Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Cari fratelli e sorelle,
abbiamo ascoltato insieme una pagina famosa e bella del Libro dell'Esodo, quella in cui l'autore sacro narra la consegna a Israele del Decalogo da parte di Dio. Un particolare colpisce subito: l'enunciazione dei dieci comandamenti è introdotta da un significativo riferimento alla liberazione del popolo di Israele. Dice il testo: "Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù" (Es 20, 2). Il Decalogo dunque vuole essere una conferma della libertà conquistata. In effetti i comandamenti, a guardarli in profondità, sono il mezzo che il Signore ci dona per difendere la nostra libertà sia dai condizionamenti interni delle passioni che dai soprusi esterni dei malintenzionati. I "no" dei comandamenti sono altrettanti "sì" alla crescita di un'autentica libertà. C'è una seconda dimensione del Decalogo che pure va sottolineata: mediante la Legge data per mano di Mosè, il Signore rivela di voler stringere con Israele un patto di alleanza. La Legge, dunque, più che un'imposizione è un dono. Più che comandare ciò che l'uomo deve fare, essa vuol rendere manifesta a tutti la scelta di Dio: Egli sta dalla parte del popolo eletto; lo ha liberato dalla schiavitù e lo circonda con la sua bontà misericordiosa. Il Decalogo è testimonianza di un amore di predilezione.
Un secondo messaggio ci offre la Liturgia di oggi: la Legge mosaica ha trovato pieno compimento in Gesù, che ha rivelato la saggezza e l'amore di Dio mediante il mistero della Croce, "scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani - come ci ha detto san Paolo nella seconda lettura -, ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci ... potenza di Dio e sapienza di Dio" (1 Cor 1, 23-24). Proprio a questo mistero fa riferimento la pagina evangelica poc'anzi proclamata: Gesù scaccia dal tempio i venditori e i cambiavalute. L'evangelista fornisce la chiave di lettura di questo significativo episodio attraverso il versetto di un Salmo: "Lo zelo per la tua casa mi divora" (cfr Sal 69, 10). È Gesù ad essere "divorato" da questo "zelo" per la "casa di Dio", usata per scopi diversi da quelli ai quali sarebbe destinata. Davanti alla richiesta dei responsabili religiosi, che pretendono un segno della sua autorità, tra lo stupore dei presenti Egli afferma: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere" (Gv 2, 19). Parola misteriosa, incomprensibile in quel momento, ma che Giovanni riformula per i suoi lettori cristiani, osservando: "Egli parlava del tempio del suo Corpo" (Gv 2, 21). Quel "tempio" i suoi avversari l'avrebbero distrutto, ma Lui dopo tre giorni l'avrebbe ricostruito mediante la risurrezione. La dolorosa e "scandalosa" morte di Cristo sarebbe stata coronata dal trionfo della sua gloriosa risurrezione. Mentre in questo tempo quaresimale ci prepariamo a rivivere nel triduo pasquale questo evento centrale della nostra salvezza, noi già guardiamo al Crocifisso intravedendo in Lui il fulgore del Risorto.
Cari fratelli e sorelle, l'odierna Celebrazione Eucaristica, che unisce alla meditazione dei testi liturgici della terza domenica di Quaresima il ricordo di san Giuseppe, ci offre l'opportunità di considerare, alla luce del mistero pasquale, un altro aspetto importante dell'esistenza umana. Mi riferisco alla realtà del lavoro, posta oggi al centro di cambiamenti rapidi e complessi. La Bibbia in più pagine mostra come il lavoro appartenga alla condizione originaria dell'uomo. Quando il Creatore plasmò l'uomo a sua immagine e somiglianza, lo invitò a lavorare la terra (cfr Gn 2, 5-6). Fu a causa del peccato dei progenitori che il lavoro diventò fatica e pena (cfr Gn 3, 6-8), ma nel progetto divino esso mantiene inalterato il suo valore. Lo stesso Figlio di Dio, facendosi in tutto simile a noi, si dedicò per molti anni ad attività manuali, tanto da essere conosciuto come il "figlio del carpentiere" (cfr Mt 13, 55). La Chiesa ha sempre mostrato, specialmente nell'ultimo secolo, attenzione e sollecitudine per questo ambito della società, come testimoniano i numerosi interventi sociali del Magistero e l'azione di molteplici associazioni di ispirazione cristiana, alcune delle quali sono oggi qui convenute a rappresentare l'intero mondo dei lavoratori. Sono lieto di accogliervi, cari amici, e rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale saluto. Un pensiero particolare va a Mons. Arrigo Miglio, Vescovo di Ivrea e Presidente della Commissione Episcopale Italiana per i Problemi Sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace, che si è fatto interprete dei comuni sentimenti e mi ha rivolto cortesi espressioni augurali per la mia festa onomastica. Gliene sono vivamente grato.
Il lavoro riveste primaria importanza per la realizzazione dell'uomo e per lo sviluppo della società, e per questo occorre che esso sia sempre organizzato e svolto nel pieno rispetto dell'umana dignità e al servizio del bene comune. Al tempo stesso, è indispensabile che l'uomo non si lasci asservire dal lavoro, che non lo idolatri, pretendendo di trovare in esso il senso ultimo e definitivo della vita. Al riguardo, giunge opportuno l'invito contenuto nella prima lettura: "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio" (Es 20, 8-9). Il sabato è giorno santificato, cioè consacrato a Dio, in cui l'uomo comprende meglio il senso della sua esistenza ed anche dell'attività lavorativa. Si può, pertanto, affermare che l'insegnamento biblico sul lavoro trova il suo coronamento nel comandamento del riposo. Opportunamente nota al riguardo il Compendio della dottrina sociale della Chiesa: "All'uomo, legato alla necessità del lavoro, il riposo apre la prospettiva di una libertà più piena, quella del sabato eterno (cfr Eb 4, 9-10). Il riposo consente agli uomini di ricordare e di rivivere le opere di Dio, dalla Creazione alla Redenzione, di riconoscersi essi stessi come opera Sua (cfr Ef 2, 10), di rendere grazie della propria vita e della propria sussistenza a lui, che ne è l'autore" (n. 258).
L'attività lavorativa deve servire al vero bene dell'umanità, permettendo "all'uomo come singolo o come membro della società di coltivare e di attuare la sua integrale vocazione" (Gaudium et spes, 35). Perché ciò avvenga non basta la pur necessaria qualificazione tecnica e professionale; non è sufficiente nemmeno la creazione di un ordine sociale giusto e attento al bene di tutti. Occorre vivere una spiritualità che aiuti i credenti a santificarsi attraverso il proprio lavoro, imitando san Giuseppe, che ogni giorno ha dovuto provvedere alle necessità della Santa Famiglia con le sue mani e che per questo la Chiesa addita quale patrono dei lavoratori. La sua testimonianza mostra che l'uomo è soggetto e protagonista del lavoro. Vorrei affidare a lui i giovani che a fatica riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro, i disoccupati e coloro che soffrono i disagi dovuti alla diffusa crisi occupazionale. Insieme con Maria, sua Sposa, vegli san Giuseppe su tutti i lavoratori ed ottenga per le famiglie e l'intera umanità serenità e pace. Guardando a questo grande Santo apprendano i cristiani a testimoniare in ogni ambito lavorativo l'amore di Cristo, sorgente di solidarietà vera e di stabile pace. Amen!
