Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Poco fa abbiamo cantato nella Sequenza: “Dogma datur christianis, / quod in carnem transit panis, / et vinum in sanguinem – È certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino”. Quest’oggi riaffermiamo con trasporto la nostra fede nell’Eucaristia, il Mistero che costituisce il cuore della Chiesa. Nella recente Esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis ho ricordato che il Mistero eucaristico “è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo” (n. 1). Pertanto quella del Corpus Domini è una festa singolare e costituisce un importante appuntamento di fede e di lode per ogni comunità cristiana. È festa che ha avuto origine in un determinato contesto storico e culturale: è nata con lo scopo ben preciso di riaffermare apertamente la fede del Popolo di Dio in Gesù Cristo vivo e realmente presente nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia. È festa istituita per adorare, lodare e ringraziare pubblicamente il Signore, che “nel Sacramento eucaristico continua ad amarci ‘fino alla fine’, fino al dono del suo corpo e del suo sangue” (Sacramentum caritatis, 1).
La Celebrazione eucaristica di questa sera ci riconduce al clima spirituale del Giovedì Santo, il giorno in cui Cristo, alla vigilia della sua Passione, istituì nel Cenacolo la santissima Eucaristia. Il Corpus Domini costituisce così una ripresa del mistero del Giovedì Santo, quasi in obbedienza all’invito di Gesù di “proclamare sui tetti” ciò che Egli ci ha trasmesso nel segreto (cfr Mt 10,27). Il dono dell’Eucaristia, gli Apostoli lo ricevettero dal Signore nell’intimità dell’Ultima Cena, ma era destinato a tutti, al mondo intero. Ecco perché va proclamato ed esposto apertamente, perché ognuno possa incontrare “Gesù che passa” come avveniva per le strade della Galilea, della Samaria e della Giudea; perché ognuno, ricevendolo, possa essere sanato e rinnovato dalla forza del suo amore. Questa, cari amici, è la perpetua e vivente eredità che Gesù ci ha lasciato nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Eredità che domanda di essere costantemente ripensata, rivissuta, affinché, come ebbe a dire il venerato Papa Paolo VI, possa “imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale” (Insegnamenti, V [1967], p. 779).
Sempre nell’Esortazione post-sinodale, commentando l’esclamazione del sacerdote dopo la consacrazione: “Mistero della fede!”, osservavo: con queste parole egli “proclama il mistero celebrato e manifesta il suo stupore di fronte alla conversione sostanziale del pane e del vino nel corpo e sangue del Signore Gesù, una realtà che supera ogni comprensione umana” (n. 6). Proprio perché si tratta di una realtà misteriosa che oltrepassa la nostra comprensione, non dobbiamo meravigliarci se anche oggi molti fanno fatica ad accettare la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Non può essere altrimenti. Fu così fin dal giorno in cui, nella sinagoga di Cafarnao, Gesù dichiarò apertamente di essere venuto per darci in cibo la sua carne e il suo sangue (cfr Gv 6,26-58). Il linguaggio apparve “duro” e molti si tirarono indietro. Allora come adesso, l’Eucaristia resta “segno di contraddizione” e non può non esserlo, perché un Dio che si fa carne e sacrifica se stesso per la vita del mondo pone in crisi la sapienza degli uomini. Ma con umile fiducia, la Chiesa fa propria la fede di Pietro e degli altri Apostoli, e con loro proclama: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Rinnoviamo pure noi questa sera la professione di fede nel Cristo vivo e presente nell’Eucaristia. Sì, “è certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino”.
La Sequenza, nel suo punto culminante, ci ha fatto cantare: “Ecce panis angelorum, / factus cibus viatorum: / vere panis filiorum - Ecco il pane degli angeli, / pane dei pellegrini, / vero pane dei figli”. L’Eucaristia è il cibo riservato a coloro che nel Battesimo sono stati liberati dalla schiavitù e sono diventati figli; è il cibo che li sostiene nel lungo cammino dell’esodo attraverso il deserto dell’umana esistenza. Come la manna per il popolo d’Israele, così per ogni generazione cristiana l’Eucaristia è l’indispensabile nutrimento che la sostiene mentre attraversa il deserto di questo mondo, inaridito da sistemi ideologici ed economici che non promuovono la vita, ma piuttosto la mortificano; un mondo dove domina la logica del potere e dell’avere piuttosto che quella del servizio e dell’amore; un mondo dove non di rado trionfa la cultura della violenza e della morte. Ma Gesù ci viene incontro e ci infonde sicurezza: Egli stesso è “il pane della vita” (Gv 6,35.48). Ce lo ha ripetuto nelle parole del Canto al Vangelo: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (cfr Gv 6,51).
Nel brano evangelico poc’anzi proclamato san Luca, narrandoci il miracolo della moltiplicazione dei cinque pani e due pesci con cui Gesù sfamò la folla “in una zona deserta”, conclude dicendo: “Tutti ne mangiarono e si saziarono” (cfr Lc 9,11b–17). Vorrei in primo luogo sottolineare questo “tutti”. E’ infatti desiderio del Signore che ogni essere umano si nutra dell’Eucaristia, perché l’Eucaristia è per tutti. Se nel Giovedì Santo viene posto in evidenza lo stretto rapporto che esiste tra l’Ultima Cena e il mistero della morte di Gesù in croce, quest’oggi, festa del Corpus Domini, con la processione e l’adorazione corale dell’Eucaristia si richiama l’attenzione sul fatto che Cristo si è immolato per l’intera umanità. Il suo passaggio fra le case e per le strade della nostra Città sarà per coloro che vi abitano un’offerta di gioia, di vita immortale, di pace e di amore.
Nel brano evangelico, un secondo elemento salta all’occhio: il miracolo compiuto dal Signore contiene un esplicito invito ad offrire ciascuno il proprio contributo. I cinque pani e i due pesci stanno ad indicare il nostro apporto, povero ma necessario, che Egli trasforma in dono di amore per tutti. “Cristo ancora oggi - ho scritto nella citata Esortazione post-sinodale - continua ad esortare i suoi discepoli ad impegnarsi in prima persona” (n. 88). L’Eucaristia è dunque una chiamata alla santità e al dono di sé ai fratelli, perchè “la vocazione di ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo” (ibid.).
