Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Il Vangelo che è stato proclamato in questa celebrazione ci aiuta a vivere più intensamente il triste momento del distacco dalla vita terrena del nostro compianto Fratello. Il dolore per la perdita della sua persona viene mitigato dalla speranza nella risurrezione, fondata sulla parola stessa di Gesù: "Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6, 40). Dinanzi al mistero della morte, per l'uomo che non ha fede tutto sembrerebbe andare irrimediabilmente perduto. È la parola di Cristo, allora, a rischiarare il cammino della vita e a conferire valore ad ogni suo momento. Gesù Cristo è il Signore della vita, ed è venuto per risuscitare nell'ultimo giorno tutto quello che il Padre gli ha affidato (cfr. Gv 6, 39). Questo è anche il messaggio che Pietro annuncia con grande forza nel giorno di Pentecoste (cfr. At 2, 14.22b-28). Egli mostra che Gesù non poteva essere trattenuto dalla morte. Dio lo ha sciolto dalle sue angosce, perché non era possibile che essa lo tenesse in suo potere. Sulla croce Cristo ha riportato la vittoria, che si doveva manifestare con un superamento della morte, cioè con la sua risurrezione.
[Papa Benedetto, omelia esequie card. Poggi 7 maggio 2010]
Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa Persona: "Io sono la Risurrezione e la Vita" (Gv 11,25). In Lui, infatti, grazie al mistero della sua morte e risurrezione, si adempie la divina promessa del dono della "vita eterna", che implica una piena vittoria sulla morte: "Viene l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce [del Figlio] e ne usciranno: quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita..." (Gv 5,28-29). "Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6,40).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 28 ottobre 1998]
Egli esorta: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna che il Figlio dell’uomo vi darà (v. 27). Cioè cercate la salvezza, l’incontro con Dio.
E con queste parole, ci vuol far capire che, oltre alla fame fisica l’uomo porta in sé un’altra fame – tutti noi abbiamo questa fame – una fame più importante, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta di fame di vita, di fame di eternità che Lui solo può appagare, in quanto è «il pane della vita» (v. 35). Gesù non elimina la preoccupazione e la ricerca del cibo quotidiano, no, non elimina la preoccupazione di tutto ciò che può rendere la vita più progredita. Ma Gesù ci ricorda che il vero significato del nostro esistere terreno sta alla fine, nell’eternità, sta nell’incontro con Lui, che è dono e donatore, e ci ricorda anche che la storia umana con le sue sofferenze e le sue gioie deve essere vista in un orizzonte di eternità, cioè in quell’orizzonte dell’incontro definitivo con Lui. E questo incontro illumina tutti i giorni della nostra vita. Se noi pensiamo a questo incontro, a questo grande dono, i piccoli doni della vita, anche le sofferenze, le preoccupazioni saranno illuminate dalla speranza di questo incontro. «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35). E questo è il riferimento all’Eucaristia, il dono più grande che sazia l’anima e il corpo. Incontrare e accogliere in noi Gesù, “pane di vita”, dà significato e speranza al cammino spesso tortuoso della vita. Ma questo “pane di vita” ci è dato con un compito, cioè perché possiamo a nostra volta saziare la fame spirituale e materiale dei fratelli, annunciando il Vangelo ovunque. Con la testimonianza del nostro atteggiamento fraterno e solidale verso il prossimo, rendiamo presente Cristo e il suo amore in mezzo agli uomini.
La Vergine Santa ci sostenga nella ricerca e nella sequela del suo Figlio Gesù, il pane vero, il pane vivo che non si corrompe e dura per la vita eterna.
[Papa Francesco, Angelus 2 agosto 2015]
(Gv 6,30-35)
Ciò cui allude il termine «Pane» usato da Gesù in questa pericope deriva dal termine ebraico «Lechem», la cui radice [consonanti «l-h-m»] evoca il suo «essere macinato» e «vagliato» nella Passione d’amore; quindi riguarda in filigrana il dono completo sulla Croce.
