don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Sabato, 05 Aprile 2025 06:30

Via Crucis al Colosseo

Cari Fratelli e Sorelle,

in preghiera, con animo raccolto e commosso, abbiamo percorso questa sera il cammino della Croce. Con Gesù siamo saliti al Calvario e abbiamo meditato sulla sua sofferenza, riscoprendo quanto profondo sia l’amore che Egli ha avuto e ha per noi. Ma in questo momento non vogliamo limitarci ad una compassione dettata solo dal nostro debole sentimento; vogliamo piuttosto sentirci partecipi della sofferenza di Gesù, vogliamo accompagnare il nostro Maestro condividendo la sua Passione nella nostra vita, nella vita della Chiesa, per la vita del mondo, poiché sappiamo che proprio nella Croce del Signore, nell’amore senza limiti, che dona tutto se stesso, sta la sorgente della grazia, della liberazione, della pace, della salvezza.

I testi, le meditazioni e le preghiere della Via Crucis ci hanno aiutato a guardare a questo mistero della Passione per apprendere l’immensa lezione di amore che Dio ci ha dato sulla Croce, perché nasca in noi un rinnovato desiderio di convertire il nostro cuore, vivendo ogni giorno lo stesso amore, l’unica forza capace di cambiare il mondo.

Questa sera abbiamo contemplato Gesù nel suo volto pieno di dolore, deriso, oltraggiato, sfigurato dal peccato dell’uomo; domani notte lo contempleremo nel suo volto pieno di gioia, raggiante e luminoso. Da quando Gesù è sceso nel sepolcro, la tomba e la morte non sono più luogo senza speranza, dove la storia si chiude nel fallimento più totale, dove l’uomo tocca il limite estremo della sua impotenza. Il Venerdì Santo è il giorno della speranza più grande, quella maturata sulla Croce, mentre Gesù muore, mentre esala l’ultimo respiro, gridando a gran voce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Consegnando la sua esistenza “donata” nelle mani del Padre, Egli sa che la sua morte diventa sorgente di vita, come il seme nel terreno deve rompersi perché la pianta possa nascere: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Gesù è il chicco di grano che cade nella terra, si spezza, si rompe, muore e per questo può portare frutto. Dal giorno in cui Cristo vi è stato innalzato, la Croce, che appare come il segno dell’abbandono, della solitudine, del fallimento è diventata un nuovo inizio: dalla profondità della morte si innalza la promessa della vita eterna. Sulla Croce brilla già lo splendore vittorioso dell’alba del giorno di Pasqua.

Nel silenzio di questa notte, nel silenzio che avvolge il Sabato Santo, toccati dall’amore sconfinato di Dio, viviamo nell’attesa dell’alba del terzo giorno, l’alba della vittoria dell’Amore di Dio, l’alba della luce che permette agli occhi del cuore di vedere in modo nuovo la vita, le difficoltà, la sofferenza. I nostri insuccessi, le nostre delusioni, le nostre amarezze, che sembrano segnare il crollo di tutto, sono illuminati dalla speranza. L’atto di amore della Croce viene confermato dal Padre e la luce sfolgorante della Risurrezione tutto avvolge e trasforma: dal tradimento può nascere l’amicizia; dal rinnegamento, il perdono; dall’odio, l’amore.

Donaci, Signore, di portare con amore la nostra croce, le nostre croci quotidiane, nella certezza che esse sono illuminate dal fulgore della tua Pasqua. Amen.

[Papa Benedetto, Via Crucis al Colosseo 2 aprile 2010]

Sabato, 05 Aprile 2025 06:26

La Croce al centro

1. "Pueri Hebraeorum, portantes ramos olivarum...
I giovani ebrei, portando rami d'ulivo, / andarono incontro al Signore".

Così canta l'antifona liturgica, che accompagna la solenne processione con i rami d'ulivo e di palma in questa Domenica, detta appunto delle Palme e della Passione del Signore. Abbiamo rivissuto quel che avvenne quel giorno: in mezzo alla folla esultante intorno a Gesù, che in groppa ad un'asina entrava in Gerusalemme, moltissimi erano i ragazzi. Alcuni farisei avrebbero voluto che Gesù li facesse tacere, ma Egli rispose che, se essi avessero taciuto, avrebbero gridato le pietre (cfr Lc 19,39-40).

Anche oggi, grazie a Dio, i giovani sono in gran numero qui in Piazza San Pietro. I "giovani ebrei" sono diventati ragazzi e ragazze di ogni nazione, lingua e cultura. Benvenuti, carissimi! A ciascuno di voi il mio più cordiale saluto. L'odierno appuntamento ci proietta verso la prossima Giornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà a Toronto, città canadese tra le più cosmopolite del mondo. Là si trova già la Croce dei Giovani che un anno fa, in occasione della Domenica delle Palme, i giovani italiani consegnarono ai loro coetanei canadesi.

2. La Croce è al centro dell'odierna liturgia. Voi, cari giovani, con la vostra attenta ed entusiastica partecipazione a questa solenne celebrazione, mostrate che non vi vergognate della Croce. Voi non temete la Croce di Cristo. Anzi, l'amate e la venerate, perché è il segno del Redentore morto e risorto per noi. Chi crede in Gesù crocifisso e risuscitato porta la Croce in trionfo, come prova indubitabile che Dio è amore. Con il dono totale di sé, con la Croce appunto, il nostro Salvatore ha vinto definitivamente il peccato e la morte. Per questo acclamiamo festanti: "Gloria e lode a Te, o Cristo, che con la tua Croce hai redento il mondo!".

3. "Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte, / e alla morte di croce. / Per questo Dio l'ha esaltato / e gli ha dato il nome che è sopra ogni altro nome" (Acclamaz. al Vangelo). Con queste parole dell'apostolo Paolo, già risuonate nella seconda lettura, abbiamo poc'anzi elevato la nostra acclamazione prima dell'inizio del racconto della Passione. Esse esprimono la nostra fede: la fede della Chiesa.