Questo invito, il nostro Redentore lo rivolge in particolare a noi, cari fratelli e sorelle di Roma, raccolti in questa storica Piazza intorno all’Eucaristia: vi saluto tutti con affetto. Il mio saluto è innanzitutto per il Cardinale Vicario e i Vescovi Ausiliari, per gli altri venerati Fratelli Cardinali e Vescovi, come pure per i numerosi presbiteri e diaconi, i religiosi e le religiose, e i tanti fedeli laici. Al termine della Celebrazione eucaristica ci uniremo in processione, quasi a portare idealmente il Signore Gesù per tutte le vie e i quartieri di Roma. Lo immergeremo, per così dire, nella quotidianità della nostra vita, perché Egli cammini dove noi camminiamo, perché Egli viva dove noi viviamo. Sappiamo infatti, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo nella Lettera ai Corinzi, che in ogni Eucaristia, anche in quella di stasera, noi “annunziamo la morte del Signore finché egli venga” (cfr 1 Cor 11,26). Noi camminiamo sulle strade del mondo sapendo di aver Lui al fianco, sorretti dalla speranza di poterlo un giorno vedere a viso svelato nell’incontro definitivo.
Intanto già ora noi ascoltiamo la sua voce che ripete, come leggiamo nel Libro dell’Apocalisse: “Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). La festa del Corpus Domini vuole rendere percepibile, nonostante la durezza del nostro udito interiore, questo bussare del Signore. Gesù bussa alla porta del nostro cuore e ci chiede di entrare non soltanto per lo spazio di un giorno, ma per sempre. Lo accogliamo con gioia elevando a Lui la corale invocazione della Liturgia: “Buon Pastore, vero pane, / o Gesù, pietà di noi (…) Tu che tutto sai e puoi, / che ci nutri sulla terra, / conduci i tuoi fratelli / alla tavola del cielo / nella gioia dei tuoi santi”. Amen!
[Papa Benedetto, omelia 7 giugno 2007]
1. “Ecclesia de Eucharistia vivit - La Chiesa vive dell'Eucaristia”. Con queste parole inizia la Lettera enciclica sull'Eucaristia, che ho firmato lo scorso Giovedì Santo, durante la Messa in Cena Domini. L'odierna solennità del “Corpus Domini” richiama quella suggestiva celebrazione, facendoci rivivere, al tempo stesso, l'intensa atmosfera dell'Ultima Cena.
“Prendete, questo è il mio corpo... Questo è il mio sangue” (Mc 14,22-24). Riascoltiamo le parole di Gesù, mentre offre ai discepoli il pane divenuto suo Corpo, e il vino divenuto suo Sangue. Egli inaugura così il nuovo rito pasquale: l'Eucaristia è il sacramento della nuova ed eterna Alleanza.
Con quei gesti e quelle parole, Cristo porta a compimento la lunga pedagogia dei riti antichi, rievocata poc'anzi dalla prima Lettura (cfr Es 24,3-8).
2. La Chiesa ritorna costantemente al Cenacolo come al luogo della sua nascita. Vi torna perché il dono eucaristico stabilisce una misteriosa “contemporaneità” tra la Pasqua del Signore e il divenire del mondo e delle generazioni (cfr Ecclesia de Eucharistia, 5).
Anche questa sera, con profonda gratitudine a Dio, sostiamo in silenzio dinanzi al mistero della fede - mysterium fidei. Lo contempliamo con quell'intimo sentimento che nell'Enciclica ho chiamato lo “stupore eucaristico” (ibid., 6). Stupore grande e grato di fronte al Sacramento in cui Cristo ha voluto “concentrare” per sempre tutto il suo mistero d’amore (cfr ibid., 5).
Contempliamo il volto eucaristico di Cristo, come hanno fatto gli Apostoli e, in seguito, i santi di tutti i secoli. Lo contempliamo soprattutto ponendoci alla scuola di Maria, “donna ‘eucaristica’ con l'intera sua vita” (ibid., 53), Ella che fu “il primo ‘tabernacolo’ della storia” (ibid., 55).
3. E' questo il significato della bella tradizione del Corpus Domini che si rinnova questa sera. Con essa anche la Chiesa che è in Roma manifesta il suo legame costitutivo con l'Eucaristia, professa con gioia di “vivere dell'Eucaristia”.
Dell'Eucaristia vivono il suo Vescovo, Successore di Pietro, e i Confratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio; dell'Eucaristia vivono i Religiosi e le Religiose, i laici consacrati e tutti i battezzati.
Dell'Eucaristia vivono, in particolare, le famiglie cristiane, alle quali è stato dedicato pochi giorni fa il Convegno ecclesiale diocesano. Carissime famiglie di Roma! La viva presenza eucaristica di Cristo alimenti in voi la grazia del matrimonio e vi permetta di progredire sulla via della santità coniugale e familiare. Attingete da questa sorgente il segreto della vostra unità e del vostro amore, imitando l'esempio dei beati sposi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, che iniziavano le loro giornate accostandosi al banchetto eucaristico.
4. Dopo la santa Messa ci dirigeremo pregando e cantando verso la Basilica di Santa Maria Maggiore. Con questa processione intendiamo esprimere simbolicamente il nostro essere pellegrini, “viatores”, verso la patria celeste.
Non siamo soli nel nostro pellegrinaggio: con noi cammina Cristo, pane della vita, “panis angelorum, / factus cibus viatorum - pane degli angeli, / pane dei pellegrini” (Sequenza).
Gesù, cibo spirituale che alimenta la speranza dei credenti, ci sostiene in questo itinerario verso il Cielo e rinsalda la nostra comunione con la Chiesa celeste.
La Santissima Eucaristia, squarcio di Paradiso che si apre sulla terra, penetra le nubi della nostra storia. Quale raggio di gloria della Gerusalemme celeste, essa getta luce sul nostro cammino (cfr Ecclesia de Eucharistia, 19).
5. “Ave, verum corpus natum de Maria Virgine”: Ave, vero corpo di Cristo, nato da Maria Vergine!
L'anima si effonde in stupita adorazione dinanzi a così sublime Mistero.
“Vere passum, immolatum in cruce pro homine”. Dalla tua morte in Croce, o Signore, scaturisce per noi la vita che non muore.
“Esto nobis praegustatum mortis in examine”. Fa’, o Signore, che ciascuno di noi, nutrito di Te, possa affrontare con fiduciosa speranza ogni prova della vita, fino al giorno in cui ci sarai viatico per l’ultimo viaggio, verso la casa del Padre.
“O Iesu dulcis! O Iesu pie! O Iesu, fili Mariae! – O Gesù dolce! O Gesù pio! O Gesù, Figlio di Maria!”.
Amen.