Secondo una credenza giudaica, l’avvento del Messia sarebbe stato accompagnato da una pioggia di Manna dal cielo - detta Manna del secondo Redentore - per soddisfare gli appetiti materiali.
Pane che non dura.
Vi erano anche speculazioni rabbiniche le quali riflettevano altre pretese, non di necessità fisica; e narravano del «pane» disceso dall’alto in figura sapienziale (Dt 8,3: «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore»; cf. Sap 16,26).
Per soddisfare le esigenze esistenziali e i grandi accorati interrogativi di senso, Gesù si rivela e presenta come Pane della Vita indistruttibile.
Ci sono domande cui non riusciamo a dare risposta: per quale motivo il dolore e le umiliazioni, perché ci sono persone fortunate e altre che senza colpa vivono infelici; per quale grande compito siamo nati e perché malgrado gli agi non ci sentiamo ancora compiuti.
La nostra esperienza è come avvolta nella confusione dei quesiti di fondo... e spesso manca perfino l’occhio e il calore di un Testimone.
Cerchiamo allora una Persona che traduca tutto in Relazione, e desideriamo ardentemente il suo Alimento sapienziale - un fondamento, il tepore umanizzante, e una sintesi di ogni verità, di tutta la storia.
Solo Gesù e la sua vicenda donano significato ai molti accadimenti; anche a limiti, ferite, confini, precarietà.
Egli è Sogno, Senso, Azione e Voce del Padre. Chiave, Centro e Destinazione di ciascuno e dell’umanità. Unico Cibo per la ‘fame’ e unica Fonte per la ‘sete’ della donna e dell’uomo sottoposti a prove e interrogativi.
Ai tempi di Gesù, per devozione diffusa Mosè continuava a essere il grande condottiero cui credere e aderire. Ma secondo il Signore quella dell’Esodo dei “padri” si configura come proposta che non ha futuro: non garantisce orientamento, sussistenza e vita gioiosa, solida e piena.
Essa non permane neppure come un ceppo dell’adesso. È solo un seme arcaico, un’escrescenza particolare disfatta in favore del mistico e rinnovato Frumento che fa procedere sulla Via autentica.
Il costume pio e inattuale - con tutte le sue fatiche - non aveva assicurato il grande cambiamento: l’accesso alla ‘terra della libertà’.
Il Dono dal Cielo preparava e disponeva un’altra Nascita, sconvolgente fin dalla radice il nutrimento leggero, tedioso e insipido; qualunque, per tutte le stagioni.
Nessuna ricetta rassicurante ci sovviene, perché la ‘seconda Genesi’ e crescita nello Spirito ha carattere, ma non accade una volta per tutte.
Anche le piaghe e gl’incerti della vita diventano una ‘chiamata’ a nutrirsi della Persona di Cristo. Ma reinterpretandolo con risposte nuove a domande nuove; per generarsi ancora e crescere in Lui e di Lui.
Così siamo negli episodi, eppure fuori del tempo; nell’Amore che nasce, ancora nuovo.
Possiamo provare il gusto di vivere, invece della condanna di sentirsi sempre insidiati.
Per questa unione sponsale e sempre inedita, la portata immensa della sua Persona sminuzzata, ruminata, fatta propria come si fa con un cibo, diventa Vita stessa dell’Eterno (v.33).
Unzione che non decade, che chiama insieme a Concelebrare.
[Martedì 3.a sett. di Pasqua, 6 maggio 2025]
(Gv 6,30-35)
Ciò cui allude il termine «Pane» usato da Gesù in questa pericope deriva dal termine ebraico «Lechem», la cui radice [consonanti «l-h-m»] evoca il suo «essere macinato» e «vagliato» nella Passione d’amore; quindi riguarda in filigrana il dono completo sulla Croce.