La fede in Cristo non è però mai scontata. La lettura della sua Passione ci pone di fronte a Cristo, vivente nella Chiesa. Il mistero pasquale, che nei giorni della Settimana Santa rivivremo, è sempre attuale. Noi siamo oggi i contemporanei del Signore e, come la gente di Gerusalemme, come i discepoli e le donne, siamo chiamati a decidere se stare con Lui o fuggire o rimanere semplici spettatori della sua morte.

Si riapre ogni anno, nella Settimana Santa, la grande scena in cui si decide il dramma definitivo non soltanto per una generazione, ma per l'intera umanità ed ogni singola persona.

4. Il racconto della Passione mette in luce la fedeltà di Cristo, in contrasto con l'umana infedeltà. Nell'ora della prova, mentre tutti, anche i discepoli e persino Pietro, abbandonano Gesù (cfr Mt 26,56), Egli rimane fedele, pronto a versare il sangue per portare a compimento la missione affidatagli dal Padre. Accanto gli resta Maria, silenziosa e sofferente.

Cari giovani! Imparate da Gesù e dalla sua e nostra Madre. La vera forza dell'uomo si vede nella fedeltà con cui egli è capace di rendere testimonianza alla verità, resistendo a blandizie e minacce, ad incomprensioni e ricatti, e persino alla persecuzione dura e spietata. Ecco la strada nella quale ci chiama a seguirlo il nostro Redentore.

Solo se sarete disposti a fare questo, diventerete ciò che Gesù si attende da voi, e cioè "sale della terra" e "luce del mondo" (Mt 5,13-14). E' proprio questo, come sapete, il tema della prossima Giornata Mondiale della Gioventù. L'immagine del sale "ci ricorda che, mediante il battesimo, tutto il nostro essere è stato profondamente trasformato, perché «condito» con la vita nuova che viene da Cristo (cfr Rm 6,4)" (Messaggio per la XVII Giornata Mondiale della Gioventù, 2).

Cari giovani, non perdete il vostro sapore di cristiani, il sapore del Vangelo! Mantenetelo vivo, meditando costantemente il mistero pasquale: la Croce sia la vostra scuola di sapienza. Di nient'altro vantatevi, se non di questa sublime cattedra di verità e di amore.

5. La liturgia ci invita a salire verso Gerusalemme con Gesù acclamato dai giovani ebrei. Tra poco Egli "dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno" (Lc 24,46). San Paolo ci ha ricordato che Gesù "spogliò se stesso assumendo la condizione di servo" (Fil 2,7) per ottenere a noi la grazia della filiazione divina. E' da qui che scaturisce la vera sorgente della pace e della gioia per ciascuno di noi! Sta qui il segreto della gioia pasquale, che nasce dal travaglio della Passione.

A questa gioia auguro che prenda parte ognuno di voi, cari giovani amici. Colui che avete scelto come Maestro non è un mercante d'illusioni, non è un potente di questo mondo, né un astuto e abile ragionatore. Voi sapete chi avete scelto di seguire: è il Crocifisso risorto! Cristo morto per voi, Cristo risorto per voi.

E io vi assicuro che non rimarrete delusi. Nessun altro, al di fuori di Lui, vi può infatti dare quell'amore, quella pace e quella vita eterna a cui anela profondamente il vostro cuore. Beati voi, giovani, se sarete fedeli discepoli di Cristo! Beati voi se, in ogni circostanza, sarete disposti a testimoniare che veramente quest'uomo è Figlio di Dio! (cfr Mt 27,39).

Vi guidi ed accompagni Maria, Madre del Verbo incarnato, pronta ad intercedere per ogni uomo che viene sulla faccia della terra.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia delle Palme 24 marzo 2002]

Le acclamazioni dell’ingresso in Gerusalemme e l’umiliazione di Gesù. Le grida festose e l’accanimento feroce. Questo duplice mistero accompagna ogni anno l’ingresso nella Settimana Santa, nei due momenti caratteristici di questa celebrazione: la processione con i rami di palma e di ulivo all’inizio e poi la solenne lettura del racconto della Passione.

Lasciamoci coinvolgere in questa azione animata dallo Spirito Santo, per ottenere quanto abbiamo chiesto nella preghiera: di accompagnare con fede il nostro Salvatore nella sua via e di avere sempre presente il grande insegnamento della sua passione come modello di vita e di vittoria contro lo spirito del male.

Gesù ci mostra come affrontare i momenti difficili e le tentazioni più insidiose, custodendo nel cuore una pace che non è distacco, non è impassibilità o superomismo, ma è abbandono fiducioso al Padre e alla sua volontà di salvezza, di vita, di misericordia; e, in tutta la sua missione, è passato attraverso la tentazione di “fare la sua opera” scegliendo Lui il modo e slegandosi dall’obbedienza al Padre. Dall’inizio, nella lotta dei quaranta giorni nel deserto, fino alla fine, nella Passione, Gesù respinge questa tentazione con la fiducia obbediente nel Padre.

Anche oggi, nel suo ingresso in Gerusalemme, Lui ci mostra la via. Perché in quell’avvenimento il maligno, il Principe di questo mondo aveva una carta da giocare: la carta del trionfalismo, e il Signore ha risposto rimanendo fedele alla sua via, la via dell’umiltà.

Il trionfalismo cerca di avvicinare la meta per mezzo di scorciatoie, di falsi compromessi. Punta a salire sul carro del vincitore. Il trionfalismo vive di gesti e di parole che però non sono passati attraverso il crogiolo della croce; si alimenta del confronto con gli altri giudicandoli sempre peggiori, difettosi, falliti… Una forma sottile di trionfalismo è la mondanità spirituale, che è il maggior pericolo, la tentazione più perfida che minaccia la Chiesa (De Lubac). Gesù ha distrutto il trionfalismo con la sua Passione.

