Limpidi e netti
(Mt 5,33-37)
«Sì quando è sì, No quando è no». Non c’è bisogno di dare forza alla fiducia.
Ogni giuramento - anche sacrale - è una scappatoia che non guarisce una realtà già spenta.
Il teatrino delle formule roboanti ammette solo la convinzione che dell’Altro non ci si possa fidare appieno.
La trasparenza totale nei rapporti non ha bisogno di sgabelli a sostegno.
È ridicolo tentare di favorire la reciprocità inventando l’aiutino del giuramento, che rafforzi la parola di una persona con qualcosa di più grande di lui [in grado di metterlo in castigo nel caso d’inadempienze; poi vada come vada].
Le buone relazioni, l’ideale di giustizia, il credito, e tutta la nostra vita, giungono a perfezione in modo limpido.
Non c’è bisogno di girare attorno, diventare artificiali, appoggiarsi su altre cautele che poi si rimangiano la parola, anche se ben allestite e perfettamente messe in scena.
Veniamo al punto teologico: ciò che conta per il Padre è la Persona, non le sue espressioni simboliche o i suoi ‘meriti’ - finti puntelli al tu-per-tu, da apparecchiare in vetrina per dirottarlo.
Il faccia a faccia vale tutta la partita: assai più di ciò che suona a orecchio, ben oltre la contabilità di quanto donna e uomo hanno adempiuto.
La nostra lealtà forte davanti a Dio non c’è; anzi, ne abbiamo bisogno. Inutile nascondere la polvere sotto un tappeto di motti e sproloqui altisonanti.
Anche il mucchio delle opere di legge “perfettamente” assolte non fornisce alcun supporto.
Infatti le impalcature possono sembrare eccelse e fenomenali, ma sono cosa epidermica (spesso purtroppo insincera: castelli di carta e cartapesta) e col doppio scopo.
Il Padre è impressionato dal suo capolavoro creaturale, dal cuore schietto della donna e dell’uomo; non dal fumo negli occhi di montature impersonali allestite all’uopo.
Neppure si lascia blandire da piazzate di espressioni rituali, sigle, frasi fatte; o persino adempimenti eroici che rischiano di ledere le linee portanti della personalità e della Chiamata per Nome.
Non c’è nulla di più alto del nostro ‘volto’; il resto è astuzia e menzogna. Mezzucci pericolosissimi.
I laici puritani dicevano: «Maggiori sono le forme, minore è la verità». Non: dare a credere.
Azioni, comportamenti, parole nitide. Questo vale.
Insomma non dobbiamo ‘migliorare’ a modello e facsimile esterni - né allestire maggiori eventi - se non col Suo Gratis, assai più affidabile, permanente, efficace, delle nostre osservanze [omologanti e talora vanitose].
Il potere che abbiamo in dote non può incidere neppure sul colore naturale di un capello; questa la realtà - dietro le grandi quinte che mettiamo a punto per non ammettere che… qualcosa non va.
L’integrità che conta è tranquilla, trasparente, spontanea, schietta: non può essere roba nostra. Inutile fare e rifare ‘giuramenti’ per ingannare persino Dio.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ti sei ritrovato mercante all’ultima fiera? Ti sei mai espresso come un falsario?
L’acqua vanesia del sacro che trattiene per sé, e la vera Sorgente
(Gv 5,1-3.5-16)
«Egli, invece, compie su di lui diversi gesti: prima di tutto lo condusse in disparte lontano dalla folla. In questa occasione, come in altre, Gesù agisce sempre con discrezione. Non vuole fare colpo sulla gente, Lui non è alla ricerca della popolarità o del successo, ma desidera soltanto fare del bene alle persone. Con questo atteggiamento, Egli ci insegna che il bene va compiuto senza clamori, senza ostentazione, senza “far suonare la tromba”. Va compiuto in silenzio.
[…] La guarigione fu per lui un’«apertura» agli altri e al mondo.
Questo racconto del Vangelo sottolinea l’esigenza di una duplice guarigione. Innanzitutto la guarigione dalla malattia e dalla sofferenza fisica, per restituire la salute del corpo; anche se questa finalità non è completamente raggiungibile nell’orizzonte terreno, nonostante tanti sforzi della scienza e della medicina. Ma c’è una seconda guarigione, forse più difficile, ed è la guarigione dalla paura. La guarigione dalla paura che ci spinge ad emarginare l’ammalato, ad emarginare il sofferente, il disabile. E ci sono molti modi di emarginare, anche con una pseudo pietà o con la rimozione del problema; si resta sordi e muti di fronte ai dolori delle persone segnate da malattie, angosce e difficoltà. Troppe volte l’ammalato e il sofferente diventano un problema, mentre dovrebbero essere occasione per manifestare la sollecitudine e la solidarietà di una società nei confronti dei più deboli».