Secondo una credenza giudaica, l’avvento del Messia sarebbe stato accompagnato da una pioggia di Manna dal cielo - detta Manna del secondo Redentore - per soddisfare gli appetiti materiali.
Pane che non dura.
Vi erano anche speculazioni rabbiniche le quali riflettevano altre pretese, non di necessità fisica; e narravano del «pane» disceso dall’alto in figura sapienziale (Dt 8,3: «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore»; cf. Sap 16,26).
Per soddisfare le esigenze esistenziali e i grandi accorati interrogativi di senso, Gesù si rivela e presenta come Pane della Vita indistruttibile.
Nelle speranze messianiche di età dell’oro e liberazione si annidavano le medesime aspettative che si celano nelle pieghe del nostro andare, anche più in là di quelle soddisfatte da Mosè.
Cerchiamo cibo eminente.
Ci sono infatti domande cui non riusciamo a dare risposta: per quale motivo il dolore e le umiliazioni, perché ci sono persone fortunate e altre che senza colpa vivono infelici; per quale grande compito siamo nati, e perché malgrado gli agi non ci sentiamo ancora compiuti.
La nostra esperienza è come avvolta nella confusione dei quesiti di fondo... e spesso manca perfino l’occhio e il calore di un Testimone.
Cerchiamo allora una Persona che traduca tutto in Relazione, e desideriamo ardentemente il suo Alimento sapienziale - un fondamento, il tepore umanizzante, e una sintesi di ogni verità e di tutta la storia.
Solo Gesù e la sua vicenda donano significato ai molti accadimenti; anche a limiti, ferite, confini, precarietà: Egli è Sogno, Senso, Azione e Voce del Padre. Chiave, Centro e Destinazione di ciascuno e dell’umanità.
Unico Nutrimento per la ‘fame’ e sola vera Fonte per la ‘sete’ della donna e dell’uomo sottoposti a prove e interrogativi.
Ai tempi di Gesù, per devozione diffusa Mosè continuava a essere il grande condottiero cui credere e aderire.
Ma secondo il Signore quella dell’Esodo dei “padri” si configura come proposta che non ha futuro: non garantisce orientamento, sussistenza e vita gioiosa, solida e piena.
Essa non permane neppure come un ceppo dell’adesso. È solo un seme arcaico, un’escrescenza particolare disfatta in favore del mistico e rinnovato Frumento che ci fa procedere sulla Via autentica.
Il grande condottiero antico si era fermato alla dimensione religiosa e alle sue requisitorie. Mancava il balzo della Fede accesa per la rivelazione del cuore del Padre, nell’insegnamento, nella vicenda, e nella Persona del Cristo.
Accettare Gesù come autentico motivo e motore, sostegno e alimento che davvero avrebbe tolto di mezzo la fame, è inseparabile dall’accoglienza della sua proposta:
«Vuoi unire la tua vita alla Mia?». Corpo Unico, fra noi e Lui - che brucia.
In tale approccio, neppure il cielo era stato in grado di saziare i dubbi - una fame paradossalmente crescente e un’arsura che obbligava a tornare ad attingere, invece di riuscire a dissetare il popolo.
L’approccio della semplice religiosità affliggeva la vita delle donne e degli uomini, in modo crescente.
Gente nervosa, scostante e insoddisfatta. Un Banchetto nuziale privo di festosità, a motivo d’una dottrina e disciplina fredde, distanti, impersonali, resistenti allo Spirito.
Il costume pio e inattuale, vetusto - con tutte le sue fatiche - non aveva assicurato e neppure oggi garantisce il grande cambiamento che ci sostiene nel cammino e sollecita senza posa, accendendo il cuore di Amicizia: l’accesso alla ‘terra della libertà’, quindi dell’amore.
Il Dono dal Cielo preparava e disponeva un’altra Nascita, sconvolgente fin dalla radice il rapporto religioso comune - nutrimento leggero, tedioso e insipido; qualunque, e che non si addensa mai: “buono” per tutte le stagioni.