Il Signore ha veramente condiviso e gioito con il popolo, con i giovani che gridavano il suo nome acclamandolo Re e Messia. Il suo cuore godeva nel vedere l’entusiasmo e la festa dei poveri d’Israele. Al punto che, a quei farisei che gli chiedevano di rimproverare i suoi discepoli per le loro scandalose acclamazioni, Egli rispose: «Se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40). Umiltà non vuol dire negare la realtà, e Gesù è realmente il Messia, è realmente il Re.

Ma nello stesso tempo il cuore di Cristo è su un’altra via, sulla via santa che solo Lui e il Padre conoscono: quella che va dalla «condizione di Dio» alla «condizione di servo», la via dell’umiliazione nell’obbedienza «fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,6-8). Egli sa che per giungere al vero trionfo deve fare spazio a Dio; e per fare spazio a Dio c’è un solo modo: la spogliazione, lo svuotamento di sé. Tacere, pregare, umiliarsi. Con la croce, fratelli e sorelle, non si può negoziare, o la si abbraccia o la si rifiuta. E con la sua umiliazione Gesù ha voluto aprire a noi la via della fede e precederci in essa.

Dietro di Lui, la prima a percorrerla è stata sua Madre, Maria, la prima discepola. La Vergine e i santi hanno dovuto patire per camminare nella fede e nella volontà di Dio. Di fronte agli avvenimenti duri e dolorosi della vita, rispondere con la fede costa «una particolare fatica del cuore» (cfr S. Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris Mater, 17). È la notte della fede. Ma solo da questa notte spunta l’alba della risurrezione. Ai piedi della croce, Maria ripensò alle parole con cui l’Angelo le aveva annunciato il suo Figlio: «Sarà grande […]; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32-33). Maria sul Golgota si trova di fronte alla smentita totale di quella promessa: suo Figlio agonizza su una croce come un malfattore. Così il trionfalismo, distrutto dall’umiliazione di Gesù, è stato ugualmente distrutto nel cuore della Madre; entrambi hanno saputo tacere.

Preceduti da Maria, innumerevoli santi e sante hanno seguito Gesù sulla via dell’umiltà e sulla via dell’obbedienza. Oggi, Giornata Mondiale della Gioventù, voglio ricordare i tanti santi e sante giovani, specialmente quelli “della porta accanto”, che solo Dio conosce, e che a volte Lui ama svelarci a sorpresa. Cari giovani, non vergognatevi di manifestare il vostro entusiasmo per Gesù, di gridare che Lui vive, che è la vostra vita. Ma nello stesso tempo non abbiate paura di seguirlo sulla via della croce. E quando sentirete che vi chiede di rinunciare a voi stessi, di spogliarvi delle vostre sicurezze, di affidarvi completamente al Padre che è nei cieli, allora, cari giovani, rallegratevi ed esultate! Siete sulla strada del Regno di Dio.

Acclamazioni festose e accanimento feroce; è impressionante il silenzio di Gesù nella sua Passione, vince anche la tentazione di rispondere, di essere “mediatico”. Nei momenti di oscurità e grande tribolazione bisogna tacere, avere il coraggio di tacere, purché sia un tacere mite e non rancoroso. La mitezza del silenzio ci farà apparire ancora più deboli, più umiliati, e allora il demonio, prendendo coraggio, uscirà allo scoperto. Bisognerà resistergli in silenzio, “mantenendo la posizione”, ma con lo stesso atteggiamento di Gesù. Lui sa che la guerra è tra Dio e il Principe di questo mondo, e che non si tratta di mettere mano alla spada, ma di rimanere calmi, saldi nella fede. È l’ora di Dio. E nell’ora in cui Dio scende in battaglia, bisogna lasciarlo fare. Il nostro posto sicuro sarà sotto il manto della Santa Madre di Dio. E mentre attendiamo che il Signore venga e calmi la tempesta (cfr Mc 4,37-41), con la nostra silenziosa testimonianza in preghiera, diamo a noi stessi e agli altri «ragione della speranza che è in [noi]» (1 Pt 3,15). Questo ci aiuterà a vivere nella santa tensione tra la memoria delle promesse, la realtà dell’accanimento presente nella croce e la speranza della risurrezione.

[Papa Francesco, omelia delle Palme, XXXIV GMG 14 aprile 2019]

Venerdì, 04 Aprile 2025 03:02

Viene alla Festa, ma da clandestino

(Gv 11,45-56)

 

Cristo è tutto quello che le feste ebraiche avevano promesso e proclamato.

Esse decifravano autorevolmente, ma in modo incosciente [i vv.47-52 si compiacciono di parole a doppio senso].

Il sommo sacerdote parlava infatti in nome di Dio: interpretava la situazione in modo divinamente ispirato.

In Cristo ci si avviava alla realizzazione della promessa fatta ad Abramo: si chiudeva l’epoca della dispersione degli uomini.

La Croce avrebbe realizzato la vocazione del Tempio: la ricomposizione del popolo e l’unità dell’essere umano dalla terra arida e lontana, nella condivisione e gratuità.

Ma quale poteva essere anche per Gesù il punto di partenza (energetico) per non ritirarsi dentro i limiti del proprio ambiente fin nei dettagli, e attivare un cammino di rinascita?

La comunità di Betania [«casa dei poveri»] è immagine delle prime realtà di fede, indigenti e composte di soli fratelli e sorelle.

A misura di persona. Dove ci si “guardava” e si potevano sciogliere quei legami che impedivano di andare oltre il già conosciuto.

Nido di relazioni sane, che riusciva a dare senso anche alle ferite.