[Papa Benedetto, omelia per i lavoratori, 19 marzo 2006]
Carissimi fedeli!
1. Oggi, primo maggio, l’argomento del nostro incontro non può che essere la festa del lavoro. Desidero oggi onorare tutti i lavoratori.
Dal secolo scorso questa giornata del primo maggio ha sempre avuto un profondo significato di unità e di comunione tra tutti i lavoratori, per sottolineare il loro ruolo nella struttura della società e per difendere i loro diritti. Nel 1955, Pio XII, di venerata memoria, volle dare al primo maggio anche un’impronta religiosa, dedicandolo a san Giuseppe lavoratore, e da allora la festa civile del lavoro è diventata anche una festa cristiana.
Sono molto lieto di poter esprimere con voi oggi i sentimenti della più viva e cordiale partecipazione a questa festa, ricordando l’affetto che la Chiesa ha sempre avuto per i lavoratori e la sollecitudine con cui ha cercato e cerca di promuovere i loro diritti. È noto come specialmente dall’inizio dell’era industriale, la Chiesa, seguendo lo svolgersi della situazione e lo svilupparsi delle nuove scoperte e delle nuove esigenze, ha presentato un “corpus” di insegnamenti in campo sociale, che certamente hanno avuto e hanno tuttora il loro influsso illuminante, a cominciare dall’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891).
Chi onestamente cerca di conoscere e di seguire l’insegnamento della Chiesa, vede come in realtà essa abbia sempre amato i lavoratori, e abbia indicato e sostenuto la dignità della persona umana come fondamento e ideale di ogni soluzione dei problemi riguardanti il lavoro, la sua retribuzione, la sua protezione, il suo perfezionamento e la sua umanizzazione. Attraverso i vari documenti del magistero della Chiesa emergono gli aspetti fondamentali del lavoro, inteso come mezzo per guadagnarsi da vivere, come dominio sulla natura con le attività scientifiche e tecniche, come espressione creativa dell’uomo, come servizio per il bene comune e come impegno per la costruzione del futuro della storia.
Come ho detto nell’enciclica Laborem Exercens (Ioannis Pauli PP. II, Laborem Exercens, n. 9), “il lavoro è un bene dell’uomo, perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, diventa più uomo”.
La festa del primo maggio è molto opportuna per ribadire il valore del lavoro e della “civiltà” fondata sul lavoro, contro le ideologie che sostengono invece la “civiltà del piacere” o dell’indifferenza e della fuga. Ogni lavoro è degno di stima, anche il lavoro manuale, anche il lavoro ignoto e nascosto, umile e faticoso, perché ogni lavoro, se interpretato nel modo esatto, è un atto di alleanza con Dio per il perfezionamento del mondo; è un impegno di liberazione dalla schiavitù delle forze della natura; è un gesto di comunione e di fraternità con gli uomini; è una forma di elevazione, in cui si applicano le capacità intellettive e volitive. Gesù stesso, il Verbo divino incarnatosi per la nostra salvezza, volle prima di tutto e per tanti anni essere un umile e solerte lavoratore!
2. Nonostante la verità fondamentale del valore perenne del lavoro, sappiamo che molte sono le problematiche nella società di oggi. Già l’aveva notato il Concilio Vaticano II, quando così si esprimeva: “L’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti, che progressivamente si estendono all’intero universo. Provocati dall’intelligenza e dall’attività creativa dell’uomo, su di lui si ripercuotono, sui suoi giudizi e desideri individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e di agire sia nei confronti delle cose che degli uomini. Possiamo parlare di una vera trasformazione sociale e culturale che ha i suoi riflessi anche nella vita religiosa (Gaudium et Spes, 4).
Il problema primo e più grave è certamente quello della disoccupazione, causato da tanti fattori, come l’introduzione su vasta scala dell’informatica, che per mezzo dei robot e dei computer elimina molta manodopera; la saturazione di alcuni prodotti; l’inflazione che arresta il consumo e quindi la produzione; la necessità della riconversione di macchine e di tecniche; la competizione.
Un altro problema è il pericolo che l’uomo diventi schiavo delle macchine da lui stesso inventate e costruite. È necessario infatti dominare e guidare la tecnologia, altrimenti essa si mette contro l’uomo.
Infine possiamo citare anche la grave questione dell’alienazione professionale, per cui si perde il significato autentico del lavoro, lo si intende solo come merce, in una fredda logica di guadagno per poter acquistare benessere, consumare e così ancora produrre, cedendo alla tentazione della disaffezione, dell’assenteismo, dell’egoismo individualista, dell’avvilimento, della frustrazione e facendo prevalere le caratteristiche del cosiddetto “uomo ad una dimensione”, vittima della tecnica, della pubblicità e della produzione.
Sono problemi assai complessi sui quali manca il tempo per soffermarsi. Ma oggi, primo maggio, vogliamo accennare alla necessità della “solidarietà” umana e cristiana, a livello nazionale e universale, per risolvere tali difficoltà in modo esauriente e convincente. Paolo VI diceva nella Populorum Progressio (Pauli VI, Populorum Progressio, n. 17): “Ogni uomo è membro della società: appartiene all’umanità tutta intera. Non soltanto questo o quell’uomo, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario... La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere”. Parlando a Ginevra alla Conferenza internazionale del lavoro, io stesso dissi che “la soluzione positiva del problema dell’impiego presuppone una grande solidarietà nell’insieme della popolazione e nell’insieme dei popoli: che ciascuno sia disposto ad accettare i sacrifici necessari, che ciascuno collabori all’attuazione dei programmi e degli accordi miranti a fare della politica economica e sociale un’espressione tangibile della solidarietà” (Ioannis Pauli PP. II, Allocutio ad eos qui LXVIII conventui Conferentiae ab omnibus de humano labore interfuere habita, 10, die 15 iunii 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/2 [1982] 2261).
3. Oggi, festa del lavoro,
memoria liturgica di san Giuseppe lavoratore,
invoco di cuore la sua celeste protezione
su quanti lavorando
trascorrono la loro vita
e su quanti purtroppo
si trovano senza lavoro,
ed esorto tutti
a pregare ogni giorno
il padre putativo di Gesù,
umile e semplice lavoratore,
affinché sul suo esempio e con il suo aiuto
ogni cristiano
porti nella vita
il suo contributo di diligente impegno
e di gioiosa comunione.