[Papa Giovanni Paolo II, 19 giugno 2003]
Il Vangelo ci presenta l’episodio del miracolo dei pani (cfr Lc 9,11-17) che si svolge sulla riva del lago di Galilea. Gesù è intento a parlare a migliaia di persone, operando guarigioni. Sul far della sera, i discepoli si avvicinano al Signore e Gli dicono: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo» (v. 12). Anche i discepoli erano stanchi. Infatti erano in un luogo isolato, e la gente per comprare il cibo doveva camminare e andare nei villaggi. E Gesù vede questo e risponde: «Voi stessi date loro da mangiare» (v. 13). Queste parole provocano lo stupore dei discepoli. Non capivano, forse si sono anche arrabbiati, e rispondono: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente» (ibid.).
Invece, Gesù invita i suoi discepoli a compiere una vera conversione dalla logica del “ciascuno per sé” a quella della condivisione, incominciando da quel poco che la Provvidenza ci mette a disposizione. E subito mostra di aver bene chiaro quello che vuole fare. Dice loro: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa» (v. 14). Poi prende nelle sue mani i cinque pani e i due pesci, si rivolge al Padre celeste e pronuncia la preghiera di benedizione. Quindi, comincia a spezzare i pani, a dividere i pesci, e a darli ai discepoli, i quali li distribuiscono alla folla. E quel cibo non finisce, finché tutti ne hanno ricevuto a sazietà.
Questo miracolo – molto importante, tant’è vero che viene raccontato da tutti gli Evangelisti – manifesta la potenza del Messia e, nello stesso tempo, la sua compassione: Gesù ha compassione della gente. Quel gesto prodigioso non solo rimane come uno dei grandi segni della vita pubblica di Gesù, ma anticipa quello che sarà poi, alla fine, il memoriale del suo sacrificio, cioè l’Eucaristia, sacramento del suo Corpo e del suo Sangue donati per salvezza del mondo.
L’Eucaristia è la sintesi di tutta l’esistenza di Gesù, che è stata un unico atto di amore al Padre e ai fratelli. Anche lì, come nel miracolo della moltiplicazione dei pani, Gesù prese il pane nelle sue mani, elevò al Padre la preghiera benedizione, spezzò il pane e lo diede ai discepoli; e lo stesso fece con il calice del vino. Ma in quel momento, alla vigilia della sua Passione, Egli volle lasciare in quel gesto il Testamento della nuova ed eterna Alleanza, memoriale perpetuo della sua Pasqua di morte e risurrezione. La festa del Corpus Domini ci invita ogni anno a rinnovare lo stupore e la gioia per questo dono stupendo del Signore, che è l’Eucaristia. Accogliamolo con gratitudine, non in modo passivo, abitudinario. Non dobbiamo abituarci all’Eucaristia e andare a comunicarci come per abitudine: no! Ogni volta che noi ci accostiamo all’altare per ricevere l’Eucaristia, dobbiamo rinnovare davvero il nostro “amen” al Corpo di Cristo. Quando il sacerdote ci dice “il Corpo di Cristo”, noi diciamo “amen”: ma che sia un “amen” che viene dal cuore, convinto. È Gesù, è Gesù che mi ha salvato, è Gesù che viene a darmi la forza per vivere. È Gesù, Gesù vivo. Ma non dobbiamo abituarci: ogni volta come se fosse la prima comunione.
Espressione della fede eucaristica del popolo santo di Dio, sono le processioni con il Santissimo Sacramento, che in questa Solennità si svolgono dappertutto nella Chiesa Cattolica.
[Papa Francesco, Angelus 23 giugno 2019]
Due padroni: quale sbocco a ciò che portiamo dentro
(Mt 6,24-34)
Come evitare di vendersi per un idolo, e non suicidarsi asservendo il respiro dell’anima a qualcosa d’effimero, istantaneo e parziale?
Identificazioni, calcolo d’interessi e beni materiali artificiosi svuotano il Nucleo dell’essere e non fanno vedere la soluzione.
L’esperienza di Paternità nella Fede è il luogo sacro che recupera il senso della vita originaria; l’intuizione vitale, di natura, che illumina quanto opportuno perseguire per capovolgere l’esistenza dubbiosa o rattrappita.
La consapevolezza di accordo con l’ordine naturale innesta altra linfa.
La visione cosmica aiuta a dirigere le forze che emergono, rivoluziona le speranze, alimenta l’audacia, suggerisce l’orientamento delle vicende nell’unicità, e sublima la stessa qualità di convivenza.
Il «figlio» che si accorge degli altri e non accumula, non perde nulla - bensì acquista un’altra marcia: sperimenta un Padre che si occupa della propria storia, e dilata la vita, costruendo persino sui lati oscuri.
Il credente consapevole di essere accompagnato riesce sempre a fare un altro passo.
Sa che la natura spontaneamente riempie i vuoti, e lo fa con una sapienza di equilibri misteriosa e suprema.
Solo su questo nuovo territorio si diventa solleciti dei grandi temi, ma senza l’affanno che ci smarrisce.
Accettiamo volentieri persino le precarietà e situazioni di debolezza: nutriti del ‘riposo’ di Dio - e come nel suo «ritmo rurale» - sappiamo che i bisogni e difetti nascondono le sorprese più belle del cammino.
La scena degli esempi che Gesù trae dalla natura è l’eco della vita conciliante sognata per noi dal Padre.
Essa introduce la quintessenza della Felicità da dentro. Gioia che fa consapevoli di esistere in tutta la personale realtà.
Una paradossale intuizione di pienezza di essere, nel limite che ci appartiene - che vince poi la paura di non essere all’altezza.
Il passo di Vangelo mostra infatti il valore delle cose genuine, silenti, poco eclatanti, le quali però ci abitano - non sono “ombre”. E le percepiamo senza sforzo né impegno cerebrale.
Spesso chiediamo se Dio sia davvero partecipe dei nostri dubbi, aspettative e tormenti, o viceversa indifferente.
Talora anche i Salmi sembrano rivolgere all’Eterno accuse blasfeme, che lo imputano di scarsa attenzione alle vicende del giusto.
Anche grandi figure di santi hanno vissuto turbamenti seri; angosce e trepidazioni che ci sono state a lungo nascoste, perché [in un quadro di serenità conformista] ritenute poco edificanti.
Invece è del tutto normale - anzi, sano e proficuo - sentir vacillare le vecchie speranze, e accogliere in pieno i fallimenti, le emozioni negative, o altre nubi che circondano.
Il problema è che fin da piccoli ci accompagna l’istinto della ricerca di sicurezze, e purtroppo in molti casi tentiamo di avere il medesimo atteggiamento anche nel percorso credente.
Invece la vita nello Spirito si stacca - confluendo nel di più della Fede e del Mistero, che ‘operano’.
La Via proposta da Gesù ha un tono non-moralistico, privo di complessi, in vista della dedizione all’Oggi missionario e alla crescita armoniosa di una appartenenza nella Fede a vari livelli (tutti da scoprire).