Tutto ciò era affiancato a una prospettiva di Felicità rimandata all’aldilà, dopo la morte, e sulla base dei meriti esterni.
Un clima paludoso di energie compresse e stagnanti, che non facevano vibrare di gioia.
Con Gesù, il semplice credere diventa Fede - non più assenso e ripetizione avvilente, che ci scaglia e trascina oltre il nostro «centro» - bensì azione unica, inedita e creativa. Anzitutto di Dio stesso in noi; per una realizzazione completa: da figli.
Nessuna ricetta rassicurante sovviene, perché la “seconda” Genesi e crescita nello Spirito ha carattere, ma non accade una volta per tutte.
Unicamente in tal senso, l’espressione «Io Sono» (v.35) sottolinea l’esclusività del «discorso di rivelazione».
Cristo reinterpreta totalmente, e capovolge, l’idea di trascendenza della condizione divina nell’umano.
L’Altissimo viene accolto e assimilato in vista della germinazione e della somiglianza, non più dell’imitazione e dell’obbedienza esterne.
“Troppa” è solo la Sapienza della sua Rivelazione, che libera da dubbi perché li rende fecondi e propulsivi; affatto umilianti al pari dei vacillamenti antichi.
Anche le piaghe e gl’incerti della vita diventano una ‘chiamata’ a nutrirsi della Persona di Cristo. Ma reinterpretandolo con risposte nuove a domande nuove; per generarsi ancora e crescere in Lui e di Lui.
Coì siamo negli episodi, eppure fuori del tempo; nell’Amore che nasce, nuovo.
La nostra identità - meglio: ‘impronta’ - non è quella dei finti conoscitori [ciò che non estingue la sete dell’anima] bensì quella di essere amati.
In tal guisa non abbiamo più bisogno di tacitare tutte le esigenze normali.
Possiamo provare il gusto di vivere, invece della condanna di sentirsi sempre insidiati.
Per questa unione sponsale e sempre inedita, la portata immensa della sua Persona sminuzzata, ruminata e fatta propria come si fa con un cibo, diventa Vita stessa dell’Eterno (v.33).
Unzione che non decade, che chiama insieme a Concelebrare.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
La mia anima ha fame di pietosi uffici sul corpo o di rinascite, di senso, e d’un percorso di libertà?
12. Anche se finora abbiamo parlato prevalentemente dell'Antico Testamento, tuttavia l'intima compenetrazione dei due Testamenti come unica Scrittura della fede cristiana si è già resa visibile. La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo inaudito. Già nell'Antico Testamento la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell'agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la « pecorella smarrita », l'umanità sofferente e perduta. Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: « Dio è amore » (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare.
13. A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza duratura attraverso l'istituzione dell'Eucaristia, durante l'Ultima Cena. Egli anticipa la sua morte e resurrezione donando già in quell'ora ai suoi discepoli nel pane e nel vino se stesso, il suo corpo e il suo sangue come nuova manna (cfr Gv 6, 31-33). Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo, vero cibo dell'uomo — ciò di cui egli come uomo vive — fosse il Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato veramente per noi nutrimento — come amore. L'Eucaristia ci attira nell'atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. L'immagine del matrimonio tra Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile: ciò che era lo stare di fronte a Dio diventa ora, attraverso la partecipazione alla donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa unione. La « mistica » del Sacramento che si fonda nell'abbassamento di Dio verso di noi è di ben altra portata e conduce ben più in alto di quanto qualsiasi mistico innalzamento dell'uomo potrebbe realizzare.
[Deus Caritas est]
Come pellegrino al 46° Congresso Eucaristico Internazionale, dirigo i primi passi verso l'antichissima Cattedrale di Wrocław , per inginocchiarmi con fede davanti al Santissimo Sacramento è il "Pane della vita". Lo faccio con profonda commozione e con il cuore colmo di gratitudine, nei riguardi della Divina Provvidenza, per il dono di questo Congresso e perchè esso si svolge proprio qui, a Wrocław , in Polonia - nella mia Patria.