 

La «casa dei poveri» è il solo luogo in cui Gesù si trovava a suo agio, ossia l’unica realtà in cui lo possiamo ancora riconoscere vivo e presente ‘in mezzo’ - disponibile, equidistante. Sorgente di vita per modesti e bisognosi.

Stride nel passo di Vangelo il confronto con la volgare astuzia dei direttori e la dimensione fuori-scala dei luoghi e feste comandate.

Come se lì nessuna linfa scorresse tra Santità di Dio e vita reale delle persone dimesse.

 

Malgrado il Maestro compisse il bene - come in tutti i regimi, non mancavano i delatori (v.46).

D’altro canto, buona parte degli abitanti di Gerusalemme trovavano nell’indotto delle attività del Tempio il loro sostentamento materiale.

Figuriamoci se i primi della classe si sarebbero convinti a seguire uno sconosciuto che intendeva soppiantare l’istituzione ufficiale e le posizioni di privilegio, con una utopia disadorna.

Il trono dei prìncipi della Casa fraterna era viceversa privo di ‘cuscini’, e la coordinatrice della comunità una donna: Marta [«signora»]. Leader a rovescio, servizievole.

In tal guisa, Betania dava spunti di vita nuova, a motivo della sua stessa composizione, e ‘spirito intimo’.

Focolare privo di standard e ruoli da primato.

Realtà scevra di lotte, difese, posizioni, interessi consolidati: tutte tensioni a “sistemare” le cose che ancora ci segnano al ribasso, verso la sciatteria.

 

Sotto Domiziano queste piccole realtà alternative - premurose verso i piccoli e lontani - dovettero vivere come Gesù: clandestine.

Pagavano l’unità con la croce. Ma rinnovavano la vita dell’impero.

 

 

[Sabato 5.a sett. Quaresima, 12 aprile 2025]

Venerdì, 04 Aprile 2025 02:58

Quale Unità

"Ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore" (Gv 10, 16). È la stessa cosa che Giovanni ripete dopo la decisione del sinedrio di uccidere Gesù, quando Caifa disse che sarebbe stato meglio se uno solo fosse morto per il popolo piuttosto che la nazione intera perisse. Giovanni riconosce in questa parola di Caifa una parola profetica e aggiunge: "Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (11, 52). Si rivela la relazione tra Croce e unità; l'unità si paga con la Croce. Soprattutto però emerge l'orizzonte universale dell'agire di Gesù. Se Ezechiele nella sua profezia sul pastore aveva di mira il ripristino dell'unità tra le tribù disperse d'Israele (cfr Ez 34, 22-24), si tratta ora non solo più dell'unificazione dell'Israele disperso, ma dell'unificazione di tutti i figli di Dio, dell'umanità - della Chiesa di giudei e di pagani. La missione di Gesù riguarda l'umanità intera, e perciò alla Chiesa è data una responsabilità per tutta l'umanità, affinché essa riconosca Dio, quel Dio che, per noi tutti, in Gesù Cristo si è fatto uomo, ha sofferto, è morto ed è risorto. La Chiesa non deve mai accontentarsi della schiera di coloro che a un certo punto ha raggiunto, e dire che gli altri stiano bene così: i musulmani, gli induisti e via dicendo. La Chiesa non può ritirarsi comodamente nei limiti del proprio ambiente. È incaricata della sollecitudine universale, deve preoccuparsi per tutti e di tutti.

[Papa Benedetto, omelia 7 maggio 2006]

Venerdì, 04 Aprile 2025 02:54

Il richiamo della condanna

1. Noi professiamo la nostra fede nella verità centrale della missione messianica di Gesù Cristo: egli è il redentore del mondo mediante la sua morte in croce. La professiamo con le parole del Simbolo Niceno-Costantinopolitano, secondo il quale Gesù “fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto”. Nel professare questa fede, commemoriamo la morte di Cristo anche come un evento storico, che, come la sua vita, ci è dato conoscere da fonti storiche sicure e autorevoli. In base a queste stesse fonti noi possiamo e vogliamo conoscere e comprendere anche le circostanze storiche di quella morte, che crediamo essere stata “il prezzo” della redenzione dell’uomo di tutti i tempi.

2. E prima di tutto: come si è giunti alla morte di Gesù di Nazaret? Come si spiega il fatto che egli è stato dato a morte dai rappresentanti della sua nazione, che lo hanno consegnato al “procuratore” romano, il cui nome, trasmesso dai Vangeli, figura anche nei Simboli di fede? Per ora cerchiamo di raccogliere le circostanze, che “umanamente” spiegano la morte di Gesù. L’evangelista Marco, descrivendo il processo di Gesù davanti a Ponzio Pilato, annota che egli era stato “consegnato per invidia” e che Pilato era cosciente di questo fatto: “Sapeva . . . che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia” (Mc 15,10). Chiediamoci: perché questa invidia? Noi possiamo trovarne le radici nel risentimento non solo per ciò che Gesù insegnava, ma per il modo in cui lo faceva. Se, al dire di Marco, egli insegnava “come uno che ha autorità, e non come gli scribi” (Mc 1, 22), questa circostanza doveva mostrarlo agli occhi di questi ultimi come una “minaccia” per il loro proprio prestigio.

3. Di fatto, sappiamo che già l’inizio dell’insegnamento di Gesù nella sua città natale porta a un conflitto. Il trentenne nazareno infatti, prendendo la parola nella sinagoga, indica se stesso come colui sul quale si compie l’annunzio del Messia, pronunciato da Isaia. Ciò provoca negli uditori stupore e in seguito indignazione, così che essi vogliono gettarlo giù dal monte “sul quale la loro città era situata” . . . “ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò” (Lc 4, 29-30).