Nella sua potenza tranquilla, ecco lo sbalordimento che non uccide l’anima. E il mondo naturale ha la parola chiave.
[Sabato 11.a sett. T.O. 21 giugno 2025]
Due padroni: quale sbocco a ciò che portiamo dentro
(Mt 6,24-34)
Spesso ci chiediamo se Dio sia davvero partecipe dei nostri dubbi, aspettative e tormenti, o viceversa indifferente.
Talora anche i Salmi sembrano rivolgere all’Eterno accuse blasfeme, che lo imputano di scarsa attenzione alle vicende del giusto.
Anche grandi figure di santi hanno vissuto turbamenti seri; trepidazioni che ci sono stati a lungo nascoste, perché ritenute poco edificanti (in un quadro di serenità conformista).
Invece è del tutto normale - anzi, sano e proficuo - sentir vacillare le vecchie speranze, e accogliere in pieno i fallimenti, le emozioni negative o altre nubi che ci circondano.
Il problema è che fin da piccoli ci accompagna l’istinto della ricerca di sicurezze, e purtroppo in molti casi tentiamo di avere il medesimo atteggiamento anche nel percorso credente.
Invece la vita nello Spirito si stacca dalla vacua vicenda spirituale religiosa istituzionale di massa (che promette molto e non mantiene nulla)… nel di più della Fede e del Mistero, che operano.
Il punto di riferimento non è la cronaca dell’homo faber ipsius fortunae - che non a caso è un motto pagano.
L’anima non resta volentieri in un mondo caratterizzato dall’antagonismo spicciolo, il quale chiede di precipitarsi nel meccanismo temporale azione-reazione.
Gli attriti vanno accolti e rielaborati, perché in essi c’è un segreto intimo della crescita.
[Così ad es. chi ci vuole combattere, ci farà il più grande favore della vita. Ben venga. Sarà l’occasione per sganciarsi dall’immediato, e sviluppare energie alternative - preparatorie - dei nostri impensabili sviluppi].
In questo senso accettiamo il Padre, che senza posa obbliga a spostare lo sguardo - affinché distendiamo le ali e giungiamo altrove, nel punto che non sapevamo prima.
Altrimenti nella cappa dell’affrettarsi ad aggiustare e ribadire, potremmo fidarci d’altro impulso - quello che offre sicurezza (illusoria) e blocca il fluire della vita, rendendola paludosa e prevedibile.
Le certezze di cibo, o ruoli, di guadagno e senso di potere, perfino la mentalità schiava di vacanze (...) poi come ogni idolo, esigono tutto: si diventa lacchè d’un padrone che pretende attenzione.
L’attaccamento o addirittura l’adorazione di mammona [aramaico mamônâ, da ‘aman - appoggiare, fare fondamento] gratifica, certo; ma su due piedi.
Sino a illudere che l’accumulo possa far sperimentare ebbrezza divina. Al massimo, però, concedendo qualche elemosina.
I corifei dell’opulenza materiale tempestiva dicono: “Fidati, l’importante è trattenere per sé e stare nel riscontro pratico” - anche perché proprio nel passo evangelico di oggi, Gesù sembra un ingenuo.
Eppure Cristo insiste nel proporre un rapporto coi beni non servile. In ordine alla pienezza di essere, si guadagna immensamente più ad accogliere la forza provvidente della Vita che Viene.
Nelle immagini agresti, il Signore allude all’esperienza d’Israele peregrinante.
Nell’Esodo, Dio aveva educato il popolo affinché potesse conquistare la terra della libertà e abbandonare quella della schiavitù - rassicurante, non umanizzante.
Nel deserto non si poteva accumulare una proprietà, né piantare tenda stabile; neppure accaparrarsi cibo durevole. Nulla doveva incantare il popolo, se non la mèta stessa.
Certo, l’affanno del povero non è quello del ricco.
Tuttavia, il denaro non elimina le inquietudini - piuttosto guida artificiosamente a un mostruoso dispendio di energie (sempre rinnegando il proprio essere profondo, sognante).
Prima i sacrifici per raggiungere posizioni, poi quelli per difenderle; e nel frattempo, la frustrazione per non aver avanzato oltre.
Ovvero, l’angoscia nel misurare la differenza fra traguardi reali e desideri dell’anima - sia nel senso della totalità che della vocazione specifica.
Gesù suggerisce di affrontare la realtà con cuore nuovo, rispettoso del carattere naturale. In caso contrario, ci ammaleremmo.
Siamo sereni nel Sé eminente che ci appartiene - non nel pettinare il proprio io inferiore.
Per questo ci lasciamo guidare da inclinazioni non artificiose: radicali, innate, germinali - le quali spontaneamente contattano gli strati profondi dell’essenza e destino che ci appartiene.
Lo facciamo non perché creduloni, bensì per istinto profondo, e per il fatto che abbiamo già sperimentato il ciclo “morte e risurrezione”: il dinamismo dell’Amore che ci ha proiettati un po’ fuori del tempo.
Qui le esperienze negative e di limite hanno saputo attivare energie complessive armonizzanti (non subitanee ma propulsive), cosmiche fuori e acutamente divine in noi. Lo faranno ancora.
La Provvidenza è Guida infallibile del mondo interiore e naturale, genuino: deve subentrare il ritmo dell’essere, il passo potente [ma spontaneo] del processo di Fede.
Come dunque evitare di vendersi per un idolo, e non suicidarsi asservendo il respiro dell’anima a qualcosa d’effimero e parziale?
Identificazioni, calcolo d’interessi e beni materiali artificiosi svuotano il Nucleo dell’essere e non ci fanno vedere la soluzione autentica.
L’esperienza di Paternità nella Fede è il luogo sacro che recupera il senso della vita originaria; l’intuizione vitale, di natura, che illumina quanto opportuno perseguire per capovolgere l’esistenza dubbiosa o rattrappita.
Tuttociò, nel sentimento che il creato, la vocazione innata personale e la società umana sono strettamente solidali nel senso profondo e nella crescita. Qui la consapevolezza di accordo con l’ordine naturale innesta altra Linfa.
La visione cosmica e il carattere personale ci aiutano a dirigere le forze che emergono, rivoluzionando le attese, alimentando l’audacia, suggerendo l’orientamento delle vicende, nell’unicità.
In tal guisa, sublimando davvero la stessa qualità di convivenza e persona.
Il figlio che si accorge degli altri e non accumula, non perde nulla - bensì acquista un’altra marcia: sperimenta un Padre che si occupa della propria storia, e dilata la sua vita costruendo persino sui lati oscuri.