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 1 maggio 1984]
Oggi, primo maggio, celebriamo san Giuseppe lavoratore e iniziamo il mese tradizionalmente dedicato alla Madonna. In questo nostro incontro, vorrei soffermarmi allora su queste due figure così importanti nella vita di Gesù, della Chiesa e nella nostra vita, con due brevi pensieri: il primo sul lavoro, il secondo sulla contemplazione di Gesù.
1. Nel Vangelo di san Matteo, in uno dei momenti in cui Gesù ritorna al suo paese, a Nazaret, e parla nella sinagoga, viene sottolineato lo stupore dei suoi paesani per la sua sapienza, e la domanda che si pongono: «Non è costui il figlio del falegname?» (13,55). Gesù entra nella nostra storia, viene in mezzo a noi, nascendo da Maria per opera di Dio, ma con la presenza di san Giuseppe, il padre legale che lo custodisce e gli insegna anche il suo lavoro. Gesù nasce e vive in una famiglia, nella santa Famiglia, imparando da san Giuseppe il mestiere del falegname, nella bottega di Nazaret, condividendo con lui l’impegno, la fatica, la soddisfazione e anche le difficoltà di ogni giorno.
Questo ci richiama alla dignità e all’importanza del lavoro. Il libro della Genesi narra che Dio creò l’uomo e la donna affidando loro il compito di riempire la terra e soggiogarla, che non significa sfruttarla, ma coltivarla e custodirla, averne cura con la propria opera (cfr Gen 1,28; 2,15). Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio; noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo all’opera della creazione! Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre (cfr Gv 5,17); dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione. E qui penso alle difficoltà che, in vari Paesi, incontra oggi il mondo del lavoro e dell’impresa; penso a quanti, e non solo giovani, sono disoccupati, molte volte a causa di una concezione economicista della società, che cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale.
Desidero rivolgere a tutti l’invito alla solidarietà, e ai Responsabili della cosa pubblica l’incoraggiamento a fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione; questo significa preoccuparsi per la dignità della persona; ma soprattutto vorrei dire di non perdere la speranza; anche san Giuseppe ha avuto momenti difficili, ma non ha mai perso la fiducia e ha saputo superarli, nella certezza che Dio non ci abbandona. E poi vorrei rivolgermi in particolare a voi ragazzi e ragazze a voi giovani: impegnatevi nel vostro dovere quotidiano, nello studio, nel lavoro, nei rapporti di amicizia, nell’aiuto verso gli altri; il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni della vita. Non abbiate paura dell’impegno, del sacrificio e non guardate con paura al futuro; mantenete viva la speranza: c’è sempre una luce all’orizzonte.
Aggiungo una parola su un’altra particolare situazione di lavoro che mi preoccupa: mi riferisco a quello che potremmo definire come il “lavoro schiavo”, il lavoro che schiavizza. Quante persone, in tutto il mondo, sono vittime di questo tipo di schiavitù, in cui è la persona che serve il lavoro, mentre deve essere il lavoro ad offrire un servizio alle persone perché abbiano dignità. Chiedo ai fratelli e sorelle nella fede e a tutti gli uomini e donne di buona volontà una decisa scelta contro la tratta delle persone, all’interno della quale figura il “lavoro schiavo”.
2. Accenno al secondo pensiero: nel silenzio dell’agire quotidiano, san Giuseppe, insieme a Maria, hanno un solo centro comune di attenzione: Gesù. Essi accompagnano e custodiscono, con impegno e tenerezza, la crescita del Figlio di Dio fatto uomo per noi, riflettendo su tutto ciò che accadeva. Nei Vangeli, san Luca sottolinea due volte l’atteggiamento di Maria, che è anche quello di san Giuseppe: «Custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (2,19.51). Per ascoltare il Signore, bisogna imparare a contemplarlo, a percepire la sua presenza costante nella nostra vita; bisogna fermarsi a dialogare con Lui, dargli spazio con la preghiera. Ognuno di noi, anche voi ragazzi, ragazze e giovani, così numerosi questa mattina, dovrebbe chiedersi: quale spazio do al Signore? Mi fermo a dialogare con Lui? Fin da quando eravamo piccoli, i nostri genitori ci hanno abituati ad iniziare e a terminare la giornata con una preghiera, per educarci a sentire che l’amicizia e l’amore di Dio ci accompagnano. Ricordiamoci di più del Signore nelle nostre giornate!
E in questo mese di maggio, vorrei richiamare all’importanza e alla bellezza della preghiera del santo Rosario. Recitando l'Ave Maria, noi siamo condotti a contemplare i misteri di Gesù, a riflettere cioè sui momenti centrali della sua vita, perché, come per Maria e per san Giuseppe, Egli sia il centro dei nostri pensieri, delle nostre attenzioni e delle nostre azioni. Sarebbe bello se, soprattutto in questo mese di maggio, si recitasse assieme in famiglia, con gli amici, in Parrocchia, il santo Rosario o qualche preghiera a Gesù e alla Vergine Maria! La preghiera fatta assieme è un momento prezioso per rendere ancora più salda la vita familiare, l’amicizia! Impariamo a pregare di più in famiglia e come famiglia!
Cari fratelli e sorelle, chiediamo a san Giuseppe e alla Vergine Maria che ci insegnino ad essere fedeli ai nostri impegni quotidiani, a vivere la nostra fede nelle azioni di ogni giorno e a dare più spazio al Signore nella nostra vita, a fermarci per contemplare il suo volto. Grazie.
[Papa Francesco, Udienza Generale 1 maggio 2013]
Genesi Rinascita Giudizio
(Gv 3,16-21)
Ogni uomo posto di fronte al Mistero non comprende bene ciò che sente, fino a quando non accetta la scommessa e s’introduce in una nuova esistenza.
La vecchia vita presenta solo conti da pagare, che sempre riemergono; viceversa, la nuova Chiamata soppianta le categorie di giudizio e le scelte normalizzate.
Si passa come attraverso uno svuotamento del cuore, che nella sua virtù cosmica e personale acquista un senso generativo.
La vita nello Spirito procede per nuove Nascite, e spira dove vuole. Non secondo un progresso scandito da meccanismi, ma in modo sconcertante.
Realtà presente e operante, sebbene inesplicabile - che però arricchisce, lasciandoci penetrare o piombare in un’altra configurazione.
‘Altro’ regno, che nel «Figlio dell’uomo» unisce i due mondi.
Livello di Eternità che immette chi l’accoglie nel rapporto unico col Padre e la sua Vita esuberante.
«Di là verrà a giudicare» è un articolo del Credo Apostolico:
Riuscita o fallimento della vita saranno valutate «dalla Croce», ossia con il criterio della nuova ‘percezione’, Dono di sé, e Rinnovo sino in fondo.