4. Questo incidente è solo l’inizio: è il primo segnale delle successive ostilità. Ricordiamo le principali. Quando Gesù fa capire di avere il potere di rimettere i peccati, gli scribi vedono in questo una bestemmia, perché solo Dio ha un tale potere (cf. Mc 2, 6). Quando compie i miracoli in giorno di sabato, asserendo che “il Figlio dell uomo è signore del sabato” (Mt 12, 8), la reazione è analoga alla precedente. Ed è già da allora che traspare l’intenzione di far morire Gesù (cf. Mc 3, 6): “Cercavano . . . di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio” (Gv 5, 18). Che cosa altro potevano significare le parole: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse Io Sono”? (Gv 8, 58). Gli ascoltatori sapevano che cosa significava quella denominazione: “Io Sono”. Perciò di nuovo Gesù corre il rischio della lapidazione. Questa volta, però, egli “. . . si nascose e uscì dal tempio” (Gv 8, 59).

5. Il fatto che in definitiva fece precipitare la situazione e portò alla decisione di far morire Gesù, fu la risurrezione di Lazzaro in Betania. Il Vangelo di Giovanni ci fa sapere che nella successiva riunione del sinedrio fu constatato: “Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione”. Di fronte a queste previsioni e a questi timori Caifa, il sommo sacerdote, si pronunciò con questa sentenza: “Meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (Gv 11, 47-50). L’evangelista aggiunge: “Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”. E conclude: “Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo” (Gv 11, 51-53).

Giovanni ci fa conoscere in questo modo un duplice aspetto di quella presa di posizione di Caifa. Dal punto di vista umano, che più precisamente si potrebbe dire opportunistico, essa era un tentativo di giustificare la decisione di eliminare un uomo ritenuto politicamente pericoloso, senza preoccuparsi della sua innocenza. Da un punto di vista più alto, fatto proprio e annotato dall’evangelista, le parole di Caifa, indipendentemente dalle sue intenzioni, avevano un contenuto autenticamente profetico, riguardante il mistero della morte di Cristo secondo il disegno salvifico di Dio.

6. Qui consideriamo lo svolgimento umano degli avvenimenti. In quella riunione del sinedrio fu presa la decisione di uccidere Gesù di Nazaret. Si approfittò della sua presenza a Gerusalemme durante le feste pasquali.

Giuda, uno dei dodici, per trenta monete d’argento, tradì Gesù, indicando il luogo dove si poteva arrestarlo. Una volta preso, Gesù fu condotto davanti al sinedrio. All’essenziale domanda del sommo sacerdote: “Ti scongiuro per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”, Gesù diede la grande risposta: “Tu l’hai detto” (Mt 26, 63-64; cf. Mc 14, 62; Lc 22, 70). In questa dichiarazione il sinedrio vide una bestemmia palese, e sentenziò che Gesù era “reo di morte!” (Mc 14, 64).

7. Il sinedrio non poteva però eseguire la condanna senza il consenso del procuratore romano. E Pilato è personalmente convinto che Gesù è innocente, e lo fa capire più volte. Dopo aver opposto una incerta resistenza alle pressioni del sinedrio, alla fine cede per timore di rischiare la disapprovazione di Cesare, tanto più che anche la folla, aizzata dai fautori della eliminazione di Gesù, ora pretende la crocifissione. “Crucifige eum!”. E così Gesù viene condannato a morte mediante la crocifissione.

8. Storicamente responsabili di questa morte sono gli uomini indicati dai Vangeli, almeno in parte, per nome. Lo dichiara Gesù stesso quando dice a Pilato durante il processo: “Chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande” (Gv 19, 11). E in un altro passo; “Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!” (Mc 14, 21; Mt 26, 24; Lc 22, 22). Gesù allude alle varie persone che, in diversi modi, saranno gli artefici della sua morte: a Giuda, ai rappresentanti del sinedrio, a Pilato, agli altri . . . Anche Simon Pietro, nel discorso tenuto dopo la Pentecoste, contesterà ai capi del sinedrio l’uccisione di Gesù: “Voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso” (At 2, 23).

9. Tuttavia non si può allargare questa imputazione oltre la cerchia delle persone veramente responsabili. Leggiamo in un documento del Concilio Vaticano II: “Se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né (tanto meno) agli ebrei del nostro tempo” (Nostra Aetate, 4).

Se poi si tratta di valutare la responsabilità delle coscienze, non si possono dimenticare le parole di Cristo sulla croce: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34). Troviamo l’eco di quelle parole in un altro discorso pronunciato da Pietro dopo la Pentecoste: “Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi” (At 3, 17). Quale senso di riserbo dinanzi al mistero della coscienza umana, anche nel caso del più grande delitto commesso nella storia, l’uccisione di Cristo!

10. Sull’esempio di Gesù e di Pietro, anche se è difficile negare la responsabilità di quegli uomini che provocarono volutamente la morte di Cristo, anche noi guarderemo le cose alla luce dell’eterno disegno di Dio, che richiedeva dal suo Figlio prediletto l’offerta di sé come vittima per i peccati di tutti gli uomini. In questa superiore prospettiva ci rendiamo conto che tutti, a motivo dei nostri peccati, siamo responsabili della morte in croce di Cristo: tutti, nella misura in cui mediante il peccato abbiamo contribuito a far sì che Cristo morisse per noi come vittima di espiazione. Si possono intendere anche in questo senso le parole di Gesù: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini, e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà” (Mt 17, 22).