Dopo la moltiplicazione miracolosa del pane, Cristo dice alle folle che lo cercavano: "In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perchè avete visto dei segni, ma perchè avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà" (Gv 6, 26-27). Come era difficile, a chi ascoltava Gesù, questo passaggio dal segno al mistero indicato da quel segno, dal pane quotidiano a quel pane "che dura per la vita eterna"! Ciò non è facile neppure per noi, uomini del XX secolo. I Congressi Eucaristici vengono celebrati proprio per questo, per ricordare questa verità a tutto il mondo: "Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna".
Gli interlocutori di Cristo, continuando il dialogo, domandano giustamente: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?" (Gv 6, 28). E Cristo risponde: "Questa è l'opera di Dio [l'opera intesa da Dio]: credere in colui che egli ha mandato" (Gv 6, 29). E' un'esortazione ad aver fede nel Figlio dell'uomo, nel Datore del cibo che non perisce. Senza la fede in colui che il Padre ha mandato, non è possibile riconoscere ed accettare questo Dono che non passa. Proprio per questo siamo qui - qui, a Wrocław , al 46° Congresso Eucaristico Internazionale. Siamo qui per confessare, insieme con tutta la Chiesa, la nostra fede in Cristo-Eucaristia, in Cristo-Pane vivo e Pane che dà la vita. Diciamo con san Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16) ed ancora: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6, 68).
2. "Signore, dacci sempre questo pane" (Gv 6, 34).
La moltiplicazione miracolosa del pane non aveva destato l'attesa risposta della fede nei testimoni oculari di quell'evento. Essi pretendevano un nuovo segno: "Quale segno dunque tu fai perchè vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo" (Gv 6, 30-31). I discepoli che circondano Gesù attendono dunque un segno simile alla manna, che i loro avi avevano mangiato nel deserto. Gesù, tuttavia, li esorta ad aspettarsi qualcosa di più di un'ordinaria ripetizione del miracolo della manna, di aspettarsi un cibo di un altro tipo. Cristo dice: "Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo" (Gv 6, 32-33).
Oltre alla fame fisica l'uomo porta in sè ancora un'altra fame, una fame più fondamentale, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta qui di fame di vita, di fame di eternità. Il segno della manna era l'annuncio dell'avvento di Cristo, che avrebbe soddisfatto la fame di eternità da parte dell'uomo diventando Lui stesso il "pane vivo" che "dà la vita al mondo". Ed ecco: coloro che l'ascoltano chiedono a Gesù di compiere ciò che veniva annunziato dal segno della manna, forse senza rendersi conto di quanto lontano andava quella loro richiesta: "Signore, dacci sempre questo pane" (Gv 6, 34). Quanto è eloquente questa richiesta! Quanto generoso e quanto sorprendente è il suo compimento. "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete . . . Perchè la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Gv 6, 35.55-56). "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6, 54).
Quale grande dignità ci è stata elargita! Il Figlio di Dio si dona a noi nel Santissimo Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Quanto infinitamente grande è la liberalità di Dio! Risponde ai nostri più profondi desideri, che non sono soltanto desideri di pane terreno, ma raggiungono gli orizzonti della vita eterna. Questo è il grande mistero della fede!
3. "Rabbi [Maestro], quando sei venuto qui?" (Gv 6, 25).
Posero a Gesù questa domanda coloro che lo cercavano dopo la moltiplicazione miracolosa del pane. Anche noi poniamo oggi, a Wrocław , la stessa domanda. La pongono tutti i partecipanti al Congresso Eucaristico Internazionale. E Cristo ci risponde: sono venuto quando i vostri avi ricevettero il battesimo, ai tempi di Mieszko I e di Boleslao il Prode, quando i vescovi e i sacerdoti iniziarono a celebrare in questa terra il "mistero della fede" che riuniva tutti coloro che avevano fame del cibo che dà la vita eterna.