[Papa Francesco, Angelus 9 settembre 2018]
Gesù preferisce trasgredire la legge che allinearsi al mondo spietato e alla società inviolabile dell’esterno, che emargina i disgraziati.
Nella religione dei trofei competitivi, degli abbandoni reali e delle speranze false o banali, qualcuno a lotteria viene sanato, tutti gli altri no. Solo il più svelto guarisce, non il più bisognoso.
In ogni caso, la stragrande maggioranza rimane a guardare, paralizzata dalla solitudine - viceversa chi ne è affetto chiede vita, refrigerio; il canto gorgogliante di una storia autenticamente sacra.
In quel tempo, nei luoghi “santi” il culto dei sacrifici esigeva molta acqua [per gli animali da lavare, quindi sgozzare e macellare] in specie nelle grandi feste.
Ampie cisterne raccoglievano l’acqua piovana, e terme pubbliche (verso nord) agglomeravano i malati in attesa di aiuto o guarigione dallo stesso isolamento cui erano condannati - secondo norme di purità.
Le piscine al di fuori erano utilizzate per tergere gli agnelli prima del sacrificio al Tempio, e questo metodo di utilizzo conferiva all’acqua stessa un alone di santità risanatrice.
Molti malati accorrevano per bagnarsi nel «moto dell’acqua» (v.3).
Si narrava che un angelo agitasse le acque delle terme popolari [forse per una fonte intermittente] e che il primo a entrarvi nell’unico momento che si rendevano irrequiete sarebbe guarito.
Simbolo di una religione che porge ai malfermi speranze fasulle, le quali pure attraggono l’immaginario delle masse escluse, vessate da calamità - che non conoscono l’uomo-Dio del loro destino.
«Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse, perché Gesù si era allontanato, essendoci folla in quel luogo» (v.13).
Il Volto del Figlio è inconoscibile nella ressa attorno, malgrado la pletora di guide e devoti impeccabili - che solo distraggono, e si accontentano delle forme abitudinarie dell’organizzazione, esageratamente solenni.
Condotte abbondanti purificavano il Tempio e trascuravano le persone.
Icona di una religiosità ricca e misera: vanesia, inutile, dannosa; che abbandona a se stessi coloro che è chiamata a sostenere.
Gli scribi insegnavano la legge agli studenti nel recinto sacro e i rabbini ricevevano i clienti sotto il portico di Salomone, sulla spianata del Tempio, verso est.
In alto la Torah e i suoi commerci; in basso e fuori - lì vicino - il tradimento dei poveracci.
L’acqua fluiva nel Tempio, ma non mondava nessuno - anzi, peggiorava la situazione.
Ciò perdurava da tutta un’era - una «generazione» (v.5). Simbologia dei 38 anni (Dt 2,14) che appunto mancava di mentalità accogliente.
L’istituzione religiosa ufficiale teneva la folla a distanza di sicurezza, rivelando solo una ridicola e brutale caricatura del Volto amico, ospitale e compartecipe del Padre.
La turba dei bisognosi cui giungeva acqua magica solo a caso e a sorpresa è appunto parabola dell’umanità indigente, drammaticamente sprovvista di tutto - persino d’un conforto spirituale autentico.
Gesù invece avvicina i bisognosi di sua iniziativa (vv.6.14) e si coinvolge - a rischio della vita - con chi è più solo, impacciato e goffo.
Lui in noi: volti accoglienti e presenza attiva del Padre, d’istinto accostati non alla gente che conta, ma al trascurato, agli infermi - impossibilitati persino a ricevere miracoli.
Siamo inviati non a meritevoli e autosufficienti, ma proprio a coloro non in grado di usare i propri mezzi per farsi avanti.
Quelli che traballano - e su ciò non c’è bisogno d’imprimatur: tale norma è di diritto divino.
Alcuna gioia da parte delle autorità... solo inchieste.
Non importa: nessun timore reverenziale. Dio non è desideroso di farsi obbedire; piuttosto, di realizzarci.
Cristo stesso non opera al fine di farsi riconoscere e acclamare [«si era allontanato»]. E neppure ha cura di noi, solo per attivare una conversione religiosa.
Egli guarisce avendo percepito il bisogno, non affinché il malato creda in Dio.
Dice il Tao Tê Ching [x]: «Fa’ vivere le creature e nutrile, falle vivere e non tenerle come tue». «Parlar molto e scrutar razionalmente val meno che mantenersi vuoto» (v).
Lasciamo le persone libere di attraversare le loro stagioni, non stereotipi.
Solo, aiutiamo ad aprire porte più genuine e commisurate al cammino personale, anche inopinato o scontrollato.
Siamo interpellati e mandati ad accompagnare ciascuno nell’inaudito, tutto originale - guidando non a una sacralità già redatta, bensì alla plasticità di consapevolezze sane.