11. La croce di Cristo è dunque per tutti un richiamo realistico al fatto espresso dall’apostolo Giovanni con le parole: “Il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” (1 Gv 1, 7-8). La croce di Cristo non cessa di essere per ciascuno di noi questo richiamo misericordioso e nello stesso tempo severo, a riconoscere e confessare la propria colpa. È una chiamata a vivere nella verità.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 28 settembre 1988]

Venerdì, 04 Aprile 2025 02:28

Per ciascuno

Nell’omelia il Santo Padre ha proposto una breve riflessione sulle letture liturgiche del giorno e, in particolare, sul brano del vangelo di Giovanni (11, 45-56) dove si leggono le parole del sommo sacerdote Caifa ai capi dei sacerdoti e ai farisei riuniti nel sinedrio e il commento dell’evangelista: «Gesù doveva morire per la nazione, e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi». Gesù è morto per il suo popolo ed è morto per tutti. Ma questo — ha notato il Papa — non va inteso nel senso della globalità: vuol dire che Gesù è morto per ciascun uomo singolarmente. Ogni cristiano deve dunque dire: «Cristo è morto per me».

È questa la massima espressione dell’amore di Gesù per ogni uomo. E dalla consapevolezza di questo amore — ha sottolineato Papa Francesco — dovrebbe nascere un grazie. Un grazie talmente profondo e appassionato che potrebbe anche trasformarsi in lacrime di gioia sul volto di ogni fedele.

[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 24/03/2013]

Giovedì, 03 Aprile 2025 04:27

Ti fai Dio

(Gv 10,31-42)

 

L’intento del quarto Vangelo non è quello particolare di convertire Ebrei, piuttosto di rafforzare la Fede nella Persona del Consacrato del Signore che si proclamava «Figlio».

Il Richiamo è alle chiese giovannee dell’Asia Minore. E in Gv il termine «Giudei» indica non il popolo, bensì le guide spirituali.

A loro cospetto un Gesù “blasfemo” rivendica la mutua immanenza col Padre, e osa dilatare a noi i confini del Mistero che lo avvolge e riempie.

Ma la condizione divina che si manifesta nella pienezza umana viene rifiutata dai capi religiosi. Ciò in nome dell’adesione all’Eterno, immaginato distante e antico.

Il salmo 82 recita: «Io ho detto: Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo».

Il riferimento poetico dell’inno è ai dirigenti e giudici d’Israele, ma Gesù [che amava autodefinirsi «Figlio dell’uomo»] lo estende agli ‘inviati del Padre’, a coloro che accolgono la sua Parola - fuori dell’élite.

Se la divinità può essere attribuita agli “agenti” di Dio non solo leaders, tanto più essa può essere assegnata alla Parola stessa di Dio - e ai figli che la recano, tutti degni di confidenza eminente.

Secondo Gesù, l’Eterno non è rivelato da ragionamenti e argomentazioni cerebrali, né da dottrine, codici orali e scritti, o discipline, bensì dalla qualità indistruttibile delle opere «belle» (vv.32-33) che sono «dal Padre» (v.32).

Il termine greco sta a indicare il senso di pienezza e meraviglia - verità, bontà, fascino, stupore - che emana dall’unica ‘azione’ richiesta in qualsiasi «opera» di rilievo o minuta: l'amore che risuscita il bisognoso.

E la Scrittura riconosce in ciascuno di noi questa sacra scintilla, che dà a tutti gli accadimenti e alle emozioni il passo della Vertigine: capogiro che supera le cose circostanti [o il “come dovrebbero essere” fatte].

Certo, a nostro sostegno abbiamo bisogno d’un Volto, di una relazione e vicenda di stretta parentela per identificare ciò che ci muove, per scrutare dentro quel che appare o viene suscitato.

L’Unità di nature - Lui in noi e noi col Padre - ci corrisponde nel Volto del Cristo.

Nessun cumulo di sassi (v.31) potrà seppellire l’anelito divino e la testimonianza di chi viene «da» Lui.

Anche se qualcuno uccidesse i figli, parlerebbero le loro «molte e splendide opere» (v.32).

Alcuni - interessati - tentano d’immobilizzare il Verbo che agisce in noi: il Logos partecipe di Comunione, fonte della Luce e della Vita.

 

I detrattori fanno ancora leva sull’atmosfera ostile della cruda e vanitosa religiosità di maniera [antica o alla moda]…

Ebbene, i figli intimi troveranno accoglienza altrove, in territorio straniero «al di là del Giordano» (v.40).

Ogni cosa che accade, anche le persecuzioni e i tentativi di omicidio per incomprensione o invidia [perfino spirituale] può essere guardata in un’altra ottica: di Fede inclusiva che riavvicina alle Radici.

Sono eventi, accadimenti esterni che attivano energie complessive: si fanno cosmiche fuori e acutamente divine in noi.

Più che pericoli e fastidi, tracciano un destino di Esodo - come un fiume che trasporta, ma che in Cristo ci scampa dalle mani d’una stasi mortifera (v.39), e risintonizza mirabilmente sulle forze che guidano alle periferie - dove dobbiamo andare.

È Presenza divina e Azione fuori del comune. Guida infallibile del mondo interiore - che ricolloca in missione e alla ricerca della libertà più sacra.

 

 

[Venerdì 5.a sett. Quaresima, 11 aprile 2025]

Giovedì, 03 Aprile 2025 04:21

Ti fai Dio

(Gv 10,31-42)

 

«Non ti lapidiamo per un’opera splendida, ma per bestemmia, e poiché tu che sei uomo fai te stesso Dio» (v.33).

Il sottofondo teologico del passo è la festa della Dedicazione, durante la quale si leggeva fra l'altro il passo di Ez 34 che presenta l’Eterno come «il» Pastore autentico e vero.

 

L’intento del quarto Vangelo non è quello particolare di convertire Ebrei, piuttosto di rafforzare la Fede nella Persona del Consacrato del Signore che si proclamava «Figlio».

Il Richiamo è alle chiese giovannee dell’Asia Minore. E in Gv il termine «Giudei» indica non il popolo, bensì le guide spirituali.

A loro cospetto un Gesù “blasfemo” rivendica la mutua immanenza col Padre, e osa dilatare a noi i confini del Mistero che lo avvolge e riempie.