Il credente consapevole di essere accompagnato riesce sempre a fare un altro passo. Sa che la natura spontaneamente riempie i vuoti, e lo fa con una sapienza di equilibri misteriosa e suprema.
Solo su questo nuovo territorio che riannoda la cronaca alla storia si diventa solleciti dei grandi temi, ma senza l’affanno che smarrisce.
Accettiamo volentieri persino le precarietà e situazioni di debolezza: nutriti del riposo di Dio - e come nel suo ritmo rurale - sappiamo che i nostri bisogni e difetti nascondono le sorprese più belle del cammino.
La Via proposta da Gesù ha un tono non moralistico, privo di complessi, in vista della dedizione all’oggi missionario e alla crescita armoniosa di una appartenenza nella Fede a vari livelli (tutti da scoprire).
Nella sua potenza tranquilla, ecco lo sbalordimento che non uccide l’anima. E il mondo naturale ha la parola chiave.
«L’uomo è vissuto in uno stato di turbamento e di timore finché non ha scoperto la stabilità delle leggi di natura: fino a quel momento il mondo gli rimaneva estraneo. Le leggi scoperte non sono altro che la percezione dell’armonia regnante tra la ragione, propria all’anima umana, e i fenomeni del mondo. Questo è il legame con il quale l’uomo è unito al mondo in cui vive, ed egli prova una grande gioia quando lo scopre, poiché allora vede e comprende se stesso nelle cose che lo circondano. Comprendere una cosa vuol dire ritrovare in essa qualcosa di nostro, ed è questa scoperta di noi stessi al di fuori di noi a colmarci di gioia» (Rabindranath Tagore).
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Chi è il tuo Signore o padrone? Cosa occupa totalmente il tuo orizzonte? Senti ch’è qualcosa che corrisponde o vende la tua umanità?
Conclusione Inclusione spontanea
Anche la scena degli esempi che Gesù trae dalla natura - eco della vita conciliante sognata per noi dal Padre - introduce alla Felicità che fa consapevoli di esistere in tutta la personale realtà.
Il passo di Vangelo mostra infatti il valore delle cose genuine, silenti, poco eclatanti, le quali però ci abitano - non sono “ombre”. E le percepiamo senza sforzo né impegno cerebrale.
Nel tempo delle scelte epocali, dell’emergenza che sembra metterci in scacco - ma vuole farci meno artificiali - tale consapevolezza può rovesciare il nostro giudizio di sostanza, sul piccolo e il grande.
Infatti, per l’avventura d’amore non c’è contabilità né clamore.
È in Dio e nella realtà il “posto” per ciascuno di noi senza lacerazioni.
L’aldilà non è impreciso.
Non bisogna snaturarsi per avere consenso… tantomeno per il “Cielo” che vince la morte.
Il destino dell’unicità non va in rovina: è prezioso e caro, come lo è in natura.
Bisogna scorgerne la Bellezza, futura e già attuale.
Emarginato il tornaconto immediato - o qualsiasi garanzia sociale che non divori il valore della piccolezza - non ci sarà più bisogno di identificarsi con gli scheletri del pensiero e delle maniere assodati o disincarnati, sofisticati, e alla moda.
Neppure conterà collocarsi sopra o davanti: piuttosto sullo sfondo, già ricchi e perfetti, nel senso intimo della pienezza di essere.
Così non dovremo calpestarci a vicenda (cf. es. Lc 12,1)... anche per incontrare Gesù.
«Siamo assolutamente perduti se ci viene a mancare questa particolare individualità, l’unica cosa che possiamo dire veramente nostra - e la cui perdita costituisce anche una perdita per il mondo intero. Essa è preziosissima anche perché non è universale» (Rabindranath Tagore).
«Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo».[78] Questo falso sogno universalistico finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità. Perché «il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!» [Fratelli Tutti n.100].
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ti è capitata una persecuzione che - mentre avresti preferito altri obbiettivi prossimi - ha fatto affiorare proprio l'originalità della tua fisionomia vocazionale?
Questo invito alla fiducia nell’indefettibile amore di Dio viene accostato alla pagina, altrettanto suggestiva, del Vangelo di Matteo, in cui Gesù esorta i suoi discepoli a confidare nella provvidenza del Padre celeste, il quale nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, e conosce ogni nostra necessità (cfr 6,24-34). Così si esprime il Maestro: “Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno”.
Di fronte alla situazione di tante persone, vicine e lontane, che vivono in miseria, questo discorso di Gesù potrebbe apparire poco realistico, se non evasivo. In realtà, il Signore vuole far capire con chiarezza che non si può servire a due padroni: Dio e la ricchezza. Chi crede in Dio, Padre pieno d’amore per i suoi figli, mette al primo posto la ricerca del suo Regno, della sua volontà. E ciò è proprio il contrario del fatalismo o di un ingenuo irenismo. La fede nella Provvidenza, infatti, non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani. E’ chiaro che questo insegnamento di Gesù, pur rimanendo sempre vero e valido per tutti, viene praticato in modi diversi a seconda delle diverse vocazioni: un frate francescano potrà seguirlo in maniera più radicale, mentre un padre di famiglia dovrà tener conto dei propri doveri verso la moglie e i figli. In ogni caso, però, il cristiano si distingue per l’assoluta fiducia nel Padre celeste, come è stato per Gesù. E’ proprio la relazione con Dio Padre che dà senso a tutta la vita di Cristo, alle sue parole, ai suoi gesti di salvezza, fino alla sua passione, morte e risurrezione. Gesù ci ha dimostrato che cosa significa vivere con i piedi ben piantati per terra, attenti alle concrete situazioni del prossimo, e al tempo stesso tenendo sempre il cuore in Cielo, immerso nella misericordia di Dio.
Cari amici, alla luce della Parola di Dio di questa domenica, vi invito ad invocare la Vergine Maria con il titolo di Madre della divina Provvidenza. A lei affidiamo la nostra vita, il cammino della Chiesa, le vicende della storia. In particolare, invochiamo la sua intercessione perché tutti impariamo a vivere secondo uno stile più semplice e sobrio, nella quotidiana operosità e nel rispetto del creato, che Dio ha affidato alla nostra custodia.
[Papa Benedetto, Angelus 27 febbraio 2011]
7. Queste nozioni sulla divina Provvidenza che ci vengono offerte dalla tradizione biblica dell’Antico Testamento, sono confermate e arricchite dal Nuovo. Tra tutte le parole di Gesù che esso registra su questo tema, particolarmente toccanti sono quelle riportate dagli evangelisti Matteo e Luca: “Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno; cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 31-33; cf. anche Lc 12, 29-31).
“Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!” (Mt 10, 29-31; cf. Lc 21, 18). “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? . . . E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?” (Mt 6, 26-30; cf. Lc 12, 24-28).
8. Con tali parole il Signore Gesù non solo conferma l’insegnamento sulla Provvidenza divina contenuto nell’Antico Testamento, ma porta più a fondo il discorso per ciò che riguarda l’uomo, ogni singolo uomo, trattato da Dio con la squisita delicatezza di un padre.
Senza dubbio erano magnifiche le strofe dei salmi che esaltavano l’Altissimo come rifugio, tutela e conforto dell’uomo: così, ad esempio, nel Salmo 90: “Tu che abiti al riparo dell’Altissimo e dimori all’ombra dell’Onnipotente, di’ al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido» . . . Poiché tuo rifugio è il Signore e hai fatto dell’Altissimo la tua dimora . . . Lo salverò, perché a me si è affidato; lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e gli darò risposta; presso di lui sarò nella sventura” (Sal 90, 1-2. 9. 14-15)
9. Espressioni molto belle; ma le parole di Cristo raggiungono una pienezza di significato ancora maggiore. Le pronuncia infatti il Figlio che “scrutando” tutto ciò che è stato detto sul tema della Provvidenza, rende testimonianza perfetta al mistero, del Padre suo: mistero di Provvidenza e di cura paterna, che abbraccia ogni creatura, anche la più insignificante, come l’erba del campo o i passeri. Quanto più l’uomo, dunque! È questo che Cristo vuole mettere soprattutto in rilievo. Se la Provvidenza divina si mostra così generosa nei riguardi di creature tanto inferiori all’uomo, quanto più essa avrà cura di lui! In questa pagina evangelica sulla Provvidenza si ritrova la verità sulla gerarchia dei valori che è presente sin dall’inizio nel Libro della Genesi, nella descrizione della creazione: l’uomo ha il primato sulle cose. Lo ha nella sua natura e nel suo spirito, lo ha nelle attenzioni e cure della Provvidenza, lo ha nel cuore di Dio!
10. Gesù proclama altresì con insistenza che l’uomo, così privilegiato dal suo Creatore, ha il dovere di cooperare col dono ricevuto dalla Provvidenza. Egli non può quindi accontentarsi dei soli valori del senso, della materia e dell’utilità. Deve cercare soprattutto “il regno di Dio e la sua giustizia” perché “tutte queste cose (i beni terreni) vi saranno date in aggiunta” (cf. Mt 6, 33).
Le parole di Cristo rivolgono la nostra attenzione verso questa particolare dimensione della Provvidenza, al centro della quale si trova l’uomo, essere razionale e libero.
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 14 maggio 1986]
Al centro della Liturgia di questa domenica troviamo una delle verità più confortanti: la divina Provvidenza. Il profeta Isaia la presenta con l’immagine dell’amore materno pieno di tenerezza, e dice così: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (49,15). Che bello è questo! Dio non si dimentica di noi, di ognuno di noi! Di ognuno di noi con nome e cognome. Ci ama e non si dimentica. Che bel pensiero… Questo invito alla fiducia in Dio trova un parallelo nella pagina del Vangelo di Matteo: «Guardate gli uccelli del cielo – dice Gesù –: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. … Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,26.28-29).
Ma pensando a tante persone che vivono in condizioni precarie, o addirittura nella miseria che offende la loro dignità, queste parole di Gesù potrebbero sembrare astratte, se non illusorie. Ma in realtà sono più che mai attuali! Ci ricordano che non si può servire a due padroni: Dio e la ricchezza. Finché ognuno cerca di accumulare per sé, non ci sarà mai giustizia. Dobbiamo sentire bene, questo! Finché ognuno cerca di accumulare per sé, non ci sarà mai giustizia. Se invece, confidando nella provvidenza di Dio, cerchiamo insieme il suo Regno, allora a nessuno mancherà il necessario per vivere dignitosamente.
Un cuore occupato dalla brama di possedere è un cuore pieno di questa brama di possedere, ma vuoto di Dio. Per questo Gesù ha più volte ammonito i ricchi, perché è forte per loro il rischio di riporre la propria sicurezza nei beni di questo mondo, e la sicurezza, la definitiva sicurezza, è in Dio. In un cuore posseduto dalle ricchezze, non c’è più molto posto per la fede: tutto è occupato dalle ricchezze, non c’è posto per la fede. Se invece si lascia a Dio il posto che gli spetta, cioè il primo, allora il suo amore conduce a condividere anche le ricchezze, a metterle al servizio di progetti di solidarietà e di sviluppo, come dimostrano tanti esempi, anche recenti, nella storia della Chiesa. E così la Provvidenza di Dio passa attraverso il nostro servizio agli altri, il nostro condividere con gli altri. Se ognuno di noi non accumula ricchezze soltanto per sé ma le mette al servizio degli altri, in questo caso la Provvidenza di Dio si rende visibile in questo gesto di solidarietà. Se invece qualcuno accumula soltanto per sé, cosa gli succederà quando sarà chiamato da Dio? Non potrà portare le ricchezze con sé, perché – sapete – il sudario non ha tasche! E’ meglio condividere, perché noi portiamo in Cielo soltanto quello che abbiamo condiviso con gli altri.
La strada che Gesù indica può sembrare poco realistica rispetto alla mentalità comune e ai problemi della crisi economica; ma, se ci si pensa bene, ci riporta alla giusta scala di valori. Egli dice: «La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?» (Mt 6,25). Per fare in modo che a nessuno manchi il pane, l’acqua, il vestito, la casa, il lavoro, la salute, bisogna che tutti ci riconosciamo figli del Padre che è nei cieli e quindi fratelli tra di noi, e ci comportiamo di conseguenza. Questo lo ricordavo nel Messaggio per la Pace del 1° gennaio: la via per la pace è la fraternità: questo andare insieme, condividere le cose insieme.
Alla luce della Parola di Dio di questa domenica, invochiamo la Vergine Maria come Madre della divina Provvidenza. A lei affidiamo la nostra esistenza, il cammino della Chiesa e dell’umanità. In particolare, invochiamo la sua intercessione perché tutti ci sforziamo di vivere con uno stile semplice e sobrio, con lo sguardo attento alle necessità dei fratelli più bisognosi.
[Papa Francesco, Angelus 2 marzo 2014]
(Mt 6,19-23)
«Dove è il tuo Tesoro, là sarà il tuo cuore» (v.21). Non è un problema personale o istituzionale insipido; anzi, indispensabile per ritrovarsi.
Ignorarlo significa concedergli ulteriore respiro, facendolo crescere a dismisura; rendendolo ancor più fuori tempo e difficile leggerlo - e individuarne le terapie.