In questo modo Cristo giunse a Wrocław oltre mille anni fa, quando qui nacque la Chiesa, e Wrocław divenne sede vescovile, una delle prime nei territori dei Piast. Nel corso dei secoli Cristo è giunto in tutti i luoghi del globo terrestre di dove provengono i partecipanti al Congresso Eucaristico. E da allora continua la sua presenza nell'Eucaristia, sempre ugualmente silenziosa, umile e generosa. Davvero, "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13, 1).
Ora, alla soglia del terzo millennio, vogliamo dare una particolare espressione alla nostra gratitudine. Questo Congresso Eucaristico di Wrocław ha una dimensione internazionale. Vi prendono parte non solo i fedeli della Polonia, ma quelli di tutto il mondo. Tutti insieme vogliamo esprimere la nostra profonda fede nell'Eucaristia e la nostra ardente gratitudine per il cibo eucaristico di cui da quasi duemila anni si nutrono intere generazioni di credenti in Cristo. Quanto inesauribile ed a tutti aperto è il tesoro dell'Amore di Dio! Quanto enorme è il debito contratto nei riguardi di Cristo-Eucaristia! Ci rendiamo conto di questo e insieme a san Tommaso d'Aquino esclamiamo: "Quantum potes, tantum aude: quia maior omni laude, nec laudare sufficis", "Quanto puoi, tanto osa, perchè Egli supera ogni lode, nè vi è canto che sia degno" (Lauda Sion).
Queste parole esprimono molto bene l'atteggiamento dei partecipanti al Congresso Eucaristico. In questi giorni cerchiamo di dare al Signore Gesù nell'Eucaristia l'onore e la gloria che Egli merita. Cerchiamo di rendergli grazie per la sua presenza, perchè da quasi duemila anni ormai Egli rimane con noi.
"Ti ringraziamo, o Padre nostro . . .
a noi hai fatto grazia
di un cibo e di una bevanda spirituale
e della vita eterna
per opera di Gesù, tuo servo.
A te sia gloria nei secoli!" (cfr Didachè).
[Giovanni Paolo II, omelia a Wroclaw 31 maggio 1997]
Dopo la moltiplicazione dei pani, la gente si era messa a cercare Gesù e finalmente lo trova presso Cafarnao. Egli comprende bene il motivo di tanto entusiasmo nel seguirlo e lo rivela con chiarezza: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (Gv 6, 26). In realtà, quelle persone lo seguono per il pane materiale che il giorno precedente aveva placato la loro fame, quando Gesù aveva fatto la moltiplicazione dei pani; non hanno compreso che quel pane, spezzato per tanti, per molti, era l’espressione dell’amore di Gesù stesso. Hanno dato più valore a quel pane che al suo donatore. Davanti a questa cecità spirituale, Gesù evidenzia la necessità di andare oltre il dono, e scoprire, conoscere il donatore. Dio stesso è il dono e anche il donatore. E così da quel pane, da quel gesto, la gente può trovare Colui che lo dà, che è Dio. Invita ad aprirsi ad una prospettiva che non è soltanto quella delle preoccupazioni quotidiane del mangiare, del vestire, del successo, della carriera. Gesù parla di un altro cibo, parla di un cibo che non è corruttibile e che è bene cercare e accogliere. Egli esorta: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna che il Figlio dell’uomo vi darà (v. 27). Cioè cercate la salvezza, l’incontro con Dio.