Sembrava un sacrilegio - soprattutto per i coinvolti nell’istituzione ufficiale.

La condizione divina che si manifesta nella pienezza umana viene rifiutata dai capi religiosi. Ciò in nome dell’adesione all’Eterno, immaginato distante e antico.

[Nei casi “interni” alle prime assemblee - di veterani che già avevano conquistato posizioni di rilevo - li vede tentennanti].

 

Dover vigilare sull’ortodossia della dottrina è sempre un pretesto per diminuire ogni principiante, o la persona malferma - e la sua franchigia, che escluderebbe una struttura di “mediazione”, anzitutto i suoi vertici.

Niente di eccezionale, ma mette paura agli installati.

 

Il salmo 82 recita: «Io ho detto: Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo».

Il riferimento poetico dell’inno è ai dirigenti e giudici d’Israele, ma Gesù che amava autodefinirsi «Figlio dell’uomo» lo estende - fuori dell’élite - agli inviati del Padre, a coloro che accolgono la sua Parola.

Se in qualche modo la divinità può essere attribuita agli agenti di Dio (non solo leaders) tanto più essa può essere assegnata alla Parola stessa di Dio - e ai figli che la recano, tutti degni di confidenza eminente.

Il contrappunto fra «opere» di condanna e di sola vita è figura del passaggio dalla religiosità comune alla vita di Fede personale.

Essa va a sottolineare il carattere di chi rappresenta il Padre e porge l’Opera divina, esclusivamente buona e di liberazione.

 

Le autorità rigettano il Figlio in nome dell’Altissimo, e della fedeltà all’idea tradizionale. Pensiero ancorato all’immagine irriducibile del Re vincitore, da cui scaturisce un certo tipo di società competitiva, spietata anche nella vita spirituale - già in via d’estinzione.

Secondo Gesù l’Eterno non è rivelato da ragionamenti e argomentazioni cerebrali, né da dottrine, codici orali e scritti, o discipline, bensì dalla qualità indistruttibile delle opere «belle» (vv.32-33) che sono «dal Padre» (v.32).

Il termine greco sta a indicare il senso di pienezza e meraviglia - verità, bontà, fascino, stupore - che emana dall’unica “azione” richiesta in qualsiasi «opera» di rilievo o minuta: l'amore che risuscita il bisognoso.

E la Scrittura riconosce in ciascuno di noi questa sacra scintilla, che dà a tutti gli accadimenti e alle emozioni il passo della Vertigine: capogiro che supera le cose circostanti [o il “come dovrebbero essere” fatte].

Certo, a nostro sostegno abbiamo bisogno d’un Volto, di una relazione e vicenda di stretta parentela per identificare ciò che ci muove, per scrutare dentro quel che appare o viene suscitato.

L’Unità di nature - Lui in noi e noi col Padre - ci corrisponde nel Volto del Cristo.

Tale reciprocità si rende manifesta nell’ascoltare, accogliere, non precipitarsi a condannare - piuttosto, rendere colma (e incredibile) la “perdita”. E forte il debole.

La simbiosi con Dio nelle nostre attività, col nostro modo di proporre o reagire, durante tutta la nostra vita, dispiega in ciascun figlio la sua Somiglianza, anche nelle circostanze difficili.

Non sarà il linguaggio della “lettera”, ma il senso vivo e leale della verità-disalienazione, che rivela il mistero d’amore della vita intima dell’Onnipotente.

 

Nessun cumulo di sassi (v.31) potrà seppellire l’anelito divino e la testimonianza di chi viene «da» Lui.

Anche se qualcuno uccidesse i figli, parlerebbero le loro «molte e splendide opere» (v.32).

Alcuni - interessati - tentano d’immobilizzare il Verbo che agisce in noi: il Logos partecipe di Comunione, fonte della Luce e della Vita.

I detrattori fanno ancora leva sull’atmosfera ostile della religiosità cruda, del vanitoso centro sacro, della città eterna… Ebbene, i figli intimi troveranno accoglienza altrove, in territorio straniero «al di là del Giordano» (v.40).

Ogni cosa che accade, anche le persecuzioni e i tentativi di omicidio per incomprensione o invidia [persino spirituale], tutto può essere guardato in un’altra ottica.

Sono eventi, accadimenti esterni che attivano energie complessive: si fanno cosmiche fuori e acutamente divine in noi.

Più che pericoli e fastidi, tracciano un destino di Esodo - come un fiume che trasporta, ma che in Cristo ci scampa dalle mani d’una stasi mortifera (v.39), e risintonizza mirabilmente sulle forze che guidano alle periferie - dove dobbiamo andare.

È come Presenza divina e Azione fuori del comune, Guida infallibile del mondo interiore - che ricolloca in missione e alla ricerca della libertà più sacra.

 

Abbiamo bisogno di un Altro punto di vista, che orienti in modo assai più ricco, e in relazione alla marea che si affaccia - per cogliere l’insegnamento nascosto.

L’anima non sbaglia, e ciò che recano le circostanze può essere sempre reso funzionale.

Tale ottica di Fede inclusiva riavvicina alla Sorgente dell’essere, e dell’essenza particolare; accosta alle Radici che vivono dentro e nella natura delle cose.

Spesso l’io è assorbito dal mondo esteriore o dalle memorie; anche da falsi insegnamenti.

Ma la Fonte dell’essere nelle potenze cosmiche e l’Io  intimo agiscono al di là - ci portano altrove dalle solite proposte, dalle usuali reazioni e interventi [altrui e sotto condizione].

 

Per quanto note, meravigliose e scintillanti, le storie del passato devono rimanere nel passato.

Sia i desideri che i disagi ci guideranno lontano.

Non siamo usurpatori della gloria celeste, bensì incessanti restauratori del valore della dignità, della promozione, dell’Amicizia: la più sfolgorante e umanizzante delle Opere divine.