Per comprendersi e attivare differenti risorse, ogni comunità deve attraversare i momenti della verifica più severa - superando l’incaglio ‘in avanti’, “in uscita”.
Nella forma della Relazione, tutto apre la vita intensa - che integra e valica l’amor proprio, la sete di dominio.
Ciò libera dal “vecchio”, ossia chiude un ciclo di percorsi già messi a punto - per farci tornare come neonati.
La Speranza che ha peso smantella l’inessenziale; espelle il rumore dei pensieri che non sono più in sintonia con la nostra crescita, e introduce energie sognanti, una ricchezza di possibilità.
Ci saranno resistenze iniziali, ma lo sviluppo si predispone.
La Speranza sacrifica le zavorre e ci attiva secondo il ‘divino interiore’. Spalanca le porte a una nuova fase, più luminosa e corrispondente.
I tesori della terra rapidamente accecano; allo stesso modo passano: d’improvviso. L’età della crisi globale ce lo sbatte in faccia.
Eppure, è un dolore necessario.
Capiamo: i nuovi percorsi non sono tracciati dai beni, ma dal Vuoto che fa da intercapedine.
La religiosità buona per tutte le stagioni cede il passo alla vita inedita di Fede.
Qui si colloca l’Arte del discernimento e della pastorale: dovrebbe saper introdurre nuove energie competitive, difformi - cosmiche e personali - che preparano sintesi inedite, aperte, gratuite.
Lo sappiamo; eppure in alcune cerchie e cordate intriganti, la bramosia di possedere non consente di vedere chiaro.
L’ottundimento degli occhi malati di rapina ha prevalso. Prima qua e là, via via occupando l’anima.
Come dire: c’è un’altra esperienza del “divino”, dozzinale.
E cartina al tornasole è proprio quello scrutare meschino (vv.22-23) che trattiene. Con lo sguardo che chiude l’orizzonte dell’esistenza.
Invece, nei tentativi e nei percorsi di Fede che non si accontentano, la vita diventa luminosa d’Amore creativo che rifiorisce, e mette tutti a proprio agio.
Anche il vecchio potrà riemergere in questo nuovo spirito, stavolta perenne. Perché ci sono altre Altezze. Perché ciò che rende intimi a Dio non è nulla di esterno.
L’autentica Chiesa suscitata da ‘visioni’ limpide rivela sempre qualcosa di portentoso: la fecondità dalla nullità, la vita dall’effusione di essa, la nascita dall’apparente sterilità.
Un fiume di sintonie impensate riallaccerà la lettura degli accadimenti e l’azione dei credenti all’opera dello Spirito, senza barriere.
Perché quando qualcuno cede il pensiero normalizzato, e si deposita, il nuovo avanza.
La scelta è ormai inesorabile: tra morte e vita; fra bramosia e «tenebra» (v.23), o Felicità.
Il primo passo è ammettere di dover fare un cammino.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Dov’è il tuo Tesoro? Il tuo cuore e il tuo occhio sono semplici?
Hai mai fatto esperienza di lati che altri giudicano inconcludenti [dal punto di vista materiale] e che invece hanno preparato i tuoi nuovi percorsi?
[Venerdì 11.a sett. T.O. 20 giugno 2025]
(Mt 6,19-23)
«Dove è il tuo Tesoro, là sarà il tuo cuore» (v.21). Non è un problema personale o istituzionale abusato, insipido; da facili ironie.
Ignorarlo significa concedergli ulteriore respiro, facendolo crescere a dismisura; rendendolo ancor più fuori tempo e difficile leggerlo - e individuarne le terapie.
Tutto ciò, però, va fatto mettendo fra parentesi le precipitazioni… nello spirito di comprensione più largo. Fermo restando che per cogliersi dentro e attivare differenti risorse, ogni comunità deve attraversare i momenti della verifica più severa.
Anche per chiese denominazionali di ampia e prestigiosa tradizione, la coscienza di essere oggi perdenti sotto questo aspetto è indispensabile per ritrovarsi. Superando l’incaglio ‘in avanti’, “in uscita”.
Leggiamo nell’Enciclica «Spe Salvi» n.2 [«La Fede è Speranza»]:
«Speranza è una parola centrale della fede biblica – al punto che in diversi passi le parole “fede” e “speranza” sembrano interscambiabili […]
Quanto sia stato determinante per la consapevolezza dei primi cristiani l'aver ricevuto in dono una speranza affidabile, si manifesta anche là dove viene messa a confronto l'esistenza cristiana con la vita prima della fede o con la situazione dei seguaci di altre religioni […]
I loro dèi si erano rivelati discutibili e dai loro miti contraddittori non emanava alcuna speranza. Nonostante gli dèi, essi erano “senza Dio” e conseguentemente si trovavano in un mondo buio, davanti a un futuro oscuro. “In nihil ab nihilo quam cito recidimus” (Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo) dice un epitaffio di quell'epoca […]
Compare come elemento distintivo dei cristiani il fatto che essi hanno un futuro: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell'insieme che la loro vita non finisce nel vuoto.
Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era soltanto una “buona notizia” – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti.
Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo “informativo”, ma “performativo”. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita.
La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova».
Nella forma della Relazione, tutto apre la vita intensa - che integra e valica l’amor proprio, la sete di dominio.
Ciò libera dal “vecchio”, ossia chiude un ciclo di percorsi già messi a punto - per farci tornare come neonati.
La Speranza che ha peso smantella l’inessenziale; espelle il rumore dei pensieri che non sono più in sintonia con la nostra crescita, e introduce energie sognanti, una ricchezza di possibilità.
Ci saranno resistenze iniziali, ma lo sviluppo si predispone.
La Speranza sacrifica le zavorre e ci attiva secondo il ‘divino interiore’. Spalanca le porte a una nuova fase, più luminosa; corrispondente.
I tesori della terra rapidamente accecano; allo stesso modo passano: d’improvviso. L’età della crisi globale ce lo sbatte in faccia.
Eppure, è un dolore necessario.
Capiamo: i nuovi percorsi non sono tracciati dai beni, né da memorie devote, ma dal Vuoto che fa da intercapedine a facilonerie comuni, scontate, rassicuranti.
La religiosità buona per tutte le stagioni cede il passo alla vita inedita di Fede.
Qui si colloca l’Arte del discernimento e della pastorale: dovrebbe saper introdurre nuove energie competitive, difformi - cosmiche e personali - che preparano sintesi inedite, aperte, gratuite.
Lo sappiamo, eppure in alcune cerchie prestigiose e già straricche, la bramosia di possedere sotto parvenza di necessità non consente di vedere chiaro.