Rovesciamento di prospettive; capovolgimento di visuale.
Fonte di Speranza e nuovo scatto in avanti: dove l’umiliazione si tramuta in Nascita autentica e trionfo della Vita indistruttibile.
Questa la Beatitudine che scopre tesori nascosti e perle preziose dietro i nostri lati oscuri.
Qui perfino le persecuzioni dei nemici e dei beffardi diventano vettori che introducono difformi energie; ci obbligano a migliorare binario.
E s’immaginava che la vita divina appartenesse solo alla sfera celeste - invece giunge paradossalmente alla nostra portata.
Nicodemo sapeva: nel deserto molti erano caduti vittime d’insidie. Ma Gesù fa capire che gli israeliti non erano stati risanati gratuitamente da un’effigie di bronzo, bensì dall’aver ‘elevato lo sguardo’.
Il Segreto è «dall’Alto» (v.7), fuori scala.
Il Signore si rifà a tale episodio e lo interpreta come scenario del proprio insegnamento; simbolo della sua vicenda estrema.
È per una nuova Genesi del proprio essere e dei criteri per cui ci si gioca la vita, che il Crocifisso diventa punto di riferimento di ogni nostra scelta.
Chi lo contemplerà ha già in sé il senso pieno, acuto e totale delle Scritture, e la stessa Vita dell’Eterno.
Secondo lo stile rabbinico, Mt 25 ricorre all’immagine del Giudizio universale per richiamare l’importanza e le conseguenze delle scelte che facciamo.
Gv parla di un Giudizio che si attua nel Presente, che è ‘solo redenzione’ a nostro esclusivo favore: per una vita da salvati.
Secondo una Sapienza che fa udire non pochi pareri inattesi.
In tal guisa, pur impiegando sfondi e linguaggio differenti, sia Mt che Gv si ritrovano nella medesima «verità» (v.21). Il Giudizio viene pronunciato dalla Croce.
Le difformità si commisurano sin d’ora sulla Persona del Figlio. Il Giudizio è già iniziato.
[Mercoledì 2.a sett. Pasqua, 30 aprile 2025]
Genesi Rinascita Giudizio
Gv 3,16-21(7-21)
Ogni uomo posto di fronte al Mistero non comprende bene ciò che sente, fino a quando non accetta la scommessa e s’introduce in una nuova esistenza.
La vecchia vita presenta solo conti da pagare, che sempre riemergono; viceversa, la nuova Chiamata soppianta le categorie di giudizio e le scelte normalizzate.
Si passa come attraverso uno svuotamento del cuore.
Dice infatti il Tao [Via] Tê Ching (xxi):
«Il contenere di chi ha la virtù del vuoto, solo al Tao s’adegua. Per le creature il Tao è indistinto e indeterminato [...] nel suo seno racchiude le immagini [...] nel suo seno racchiude gli archetipi [...] nel suo seno racchiude l’essenza dell’essere! Questa essenza è assai genuina [...] e così acconsente a tutti gli inizi».
Fuori della Via cosmica e personale l’esistenza dell’uomo non ha un senso generativo.
Anche la vicenda spirituale dell’esperto e ben inserito ristagna fino a non poter più tacitare le grandi domande di senso, la sua fiction, o l’accidia.
La vita nello Spirito procede per nuove Nascite e spira dove vuole.
Non secondo un progresso scandito da meccanismi, maniere, perbenismi, abilità, o libretti d’istruzione: in modo sconcertante - ma porta diverso refrigerio, e Pace anche repentina.
È una realtà presente e operante, sebbene inesplicabile - che però arricchisce, lasciandoci penetrare o piombare in un’altra configurazione della realtà.
Altro regno, che nel «Figlio dell’uomo» unisce i due mondi.
Nicodemo era maestro del solo Testamento Antico. Egli controllava ogni stagnazione o progresso comparandoli alla sapienza delle cose di Dio su una base di attese più che conosciute.
Ma non di rado la nostra crescita procede a visioni e balzi - neppure secondo “intelligenza” naturale. Figuriamoci per la vita spirituale.
Non basta esercitarsi e andare d’accordo con le idee dei padri o ielle alla moda, né rimanere concordi a propositi normali.
Assimilare saperi altrui e acquisire perizie già attese è non di rado cianfrusaglia che blocca i veri sviluppi - quelli che ci appartengono.
Purtroppo, nella vita religiosa si procede spesso in modo meccanico, e sembra non vi sia bisogno alcuno di lasciarsi salvare o sorprendere dagli accadimenti.
Al massimo ci si espone a qualche venticello, schiavo di linguaggi terrestri, limitato alla dimensione di “fenomeni” tutti rasoterra - che escludono e liquidano Cristo.
Nell’avventura di Fede battistrada, che disorienta, il Progetto divino e l’Opera radicale del Figlio non si dispiegano in modo ragionevole, bensì per Amore senza misura.
Livello di Eternità che immette chi l’accoglie nel tu-per-tu unico col Padre e la sua Vita esuberante.
L’unità di misura dello Spirito è differente da quella delle consuetudini concordi. Il suo impeto è Vento inafferrabile, “visibile” solo negli effetti ecclesiali e personali.
Il Segreto è «dall’Alto» (v.7), fuori scala. Si annida nella imprevedibilità di crocevia, eccedenze, e nuove creazioni.
La Beatitudine non procede per argomenti alla noia: sporge o impallidisce.
In tal guisa, si può avere spesso in mano l’Eucaristia o le Scritture e non comprendere che la strada già battuta può dare solo illusioni di dottorato spirituale.
«Di là verrà a giudicare» è un articolo del Credo Apostolico.
Riuscita o fallimento della vita saranno valutate «dalla Croce», ossia con il criterio della nuova percezione, Dono di sé e Rinnovo sino in fondo.
Rovesciamento di prospettive; capovolgimento di visuale.
Fonte di Speranza e nuovo scatto in avanti: dove l’umiliazione si tramuta in Nascita autentica e trionfo della Vita indistruttibile.
Questa la Beatitudine che scopre fioriture, tesori nascosti e perle preziose, dietro i nostri lati oscuri.
Qui perfino le persecuzioni dei nemici e dei beffardi diventano vettori che introducono difformi energie, ci obbligano a migliorare.
E s’immaginava che la vita divina appartenesse solo alla sfera celeste; invece giunge paradossalmente alla nostra portata.
Nicodemo sapeva: nel deserto molti erano caduti vittime d’insidie, ma Gesù fa capire che gli israeliti non erano stati risanati gratuitamente da un’effigie di bronzo, bensì dall’aver ‘elevato lo sguardo’.
Il Signore si rifà a tale episodio e lo interpreta come scenario del proprio insegnamento; simbolo della sua vicenda estrema.
