazione e una scelta di vita scadente?

Non credi che il cuore disintegrato sia segno d’una inquietudine e insoddisfazione più profonda, che va oltre l’infedeltà morale?

Rifletti sul modo d’investire le energie che percorrono la tua chiamata e missione?

 

 

[Venerdì 10.a sett. T.O.  13 giugno 2025]

Giovedì, 05 Giugno 2025 05:06

L’amore di Dio: agape ed eros

Il termine agape, molte volte presente nel Nuovo Testamento, indica l’amore oblativo di chi ricerca esclusivamente il bene dell’altro; la parola eros denota invece l’amore di chi desidera possedere ciò che gli manca ed anela all’unione con l’amato. L’amore di cui Dio ci circonda è senz’altro agape. In effetti, può l’uomo dare a Dio qualcosa di buono che Egli già non possegga? Tutto ciò che l’umana creatura è ed ha è dono divino: è dunque la creatura ad aver bisogno di Dio in tutto. Ma l’amore di Dio è anche eros. Nell’Antico Testamento il Creatore dell’universo mostra verso il popolo che si è scelto una predilezione che trascende ogni umana motivazione. Il profeta Osea esprime questa passione divina con immagini audaci come quella dell’amore di un uomo per una donna adultera (cfr 3,1-3); Ezechiele, per parte sua, parlando del rapporto di Dio con il popolo di Israele, non teme di utilizzare un linguaggio ardente e appassionato (cfr 16,1-22). Questi testi biblici indicano che l’eros fa parte del cuore stesso di Dio: l’Onnipotente attende il “sì” delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa. Purtroppo fin dalle sue origini l’umanità, sedotta dalle menzogne del Maligno, si è chiusa all’amore di Dio, nell’illusione di una impossibile autosufficienza (cfr Gn 3,1-7). Ripiegandosi su se stesso, Adamo si è allontanato da quella fonte della vita che è Dio stesso, ed è diventato il primo di “quelli che per timore della morte erano tenuti in schiavitù per tutta la vita” (Eb 2,15). Dio, però, non si è dato per vinto, anzi il “no” dell’uomo è stato come la spinta decisiva che l’ha indotto a manifestare il suo amore in tutta la sua forza redentrice.

[Papa Benedetto, Messaggio per la Quaresima 2007]

Pagina 4 di 40
The drama of prayer is fully revealed to us in the Word who became flesh and dwells among us. To seek to understand his prayer through what his witnesses proclaim to us in the Gospel is to approach the holy Lord Jesus as Moses approached the burning bush: first to contemplate him in prayer, then to hear how he teaches us to pray, in order to know how he hears our prayer (Catechism of the Catholic Church n.2598)
L’evento della preghiera ci viene pienamente rivelato nel Verbo che si è fatto carne e dimora in mezzo a noi. Cercare di comprendere la sua preghiera, attraverso ciò che i suoi testimoni ci dicono di essa nel Vangelo, è avvicinarci al santo Signore Gesù come al roveto ardente: dapprima contemplarlo mentre prega, poi ascoltare come ci insegna a pregare, infine conoscere come egli esaudisce la nostra preghiera (Catechismo della Chiesa Cattolica n.2598)
If penance today moves from the material to the spiritual side, let's say, from the body to the soul, from the outside to the inside, it is no less necessary and less feasible (Pope Paul VI)
Se la penitenza si sposta oggi dalla parte, diciamo, materiale a quella spirituale, dal corpo all’anima, dall’esterno all’interno, non è meno necessaria e meno attuabile (Papa Paolo VI)
“Love is an excellent thing”, we read in the book the Imitation of Christ. “It makes every difficulty easy, and bears all wrongs with equanimity…. Love tends upward; it will not be held down by anything low… love is born of God and cannot rest except in God” (III, V, 3) [Pope Benedict]
«Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3) [Papa Benedetto]
For Christians, non-violence is not merely tactical behaviour but a person's way of being (Pope Benedict)
La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere (Papa Benedetto)
But the mystery of the Trinity also speaks to us of ourselves, of our relationship with the Father, the Son and the Holy Spirit (Pope Francis)
Ma il mistero della Trinità ci parla anche di noi, del nostro rapporto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (Papa Francesco)
Jesus contrasts the ancient prohibition of perjury with that of not swearing at all (Matthew 5: 33-38), and the reason that emerges quite clearly is still founded in love: one must not be incredulous or distrustful of one's neighbour when he is habitually frank and loyal, and rather one must on the one hand and on the other follow this fundamental law of speech and action: "Let your language be yes if it is yes; no if it is no. The more is from the evil one" (Mt 5:37) [John Paul II]
Gesù contrappone all’antico divieto di spergiurare, quello di non giurare affatto (Mt 5, 33-38), e la ragione che emerge abbastanza chiaramente è ancora fondata nell’amore: non si deve essere increduli o diffidenti col prossimo, quando è abitualmente schietto e leale, e piuttosto occorre da una parte e dall’altra seguire questa legge fondamentale del parlare e dell’agire: “Il vostro linguaggio sia sì, se è sì; no, se è no. Il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37) [Giovanni Paolo II]
And one thing is the woman before Jesus, another thing is the woman after Jesus. Jesus dignifies the woman and puts her on the same level as the man because he takes that first word of the Creator, both are “God’s image and likeness”, both; not first the man and then a little lower the woman, no, both. And the man without the woman next to him - both as mother, as sister, as bride, as work partner, as friend - that man alone is not the image of God (Pope Francis)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

duevie.art

don Giuseppe Nespeca

Tel. 333-1329741


Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.