Capita anche a dei consacrati di lungo corso - non si capisce perché tale avida, sommaria doppiezza.
Vogliamo ancora emergere, sollevando altre confusioni? In fondo siamo scontenti delle nostre scelte mediocri.
All’inizio della Vocazione sentivamo la necessità d’una Relazione che infondesse Senso e un Centro alla ferialità…
Poi abbiamo deviato, forse per insoddisfazione o motivi di calcolo e comodo - poi l’ottundimento degli occhi malati di rapina ha prevalso. Prima qua e là, via via occupando l’anima.
Anche in alcuni dirigenti e ambiti di spicco ecclesiale, la base dell’esistenza è diventato il volume d’affari in cordata [gangs intriganti, direbbe Papa Francesco].
In molteplici realtà, la scena vanitosa, il sacchetto del commercio, l’ebbrezza del salire sul tabellone, hanno soppiantato i cuori veri - e gli occhi stessi.
Come dire: c’è un’altra esperienza del “divino”, dozzinale: fra un Salmo e l’altro, meglio dell’Amore diventa il sentirsi potente, sicuro, celebre, rispettato attorno.
[Dio e l’accumulo danno ordini diversi? Non c’è problema: facciamo intendere che lo si fa per la “sua” Gloria].
E bando al bene comune.
Non pochi si stanno accorgendo che il far di conto è lo sport più frequentato in diverse aziende multimpianti, fantasticamente imbellettate di eventi e iniziative (a copertura di quel che ‘vale’ sul serio).
E cartina al tornasole è proprio quello scrutare meschino (vv.22-23) che dietro fitte quinte, trattiene, giudica persino, e si tiene a distanza dagli altri.
Tal guisa, con lo sguardo che chiude l’orizzonte dell’esistenza: conta l’immediatamente a portata di mano, e di circostanza.
Un credere in apparenza sovrabbondante - guarda caso senza il rilievo della Speranza - ci sta condannando al peggiore tasso di denatalità mondiale.
Il panorama dei nostri devotissimi paesini e cittadine vuoti è sconfortante.
Ma ci si bea del proprio loculo, e della piccina o grandiosa situazione.
L’importante è che tutto sia epidermicamente adornato.
Sotto il campanile particolare che dà il ritmo alle solite cose, molta gente trattiene il “suo” troppo per sé. Accontentandosi di sacralizzare egoismi con grandiosi proclami, o più modestamente, con l’esibizione di belle statue, usi, stendardi, costumi variopinti e manierismi.
Invece, secondo i Vangeli, nei tentativi e nei percorsi di Fede che non si accontentano d’una spiritualità vuota, la vita diventa luminosa d’Amore creativo che rifiorisce, e mette tutti a proprio agio.
Anche il vecchio potrà riemergere in questo nuovo spirito, stavolta perenne. Perché ci sono altre Altezze. Perché ciò che rende intimi a Dio non è nulla di esterno.
L’autentica Chiesa suscitata da ‘visioni’ limpide - senza cartapesta e doppiezze - rivela sempre qualcosa di portentoso: la fecondità dalla nullità, la vita dall’effusione di essa, la nascita dall’apparente sterilità.
Un fiume di sintonie impensate riallaccerà la lettura degli accadimenti e l’azione dei credenti all’opera dello Spirito, senza barriere.
Perché quando qualcuno cede il pensiero normalizzato, e si deposita, il nuovo avanza.
La scelta è ormai inesorabile: tra morte e vita; fra bramosia e «tenebra» (v.23), o Felicità.
Il primo passo è ammettere di dover fare un cammino.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Dov’è il tuo Tesoro? Il tuo cuore e il tuo occhio sono semplici?
Hai mai fatto esperienza di lati che altri giudicano inconcludenti (dal punto di vista materiale) e che invece hanno preparato i tuoi nuovi percorsi?
Paolo VI stated that the world today is suffering above all from a lack of brotherhood: “Human society is sorely ill. The cause is not so much the depletion of natural resources, nor their monopolistic control by a privileged few; it is rather the weakening of brotherly ties between individuals and nations” (Pope Benedict)
Paolo VI affermava che il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità: «Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli» (Papa Benedetto)
Dear friends, this is the perpetual and living heritage that Jesus has bequeathed to us in the Sacrament of his Body and his Blood. It is an inheritance that demands to be constantly rethought and relived so that, as venerable Pope Paul VI said, its "inexhaustible effectiveness may be impressed upon all the days of our mortal life" (Pope Benedict)
Questa, cari amici, è la perpetua e vivente eredità che Gesù ci ha lasciato nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Eredità che domanda di essere costantemente ripensata, rivissuta, affinché, come ebbe a dire il venerato Papa Paolo VI, possa “imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale” (Papa Benedetto)
The road that Jesus points out can seem a little unrealistic with respect to the common mindset and to problems due to the economic crisis; but, if we think about it, this road leads us back to the right scale of values (Pope Francis)
La strada che Gesù indica può sembrare poco realistica rispetto alla mentalità comune e ai problemi della crisi economica; ma, se ci si pensa bene, ci riporta alla giusta scala di valori (Papa Francesco)
Our commitment does not consist exclusively of activities or programmes of promotion and assistance; what the Holy Spirit mobilizes is not an unruly activism, but above all an attentiveness that considers the other in a certain sense as one with ourselves (Pope Francis)
Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con se stesso (Papa Francesco)
The drama of prayer is fully revealed to us in the Word who became flesh and dwells among us. To seek to understand his prayer through what his witnesses proclaim to us in the Gospel is to approach the holy Lord Jesus as Moses approached the burning bush: first to contemplate him in prayer, then to hear how he teaches us to pray, in order to know how he hears our prayer (Catechism of the Catholic Church n.2598)
L’evento della preghiera ci viene pienamente rivelato nel Verbo che si è fatto carne e dimora in mezzo a noi. Cercare di comprendere la sua preghiera, attraverso ciò che i suoi testimoni ci dicono di essa nel Vangelo, è avvicinarci al santo Signore Gesù come al roveto ardente: dapprima contemplarlo mentre prega, poi ascoltare come ci insegna a pregare, infine conoscere come egli esaudisce la nostra preghiera (Catechismo della Chiesa Cattolica n.2598)
If penance today moves from the material to the spiritual side, let's say, from the body to the soul, from the outside to the inside, it is no less necessary and less feasible (Pope Paul VI)
Se la penitenza si sposta oggi dalla parte, diciamo, materiale a quella spirituale, dal corpo all’anima, dall’esterno all’interno, non è meno necessaria e meno attuabile (Papa Paolo VI)
don Giuseppe Nespeca
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