Dice il Tao Tê Ching (LIX): «Chi possiede la madre del regno può durare a lungo. Questo si chiama affondare le radici e rinsaldare il tronco, Via della lunga vita e dell’eterna giovinezza».

Commenta questo passo il maestro Ho-Shang Kung: «Il regno e la persona sono simili, la madre è la Via».

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Perché Gesù parla con distacco di «vostra legge» proprio rivolgendosi ai maestri spirituali più rinomati?

Quale Immagine di Dio ti abita? È radicale, splendida d’amore, d’Esodo e novità, o di trastulli?

Giovedì, 03 Aprile 2025 04:17

Azione permanente e sommessa

Il Vangelo […] propone un duplice comandamento sulla fede: credere in Dio e credere in Gesù. Il Signore, infatti, dice ai suoi discepoli: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1). Non sono due atti separati, ma un unico atto di fede, la piena adesione alla salvezza operata da Dio Padre mediante il suo Figlio Unigenito. Il Nuovo Testamento ha posto fine all’invisibilità del Padre. Dio ha mostrato il suo volto, come conferma la risposta di Gesù all’apostolo Filippo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Il Figlio di Dio, con la sua incarnazione, morte e risurrezione, ci ha liberati dalla schiavitù del peccato per donarci la libertà dei figli di Dio e ci ha fatto conoscere il volto di Dio che è amore: Dio si può vedere, è visibile in Cristo. Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6: Opere Complete, Milano 1998, 1001). Quindi solo credendo in Cristo, rimanendo uniti a Lui, i discepoli, tra i quali siamo anche noi, possono continuare la sua azione permanente nella storia: «In verità, in verità io vi dico – dice il Signore –: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio» (Gv 14,12).

La fede in Gesù comporta seguirlo quotidianamente, nelle semplici azioni che compongono la nostra giornata. «È proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all’umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di “vedere”» (Gesù di Nazareth II, 2011, 306). Sant’Agostino afferma che «era necessario che Gesù dicesse: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), perché una volta conosciuta la via, restava da conoscere la meta» (Tractatus in Ioh., 69, 2: CCL 36, 500), e la meta è il Padre. Per i cristiani, per ciascuno di noi, dunque, la Via al Padre è lasciarsi guidare da Gesù, dalla sua parola di Verità, e accogliere il dono della sua Vita. Facciamo nostro l’invito di San Bonaventura: «Apri dunque gli occhi, tendi l’orecchio spirituale, apri le tue labbra e disponi il tuo cuore, perché tu possa in tutte le creature vedere, ascoltare, lodare, amare, venerare, glorificare, onorare il tuo Dio» (Itinerarium mentis in Deum, I, 15).

[Papa Benedetto, Angelus 22 maggio 2011]

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Praying, celebrating, imitating Jesus: these are the three "doors" - to be opened to find «the way, to go to truth and to life» (Pope Francis)
Pregare, celebrare, imitare Gesù: sono le tre “porte” — da aprire per trovare «la via, per andare alla verità e alla vita» (Papa Francesco)
In recounting the "sign" of bread, the Evangelist emphasizes that Christ, before distributing the food, blessed it with a prayer of thanksgiving (cf. v. 11). The Greek term used is eucharistein and it refers directly to the Last Supper, though, in fact, John refers here not to the institution of the Eucharist but to the washing of the feet. The Eucharist is mentioned here in anticipation of the great symbol of the Bread of Life [Pope Benedict]
Narrando il “segno” dei pani, l’Evangelista sottolinea che Cristo, prima di distribuirli, li benedisse con una preghiera di ringraziamento (cfr v. 11). Il verbo è eucharistein, e rimanda direttamente al racconto dell’Ultima Cena, nel quale, in effetti, Giovanni non riferisce l’istituzione dell’Eucaristia, bensì la lavanda dei piedi. L’Eucaristia è qui come anticipata nel grande segno del pane della vita [Papa Benedetto]
Work is part of God’s loving plan, we are called to cultivate and care for all the goods of creation and in this way share in the work of creation! Work is fundamental to the dignity of a person. Work, to use a metaphor, “anoints” us with dignity, fills us with dignity, makes us similar to God, who has worked and still works, who always acts (cf. Jn 5:17); it gives one the ability to maintain oneself, one’s family, to contribute to the growth of one’s own nation [Pope Francis]
Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio; noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo all’opera della creazione! Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre (cfr Gv 5,17); dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione [Papa Francesco]
God loves the world and will love it to the end. The Heart of the Son of God pierced on the Cross and opened is a profound and definitive witness to God’s love. Saint Bonaventure writes: “It was a divine decree that permitted one of the soldiers to open his sacred wide with a lance… The blood and water which poured out at that moment was the price of our salvation” (John Paul II)
Il mondo è amato da Dio e sarà amato fino alla fine. Il Cuore del Figlio di Dio trafitto sulla croce e aperto, testimonia in modo profondo e definitivo l’amore di Dio. Scriverà San Bonaventura: “Per divina disposizione è stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza” (Giovanni Paolo II))
[Nicodemus] felt the fascination of this Rabbi, so different from the others, but could not manage to rid himself of the conditioning of his environment that was hostile to Jesus, and stood irresolute on the threshold of faith (Pope Benedict)
[Nicodemo] avverte il fascino di questo Rabbì così diverso dagli altri, ma non riesce a sottrarsi ai condizionamenti dell’ambiente contrario a Gesù e resta titubante sulla soglia della fede (Papa Benedetto)
Those wounds that, in the beginning were an obstacle for Thomas’s faith, being a sign of Jesus’ apparent failure, those same wounds have become in his encounter with the Risen One, signs of a victorious love. These wounds that Christ has received for love of us help us to understand who God is and to repeat: “My Lord and my God!” (Pope Benedict)

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