Chi lo contemplerà ha già in sé il senso pieno, acuto e totale delle Scritture, e la stessa Vita dell’Eterno.
In tal senso è necessario «nascere dall’alto», spostare la percezione contemplativa, riconoscersi, e tenere gli occhi puntati sull’amore vero.
È per una nuova Genesi del proprio essere e dei criteri per cui ci si gioca la vita, che il Crocifisso diventa punto di riferimento di ogni nostra scelta.
Non per masochismo dolorista e finta consolazione. Non per usarlo come monile, e imbellettarsene.
Non amuleto; né emblema posto a forza sulle alture, che indicherebbe la conquista di territori.
Neppure la sacralizzazione d’un ambiente, o una figura “culturale”.
Secondo lo stile rabbinico, Mt 25 ricorre all’immagine del Giudizio universale per richiamare l’importanza e le conseguenze delle scelte che facciamo.
In Gv il tema del Giudizio sembra rovesciato: è come se fossimo noi a “giudicare” Dio - nel senso che al suo cospetto siamo e ci troveremo disarmati, riconoscendo che il suo Cuore è ben maggiore del nostro.
Così pure nell’esperienza della vita di Fede, che attira e apre il futuro impossibile.
Il quarto Vangelo infatti esclude che il Padre giudichi i figli. Gv parla di un Giudizio che si attua nel Presente, che è solo redenzione - a nostro esclusivo favore: per una vita da salvati.
“Quando” Dio agisce crea. Egli Giustifica: fa qualcosa di nuovo, globale, impareggiabile.
Non ripete. Fa nascere altre eccedenze, in solchi variegati, nella trama della storia, “imponendo” giuste posizioni - anzitutto dove giustizia non c’è.
Secondo una Sapienza che fa udire non pochi pareri inattesi.
Pur impiegando sfondi e linguaggio differenti, sia Mt che Gv si ritrovano nella medesima «verità» (v.21).
Il Giudizio viene pronunciato dalla Croce - secondo criteri difformi da quelli mondani, sempre precipitosi o manierati (e banalissimi).
Il Signore fa udire e vedere le sue opinioni, di fronte a qualsiasi accadimento e scelta - mettendo in guardia dalle opzioni di morte autentica.
L’opera di coloro che gestiscono assai male e sprecano la vita «finirà bruciata, e quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco» (1Cor 3,15).
Le difformità si commisurano sin d’ora sulla Persona del Figlio. Il Giudizio è già cominciato.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quali ritieni siano state le tue Nascite? E le tue scelte autentiche?
Sei ancora nella direzione del venticello dei padri antichi o delle mode attorno?
Dispieghi le vele secondo la direzione del Vento dello Spirito, che butta all’aria le tue sicurezze, anche di gruppo o denominazionali?
Cosa ammiri, e cosa hai collocato “in alto” nella tua vita? È forse paglia già finita e bruciata?
Cosa finora ti ha esaltato, e pensavi invece potesse elevarti?
Ha tanto amato, e ha dato
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Qui c’è il cuore del Vangelo, qui c’è il fondamento della nostra gioia. Il contenuto del Vangelo, infatti, non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù, il Figlio che il Padre ci ha donato perché noi avessimo la vita. Gesù è il fondamento della nostra gioia: non è una bella teoria su come essere felici, ma è sperimentare di essere accompagnati e amati nel cammino della vita. “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio”. Soffermiamoci, fratelli e sorelle, un momento su questi due aspetti: “ha tanto amato” e “ha dato”.
Prima di tutto, Dio ha tanto amato. Queste parole, che Gesù rivolge a Nicodemo – un anziano giudeo che voleva conoscere il Maestro – ci aiutano a scorgere il vero volto di Dio. Egli da sempre ci ha guardati con amore e per amore è venuto in mezzo a noi nella carne del Figlio suo. In Lui ci è venuto a cercare nei luoghi in cui ci siamo smarriti; in Lui è venuto a rialzarci dalle nostre cadute; in Lui ha pianto le nostre lacrime e guarito le nostre piaghe; in Lui ha benedetto per sempre la nostra vita. Chiunque crede in Lui, dice il Vangelo, non va perduto (ibid.). In Gesù, Dio ha pronunciato la parola definitiva sulla nostra vita: tu non sei perduto, tu sei amato. Sempre amato.
Se l’ascolto del Vangelo e la pratica della nostra fede non ci allargano il cuore per farci cogliere la grandezza di questo amore, e magari scivoliamo in una religiosità seriosa, triste, chiusa, allora è segno che dobbiamo fermarci un po’ e ascoltare di nuovo l’annuncio della buona notizia: Dio ti ama così tanto da darti tutta la sua vita. Non è un dio che ci guarda indifferente dall’alto, ma è un Padre, un Padre innamorato che si coinvolge nella nostra storia; non è un dio che si compiace della morte del peccatore, ma un Padre preoccupato che nessuno vada perduto; non è un dio che condanna, ma un Padre che ci salva con l’abbraccio benedicente del suo amore.
E veniamo alla seconda parola: Dio “ha dato” il suo Figlio. Proprio perché ci ama così tanto, Dio dona sé stesso e ci offre la sua vita. Chi ama esce sempre da sé stesso – non dimenticatevi di questo: chi ama esce sempre da sé stesso. L’amore sempre si offre, si dona, si spende. La forza dell’amore è proprio questa: frantuma il guscio dell’egoismo, rompe gli argini delle sicurezze umane troppo calcolate, abbatte i muri e vince le paure, per farsi dono. Questa è la dinamica dell’amore: è farsi dono, darsi. Chi ama è così: preferisce rischiare nel donarsi piuttosto che atrofizzarsi trattenendosi per sé. Per questo Dio esce da sé stesso, perché “ha tanto amato”. Il suo amore è così grande che non può fare a meno di donarsi a noi. Quando il popolo in cammino nel deserto fu attaccato dai serpenti velenosi, Dio fece fare a Mosè il serpente di bronzo; in Gesù, però, innalzato sulla croce, Lui stesso è venuto a guarirci dal veleno che dà la morte, si è fatto peccato per salvarci dal peccato. Non ci ama a parole Dio: ci dona suo Figlio perché chiunque lo guarda e crede in Lui sia salvato (cfr Gv 3,14-15).
Più si ama e più si diventa capaci di donare. Questa è anche la chiave per comprendere la nostra vita. È bello incontrare persone che si amano, che si vogliono bene e condividono la vita; di loro si può dire come di Dio: si amano così tanto da dare la loro vita. Non conta solo ciò che possiamo produrre o guadagnare, conta soprattutto l’amore che sappiamo donare.
E questa è la sorgente della gioia! Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Da qui prende senso l’invito che la Chiesa rivolge in questa domenica: «Rallegrati [...]. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione» (Antifona d’ingresso; cfr Is 66,10-11). Ripenso a ciò che abbiamo vissuto una settimana fa in Iraq: un popolo martoriato ha esultato di gioia; grazie a Dio, alla sua misericordia.
