(Gv 6,30-35)
Ciò cui allude il termine «Pane» usato da Gesù in questa pericope deriva dal termine ebraico «Lechem», la cui radice [consonanti «l-h-m»] evoca il suo «essere macinato» e «vagliato» nella Passione d’amore; quindi riguarda in filigrana il dono completo sulla Croce.
Secondo una credenza giudaica, l’avvento del Messia sarebbe stato accompagnato da una pioggia di Manna dal cielo - detta Manna del secondo Redentore - per soddisfare gli appetiti materiali.
Pane che non dura.
Vi erano anche speculazioni rabbiniche le quali riflettevano altre pretese, non di necessità fisica; e narravano del «pane» disceso dall’alto in figura sapienziale (Dt 8,3: «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore»; cf. Sap 16,26).
Per soddisfare le esigenze esistenziali e i grandi accorati interrogativi di senso, Gesù si rivela e presenta come Pane della Vita indistruttibile.
Nelle speranze messianiche di età dell’oro e liberazione si annidavano le medesime aspettative che si celano nelle pieghe del nostro andare, anche più in là di quelle soddisfatte da Mosè.
Cerchiamo cibo eminente.
Ci sono infatti domande cui non riusciamo a dare risposta: per quale motivo il dolore e le umiliazioni, perché ci sono persone fortunate e altre che senza colpa vivono infelici; per quale grande compito siamo nati, e perché malgrado gli agi non ci sentiamo ancora compiuti.
La nostra esperienza è come avvolta nella confusione dei quesiti di fondo... e spesso manca perfino l’occhio e il calore di un Testimone.
Cerchiamo allora una Persona che traduca tutto in Relazione, e desideriamo ardentemente il suo Alimento sapienziale - un fondamento, il tepore umanizzante, e una sintesi di ogni verità e di tutta la storia.
Solo Gesù e la sua vicenda donano significato ai molti accadimenti; anche a limiti, ferite, confini, precarietà: Egli è Sogno, Senso, Azione e Voce del Padre. Chiave, Centro e Destinazione di ciascuno e dell’umanità.
Unico Nutrimento per la ‘fame’ e sola vera Fonte per la ‘sete’ della donna e dell’uomo sottoposti a prove e interrogativi.
Ai tempi di Gesù, per devozione diffusa Mosè continuava a essere il grande condottiero cui credere e aderire.
Ma secondo il Signore quella dell’Esodo dei “padri” si configura come proposta che non ha futuro: non garantisce orientamento, sussistenza e vita gioiosa, solida e piena.
Essa non permane neppure come un ceppo dell’adesso. È solo un seme arcaico, un’escrescenza particolare disfatta in favore del mistico e rinnovato Frumento che ci fa procedere sulla Via autentica.
Il grande condottiero antico si era fermato alla dimensione religiosa e alle sue requisitorie. Mancava il balzo della Fede accesa per la rivelazione del cuore del Padre, nell’insegnamento, nella vicenda, e nella Persona del Cristo.
Accettare Gesù come autentico motivo e motore, sostegno e alimento che davvero avrebbe tolto di mezzo la fame, è inseparabile dall’accoglienza della sua proposta:
«Vuoi unire la tua vita alla Mia?». Corpo Unico, fra noi e Lui - che brucia.
In tale approccio, neppure il cielo era stato in grado di saziare i dubbi - una fame paradossalmente crescente e un’arsura che obbligava a tornare ad attingere, invece di riuscire a dissetare il popolo.
L’approccio della semplice religiosità affliggeva la vita delle donne e degli uomini, in modo crescente.
Gente nervosa, scostante e insoddisfatta. Un Banchetto nuziale privo di festosità, a motivo d’una dottrina e disciplina fredde, distanti, impersonali, resistenti allo Spirito.
Il costume pio e inattuale, vetusto - con tutte le sue fatiche - non aveva assicurato e neppure oggi garantisce il grande cambiamento che ci sostiene nel cammino e sollecita senza posa, accendendo il cuore di Amicizia: l’accesso alla ‘terra della libertà’, quindi dell’amore.
Il Dono dal Cielo preparava e disponeva un’altra Nascita, sconvolgente fin dalla radice il rapporto religioso comune - nutrimento leggero, tedioso e insipido; qualunque, e che non si addensa mai: “buono” per tutte le stagioni.
Tutto ciò era affiancato a una prospettiva di Felicità rimandata all’aldilà, dopo la morte, e sulla base dei meriti esterni.
Un clima paludoso di energie compresse e stagnanti, che non facevano vibrare di gioia.
Con Gesù, il semplice credere diventa Fede - non più assenso e ripetizione avvilente, che ci scaglia e trascina oltre il nostro «centro» - bensì azione unica, inedita e creativa. Anzitutto di Dio stesso in noi; per una realizzazione completa: da figli.
Nessuna ricetta rassicurante sovviene, perché la “seconda” Genesi e crescita nello Spirito ha carattere, ma non accade una volta per tutte.
Unicamente in tal senso, l’espressione «Io Sono» (v.35) sottolinea l’esclusività del «discorso di rivelazione».
Cristo reinterpreta totalmente, e capovolge, l’idea di trascendenza della condizione divina nell’umano.
L’Altissimo viene accolto e assimilato in vista della germinazione e della somiglianza, non più dell’imitazione e dell’obbedienza esterne.
“Troppa” è solo la Sapienza della sua Rivelazione, che libera da dubbi perché li rende fecondi e propulsivi; affatto umilianti al pari dei vacillamenti antichi.
Anche le piaghe e gl’incerti della vita diventano una ‘chiamata’ a nutrirsi della Persona di Cristo. Ma reinterpretandolo con risposte nuove a domande nuove; per generarsi ancora e crescere in Lui e di Lui.
Coì siamo negli episodi, eppure fuori del tempo; nell’Amore che nasce, nuovo.
La nostra identità - meglio: ‘impronta’ - non è quella dei finti conoscitori [ciò che non estingue la sete dell’anima] bensì quella di essere amati.
In tal guisa non abbiamo più bisogno di tacitare tutte le esigenze normali.
Possiamo provare il gusto di vivere, invece della condanna di sentirsi sempre insidiati.
Per questa unione sponsale e sempre inedita, la portata immensa della sua Persona sminuzzata, ruminata e fatta propria come si fa con un cibo, diventa Vita stessa dell’Eterno (v.33).
Unzione che non decade, che chiama insieme a Concelebrare.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
La mia anima ha fame di pietosi uffici sul corpo o di rinascite, di senso, e d’un percorso di libertà?