E con queste parole, ci vuol far capire che, oltre alla fame fisica l’uomo porta in sé un’altra fame – tutti noi abbiamo questa fame – una fame più importante, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta di fame di vita, di fame di eternità che Lui solo può appagare, in quanto è «il pane della vita» (v. 35). Gesù non elimina la preoccupazione e la ricerca del cibo quotidiano, no, non elimina la preoccupazione di tutto ciò che può rendere la vita più progredita. Ma Gesù ci ricorda che il vero significato del nostro esistere terreno sta alla fine, nell’eternità, sta nell’incontro con Lui, che è dono e donatore, e ci ricorda anche che la storia umana con le sue sofferenze e le sue gioie deve essere vista in un orizzonte di eternità, cioè in quell’orizzonte dell’incontro definitivo con Lui. E questo incontro illumina tutti i giorni della nostra vita. Se noi pensiamo a questo incontro, a questo grande dono, i piccoli doni della vita, anche le sofferenze, le preoccupazioni saranno illuminate dalla speranza di questo incontro. «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35). E questo è il riferimento all’Eucaristia, il dono più grande che sazia l’anima e il corpo. Incontrare e accogliere in noi Gesù, “pane di vita”, dà significato e speranza al cammino spesso tortuoso della vita. Ma questo “pane di vita” ci è dato con un compito, cioè perché possiamo a nostra volta saziare la fame spirituale e materiale dei fratelli, annunciando il Vangelo ovunque. Con la testimonianza del nostro atteggiamento fraterno e solidale verso il prossimo, rendiamo presente Cristo e il suo amore in mezzo agli uomini.
La Vergine Santa ci sostenga nella ricerca e nella sequela del suo Figlio Gesù, il pane vero, il pane vivo che non si corrompe e dura per la vita eterna.
[Papa Francesco, Angelus 2 agosto 2015]
(Gv 6,22-29)
Non pochi cercano Gesù non per lo stupore della Persona e della sua Via, ma perché garantisce più sazietà di altri (v.26).
Allora si deve uscire dalla superficialità di corti pensieri. Al Maestro, il rapporto “corretto” sembra già un Amore “finito”.
La proposta di Cristo addita altre mete; non si abbina con l’entusiasmo momentaneo per un fatto sensazionale, né con l’egoismo quieto.
Nel Segno che alimenta la nuova Via [l’Esodo di «barchette» (vv.22-24) che seguono il Cristo] si cela una Vocazione e una Missione.
Al di là di dove si presume.
Una Mistica del Seme donato - per farci finalmente partire senza tutori (v.22) - spalanca il senso dell’esistere personale.
Il «Figlio dell’uomo» è la persona dotata di umanità piena, che raffigura l’uomo nella condizione divina.
Egli è sempre sorprendentemente sull’altra sponda (v.25) per farsi quel “non so che”: ‘Profumo’ della Chiesa in uscita.
Eros oltre, che vince attaccamenti, abitudine, equilibri consolidati.
Il Signore non identifica il benessere spirituale con lo spegnersi della fiamma dell’anima, nei vezzi anche dell’attivismo.
Pertanto l’Opera richiesta non riguarda affatto il soddisfacimento delle molte prescrizioni.
Essa non somiglia ai soliti lavori di allestimento [il «fare»: v.28], perché è piuttosto Azione singolare di Dio [Soggetto] in noi.
Le osservanze devono essere tediosamente ammucchiate una sull’altra.
L’Opera divina che si compie in ogni nostro gesto è invece Virtù preziosa, Energia inattesa.
Nuova opportunità per incontrare noi stessi, i fratelli, un altro litorale - e staccarci dall’esteriorità.
Gesù si autorivela nel segno della frazione del Pane.
«Cibo che dura per la Vita dell’Eterno» (v.27) ossia che sfocia in una esperienza che già qui e ora possiede la qualità indistruttibile della stessa intimità di Dio.
Per ricevere l’Alimento ben sminuzzato che sostiene e diviene in noi sorgente di vita completa, il “lavoro” da fare non appartiene al genere di quelli che possiamo apprestare - neppure secondo legge e devozioni.
Può essere solo una risposta all’opera che il Padre stesso svolge dentro ciascuno di noi; anche se non apparisse subito brillante e finalizzata.