A volte cerchiamo la gioia dove non c’è, la cerchiamo nelle illusioni che svaniscono, nei sogni di grandezza del nostro io, nell’apparente sicurezza delle cose materiali, nel culto della nostra immagine, e tante cose... Ma l’esperienza della vita ci insegna che la vera gioia è sentirci amati gratuitamente, sentirci accompagnati, avere qualcuno che condivide i nostri sogni e che, quando facciamo naufragio, viene a soccorrerci e a condurci in un porto sicuro.
[Papa Francesco, omelia in occasione dei 500 anni dell’evangelizzazione delle Filippine, 14 marzo 2021]
“Dio è amore” (1 Gv 4,16): in questa semplice affermazione l’evangelista Giovanni ha racchiuso la rivelazione dell’intero mistero di Dio Trinità. E nell’incontro con Nicodemo Gesù, preannunciando la sua passione e morte in croce, afferma: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Abbiamo tutti bisogno di attingere alla fonte inesauribile dell’amore divino, che si manifesta a noi totalmente nel mistero della Croce, per trovare l’autentica pace con Dio, con noi stessi e con il prossimo. Solo da questa sorgente spirituale è possibile trarre quell’energia interiore indispensabile per sconfiggere il male e il peccato nella lotta senza pausa, che segna il nostro pellegrinaggio terreno verso la patria celeste.
[Papa Benedetto, Udienza corso Penitenzieria 16 marzo 2007]
“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Il mondo è amato da Dio e sarà amato fino alla fine. Il Cuore del Figlio di Dio trafitto sulla croce e aperto, testimonia in modo profondo e definitivo l’amore di Dio. Scriverà San Bonaventura: “Per divina disposizione è stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza” (Liturgia delle Ore, vol. III, p. 601).
Ci presentiamo con il cuore trepidante e in umiltà davanti al grande mistero di Dio, che è amore. Oggi qui, a Gliwice, vogliamo esprimerGli la nostra lode ed insieme una immensa gratitudine.
E’ con grande gioia che vengo da voi, poiché mi siete cari. Tutto il popolo della Slesia è caro al mio cuore. Come metropolita di Kraków ogni anno andavo in pellegrinaggio alla Madonna di Piekary e là ci incontravamo per la comune preghiera. Apprezzavo molto ogni invito. Era sempre per me un’esperienza profonda. Però nella diocesi di Gliwice mi trovo per la prima volta, perché è una diocesi giovane istituita alcuni anni fa. Ricevete perciò il mio cordiale saluto, che rivolgo prima al vostro vescovo Jan e al vescovo ausiliare Gerard. Saluto anche il clero, le famiglie religiose, tutte le persone consacrate e il popolo fedele di questa diocesi. Sono lieto perché sul percorso del mio pellegrinaggio in Patria c’è anche Gliwice, una città che ho visitato più volte, alla quale mi legano speciali ricordi. Con grande gioia visito questa terra di uomini abituati al duro lavoro: è la terra del minatore polacco, la terra delle acciaierie, delle miniere e dei forni delle fabbriche, ma anche la terra che possiede una ricca tradizione religiosa. I miei pensieri e il mio cuore oggi si aprono a voi qui presenti, a tutti gli uomini dell’Alta Slesia e di tutta la terra di Slesia. Vi saluto tutti nel nome di Dio uno e trino.
2. "Dio è amore" (1 Gv 4, 16). Queste parole di San Giovanni evangelista costituiscono il tema guida del pellegrinaggio del Papa in Polonia. Alla vigilia del Grande Giubileo dell’Anno 2000 bisogna che sia di nuovo trasmessa al mondo questa gioiosa e impressionante notizia su un Dio che ama. Dio è una realtà che sfugge alla nostra capacità di esauriente comprensione. Perché è Dio, non saremo in grado di comprendere con la nostra ragione la sua infinità, né di chiuderla nelle strette dimensioni umane. E’ Lui che ci valuta, che ci governa, ci guida e ci comprende, anche quando non ne siamo consapevoli. Però questo Dio, irraggiungibile nella sua essenza, si è fatto vicino all’uomo mediante il suo amore paterno. La verità su Dio che è amore costituisce quasi una sintesi e al contempo il culmine di tutto ciò che Dio ci ha rivelato su se stesso, di ciò che ci ha detto per mezzo dei Profeti e per mezzo di Cristo su ciò che egli è.
Dio ha rivelato questo amore in vari modi. Prima, nel mistero della creazione. La creazione è opera dell’onnipotenza di Dio, guidata dalla sapienza e dall’amore. “Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà” - dirà Dio ad Israele per bocca del profeta Geremia (31, 3). Dio ha amato il mondo che ha creato, e in esso sopra ogni cosa ha amato l’uomo. E perfino quando l’uomo prevaricò contro questo amore originale, Dio non cessò di amarlo e lo alzò dalla caduta, poiché è Padre, poiché è Amore. Nel modo più perfetto e definitivo Dio ha rivelato il suo amore in Cristo - nella sua croce e nella sua risurrezione. San Paolo dirà: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo” (Ef 2, 4-5). Ho scritto nel messaggio di quest’anno per i giovani: “Il Padre vi ama”. Questa magnifica notizia è stata depositata nel cuore dell’uomo che crede, il quale come il discepolo prediletto di Gesù, poggia il capo sul petto del Maestro ed ascolta le sue confidenze: “Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14, 21).
“Il Padre vi ama” - queste parole del Signore Gesù costituiscono il centro stesso del Vangelo. Allo stesso tempo nessuno mette in risalto quanto Cristo il fatto che tale amore è esigente: “facendosi obbediente fino alla morte” (Fil 2, 8) ha insegnato nel modo più perfetto che l’amore attende la risposta da parte dell’uomo. Esige la fedeltà ai comandamenti e alla vocazione che l’uomo ha ricevuto da Dio.
3. “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4, 16).