Ed ecco il capovolgimento garantito dall’avventura di Fede:
La sottomissione religiosa viene scalzata dall’Accettazione, che ha un senso assai meno mortificante (e riduzionista); viceversa, rispettoso dei tentativi. E creativo.
Cambia la relazione con Dio.
Essa diviene di pura accoglienza; eppure inventiva, per Nome: irripetibile e personale.
Non più di rinuncia passiva, rimprovero, purificazione, obbedienza [apparenze da Signorsì].
L’Eros fondante non ci sgrida: è unicamente Dono. Per una Reciprocità sana, rispettosa del nostro carattere e ascendente.
In tal guisa l’attrazione non si spegnerà. Essa vuole ogni giorno i suoi picchi; non gli basta trasformarsi in normale simbiosi, poi abitudine.
Piuttosto, sogna un Cammino largo.
Il resto rimane purtroppo sequela inefficace o ambigua; portando l’anima sempre in guerra con se stessa e gli altri.
Binario che qua e là può manifestare solo caricature cieche, unilaterali, forzate, della Sua Immagine - malgrado le pretese d’eccellenza.
Meccanismi che fanno male.
[Lunedì 3.a sett. di Pasqua, 5 maggio 2025]
Dear friends, this is the perpetual and living heritage that Jesus has bequeathed to us in the Sacrament of his Body and his Blood. It is an inheritance that demands to be constantly rethought and relived so that, as venerable Pope Paul VI said, its "inexhaustible effectiveness may be impressed upon all the days of our mortal life" (Pope Benedict)
Questa, cari amici, è la perpetua e vivente eredità che Gesù ci ha lasciato nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Eredità che domanda di essere costantemente ripensata, rivissuta, affinché, come ebbe a dire il venerato Papa Paolo VI, possa “imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale” (Papa Benedetto)
The road that Jesus points out can seem a little unrealistic with respect to the common mindset and to problems due to the economic crisis; but, if we think about it, this road leads us back to the right scale of values (Pope Francis)
La strada che Gesù indica può sembrare poco realistica rispetto alla mentalità comune e ai problemi della crisi economica; ma, se ci si pensa bene, ci riporta alla giusta scala di valori (Papa Francesco)
Our commitment does not consist exclusively of activities or programmes of promotion and assistance; what the Holy Spirit mobilizes is not an unruly activism, but above all an attentiveness that considers the other in a certain sense as one with ourselves (Pope Francis)
Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con se stesso (Papa Francesco)
The drama of prayer is fully revealed to us in the Word who became flesh and dwells among us. To seek to understand his prayer through what his witnesses proclaim to us in the Gospel is to approach the holy Lord Jesus as Moses approached the burning bush: first to contemplate him in prayer, then to hear how he teaches us to pray, in order to know how he hears our prayer (Catechism of the Catholic Church n.2598)
L’evento della preghiera ci viene pienamente rivelato nel Verbo che si è fatto carne e dimora in mezzo a noi. Cercare di comprendere la sua preghiera, attraverso ciò che i suoi testimoni ci dicono di essa nel Vangelo, è avvicinarci al santo Signore Gesù come al roveto ardente: dapprima contemplarlo mentre prega, poi ascoltare come ci insegna a pregare, infine conoscere come egli esaudisce la nostra preghiera (Catechismo della Chiesa Cattolica n.2598)
If penance today moves from the material to the spiritual side, let's say, from the body to the soul, from the outside to the inside, it is no less necessary and less feasible (Pope Paul VI)
Se la penitenza si sposta oggi dalla parte, diciamo, materiale a quella spirituale, dal corpo all’anima, dall’esterno all’interno, non è meno necessaria e meno attuabile (Papa Paolo VI)
“Love is an excellent thing”, we read in the book the Imitation of Christ. “It makes every difficulty easy, and bears all wrongs with equanimity…. Love tends upward; it will not be held down by anything low… love is born of God and cannot rest except in God” (III, V, 3) [Pope Benedict]
«Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3) [Papa Benedetto]
don Giuseppe Nespeca
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