Mediante la grazia, l’uomo è chiamato all’alleanza con il suo Creatore, a dare la risposta di fede e di amore che nessun’altro può dare al posto suo. Tale risposta non è mancata qui, nella Slesia. L’avete data a Dio per secoli interi con la vostra vita cristiana. Nella storia sempre siete stati uniti alla Chiesa e ai suoi Pastori, fortemente attaccati alla tradizione religiosa dei vostri avi. In modo particolare il lungo periodo del dopoguerra, fino ai cambiamenti, avvenuti nel nostro paese nel 1989, era tempo anche per voi di una grande prova di fede. Avete fedelmente perseverato presso Dio, resistendo all’ateizzazione e alla laicizzazione della nazione e alla lotta contro la religione. Mi ricordo come migliaia di operai della Slesia ripetevano con fermezza, nel Santuario di Piekary, il motto: “La Domenica è di Dio e nostra”. Sempre avete avvertito il bisogno della preghiera e dei luoghi da cui essa può meglio innalzarsi. Perciò non vi è mancata la volontà di spirito e la generosità per adoperarvi nella costruzione di nuove chiese e di luoghi di culto, che sono sorti numerosi in quel tempo nelle città e nei villaggi dell’Alta Slesia. Vi stava a cuore anche il bene della famiglia. Per questo reclamavate i diritti ad essa dovuti, specialmente quello della libera educazione nella fede dei vostri figli e dei giovani. Spesso vi radunavate nei santuari e in molti altri luoghi cari al vostro cuore, per esprimere l’attaccamento a Dio e per rendergli testimonianza. Invitavate anche me a queste comuni celebrazioni nella Slesia. Tanto volentieri vi annunciavo la parola di Dio, perché avevate bisogno di essere confortati nel difficile periodo di lotte per la conservazione dell’identità cristiana, per avere la forza di obbedire “a Dio piuttosto che agli uomini” (cfr At 5, 29).
Guardando al passato, oggi rendiamo grazie alla Provvidenza per questo esame sulla fedeltà a Dio e al Vangelo, alla Chiesa e ai suoi Pastori. Questo era anche un esame sulla responsabilità per la nazione, per la Patria cristiana e per il suo millenario patrimonio, che nonostante tutte le grandi prove non subì la distruzione o l’oblio. Accadde così perché “avete riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” e avete voluto rispondere sempre con amore a Dio.
4. “Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte” (cfr Sal 1, 1-2).
Abbiamo ascoltato queste parole del Salmista nella breve lettura durante i Vespri di oggi. Rimanete fedeli all’esperienza delle generazioni, che vissero in questa terra con Dio nel cuore e con la preghiera sulle labbra. Nella Slesia vinca sempre la fede e la sana moralità, il vero spirito cristiano e il rispetto dei comandamenti divini. Conservate ciò che era fonte di forza spirituale per i vostri padri come il più grande tesoro. Essi sapevano includere Dio nella loro vita e in Lui sconfiggere tutte le manifestazioni del male. Eloquente simbolo di ciò è il saluto “Dio ti sia propizio!” che è proprio dei minatori. Sappiate conservare il cuore sempre aperto ai valori annunziati dal Vangelo, custoditeli; essi decidono della vostra identità.
Cari Fratelli e Sorelle, volevo anche dirvi che conosco le vostre difficoltà, i timori e le sofferenze che ora state vivendo; i timori e le sofferenze che sperimenta il mondo del lavoro in questa diocesi e in tutta la Slesia. Mi rendo conto dei pericoli uniti a questo stato di cose specialmente per molte famiglie e per tutta la vita sociale. E' necessaria un’attenta considerazione sia delle cause di tali pericoli che delle possibili soluzioni. Ho già parlato di ciò durante questo pellegrinaggio a Sosnowiec. Oggi mi rivolgo un’altra volta a tutti i miei connazionali nella Patria. Costruite il futuro della nazione sull’amore di Dio e degli uomini, sul rispetto dei comandamenti di Dio e sulla vita di grazia. E’ felice infatti l’uomo, è felice la nazione, che si compiace della legge del Signore.
La consapevolezza che Dio ci ama, dovrebbe sollecitare all’amore per gli uomini, di tutti gli uomini senza alcuna eccezione e senza alcuna divisione in amici e nemici. L’amore per l’uomo consiste nel desiderare per ognuno il vero bene. Consiste anche nella premura per garantire questo bene e respingere ogni forma di male e di ingiustizia. Bisogna sempre e con perseveranza cercare le vie di un giusto sviluppo per tutti, per "rendere - come dice il Concilio - più umana la vita dell’uomo” (cfr Gaudium et spes, 38). Abbondino nel nostro paese l’amore e la giustizia, producendo ogni giorno frutti nella vita della società. Soltanto grazie ad esse questa terra può diventare una casa felice. Senza un grande ed autentico amore non c’è casa per l’uomo. Pur raggiungendo grandi successi nel campo dello sviluppo materiale, senza di esso sarebbe condannato ad una vita priva di vero senso.
“L’uomo è la sola creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se stesso” (cfr Gaudium et spes, 24). E’ stato chiamato a partecipare alla vita di Dio, è stato chiamato alla pienezza di grazia e di verità. La propria grandezza, il valore e la dignità della propria umanità egli la trova proprio in questa vocazione.
Dio che è amore, sia la luce della vostra vita per oggi e per i tempi che verranno. Sia la luce per tutta la nostra Patria. Costruite un futuro degno dell’uomo e della sua vocazione.
Depongo voi tutti, le vostre famiglie e i vostri problemi ai piedi della Madre Santissima, che è venerata in molti santuari di questa diocesi e in tutta la Slesia. Essa insegni l’amore di Dio e dell’uomo, come lo ha praticato Lei nella sua vita.
A tutti “Dio vi sia propizio”!
[Papa Giovanni Paolo II, omelia a Gliwice 15 giugno 1999]
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Qui c’è il cuore del Vangelo, qui c’è il fondamento della nostra gioia. Il contenuto del Vangelo, infatti, non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù, il Figlio che il Padre ci ha donato perché noi avessimo la vita. Gesù è il fondamento della nostra gioia: non è una bella teoria su come essere felici, ma è sperimentare di essere accompagnati e amati nel cammino della vita. “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio”. Soffermiamoci, fratelli e sorelle, un momento su questi due aspetti: “ha tanto amato” e “ha dato”.
Prima di tutto, Dio ha tanto amato. Queste parole, che Gesù rivolge a Nicodemo – un anziano giudeo che voleva conoscere il Maestro – ci aiutano a scorgere il vero volto di Dio. Egli da sempre ci ha guardati con amore e per amore è venuto in mezzo a noi nella carne del Figlio suo. In Lui ci è venuto a cercare nei luoghi in cui ci siamo smarriti; in Lui è venuto a rialzarci dalle nostre cadute; in Lui ha pianto le nostre lacrime e guarito le nostre piaghe; in Lui ha benedetto per sempre la nostra vita. Chiunque crede in Lui, dice il Vangelo, non va perduto (ibid.). In Gesù, Dio ha pronunciato la parola definitiva sulla nostra vita: tu non sei perduto, tu sei amato. Sempre amato.
Se l’ascolto del Vangelo e la pratica della nostra fede non ci allargano il cuore per farci cogliere la grandezza di questo amore, e magari scivoliamo in una religiosità seriosa, triste, chiusa, allora è segno che dobbiamo fermarci un po’ e ascoltare di nuovo l’annuncio della buona notizia: Dio ti ama così tanto da darti tutta la sua vita. Non è un dio che ci guarda indifferente dall’alto, ma è un Padre, un Padre innamorato che si coinvolge nella nostra storia; non è un dio che si compiace della morte del peccatore, ma un Padre preoccupato che nessuno vada perduto; non è un dio che condanna, ma un Padre che ci salva con l’abbraccio benedicente del suo amore.
E veniamo alla seconda parola: Dio “ha dato” il suo Figlio. Proprio perché ci ama così tanto, Dio dona sé stesso e ci offre la sua vita. Chi ama esce sempre da sé stesso – non dimenticatevi di questo: chi ama esce sempre da sé stesso. L’amore sempre si offre, si dona, si spende. La forza dell’amore è proprio questa: frantuma il guscio dell’egoismo, rompe gli argini delle sicurezze umane troppo calcolate, abbatte i muri e vince le paure, per farsi dono. Questa è la dinamica dell’amore: è farsi dono, darsi. Chi ama è così: preferisce rischiare nel donarsi piuttosto che atrofizzarsi trattenendosi per sé. Per questo Dio esce da sé stesso, perché “ha tanto amato”. Il suo amore è così grande che non può fare a meno di donarsi a noi. Quando il popolo in cammino nel deserto fu attaccato dai serpenti velenosi, Dio fece fare a Mosè il serpente di bronzo; in Gesù, però, innalzato sulla croce, Lui stesso è venuto a guarirci dal veleno che dà la morte, si è fatto peccato per salvarci dal peccato. Non ci ama a parole Dio: ci dona suo Figlio perché chiunque lo guarda e crede in Lui sia salvato (cfr Gv 3,14-15).
Più si ama e più si diventa capaci di donare. Questa è anche la chiave per comprendere la nostra vita. È bello incontrare persone che si amano, che si vogliono bene e condividono la vita; di loro si può dire come di Dio: si amano così tanto da dare la loro vita. Non conta solo ciò che possiamo produrre o guadagnare, conta soprattutto l’amore che sappiamo donare.
E questa è la sorgente della gioia! Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Da qui prende senso l’invito che la Chiesa rivolge in questa domenica: «Rallegrati [...]. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione» (Antifona d’ingresso; cfr Is 66,10-11). Ripenso a ciò che abbiamo vissuto una settimana fa in Iraq: un popolo martoriato ha esultato di gioia; grazie a Dio, alla sua misericordia.
A volte cerchiamo la gioia dove non c’è, la cerchiamo nelle illusioni che svaniscono, nei sogni di grandezza del nostro io, nell’apparente sicurezza delle cose materiali, nel culto della nostra immagine, e tante cose... Ma l’esperienza della vita ci insegna che la vera gioia è sentirci amati gratuitamente, sentirci accompagnati, avere qualcuno che condivide i nostri sogni e che, quando facciamo naufragio, viene a soccorrerci e a condurci in un porto sicuro.
[Papa Francesco, omelia in occasione dei 500 anni dell’evangelizzazione delle Filippine, 14 marzo 2021]
Scienziati e Piccoli: mondo astratto e incarnazione
(Mt 11,25-30)
I capi guardavano la religiosità con scopi d’interesse. I professori di teologia erano abituati a valutare ogni virgola partendo dal proprio sapere, ridicolo ma supponente - estraneo alle vicende reali.
Ciò che rimane vincolato a costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.
Il Maestro si rallegra della sua stessa esperienza, che reca una gioia non epidermica e un insegnamento dallo Spirito - su chi è ben disposto, e capace di comprendere le profondità del Regno, nelle cose comuni.
Insomma, dopo un primo momento di folle entusiaste, il Maestro approfondisce le tematiche e si ritrova tutti contro, tranne Dio e i minimi: i senza peso, ma con tanta voglia di cominciare da zero.
Barlume del Mistero che lievita la storia - senza farne un possesso.
In un primo tempo anche Gesù rimane sbalordito per il rifiuto di chi si riteneva già soddisfatto e non attendeva più nulla che potesse destare le abitudini.
Poi comprende, loda e benedice il disegno del Padre: la persona autentica nasce dai bassifondi, e possiede «lo spirito del vicinato» (FT n.152).
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza.
L’Eterno non è il padrone del creato: è Ristoro che rinfranca, perché fa sentire completi e amabili; ci cerca, si fa attento al linguaggio del cuore.
Egli è Custode del mondo, anche dei non istruiti - degli «infanti» (v.25) spontaneamente vuoti di spirito borioso, ossia di coloro che non restano chiusi nella loro sufficiente appartenenza.
Così il rapporto Padre-Figlio viene comunicato ai poveri di Dio: coloro che sono dotati di un’attitudine da famigliari (v.27).
Insignificanti e invisibili privi di grandi doti, ma che si abbandonano alle proposte della vita provvidente che viene, come bimbi in braccio a dei genitori.
In tal guisa, con Spirito di pietas che favorisce chi si lascia colmare di saggezza innata.
Unica realtà che ci corrisponde e non presenta il “conto”: essa non procede sulle vie del pensiero funzionale, dell’iniziativa calcolante.
Sapienza che trasmette freschezza nella disponibilità a ricevere accogliere ritemprare personalmente la Verità come Dono, e l’entusiasmo spontaneo stesso, in grado di realizzarla.
Una preghiera di benedizione semplice, per i semplici - questa di Gesù (v.25) - che ci fa crescere nella stima, calza perfettamente con la nostra esperienza, e va d’accordo con noi stessi.
I nuovi, le nullità, i senza voce e invisibili non ragionano in termini di dottrina e leggi [vv.29-30: «giogo» insopportabile che schiaccia le persone e vocazioni concrete, particolari] ma di vita e di umanità.
Così arricchiscono l’esperienza fondamentale e spontanea della Fede-Amore, appagante senza manierismi né intime forzature.
Mentre l’esteriorità del mondo piramidale, la diffidenza di chi vuol “contare”, l’ansia della società competitiva, impoveriscono lo sguardo e contaminano l’onda vitale.
Anche noi, non apprezziamo troppo l’energia dei ‘modelli’, né la potenza aggressiva dei “pezzi grossi”.
Invece che solo con il “grande” ed esterno, desideriamo vivere di Comunione - pur con il ‘piccolo’ di sé, o non ci sarà amabilità, né autentica vita.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa provi quando ti senti dire: «Tu non conti»?
Rimane un disprezzo umiliante o la consideri una grande Luce ricevuta, come ha fatto Gesù?
[s. Caterina da Siena, 29 aprile]
Dear friends, this is the perpetual and living heritage that Jesus has bequeathed to us in the Sacrament of his Body and his Blood. It is an inheritance that demands to be constantly rethought and relived so that, as venerable Pope Paul VI said, its "inexhaustible effectiveness may be impressed upon all the days of our mortal life" (Pope Benedict)
Questa, cari amici, è la perpetua e vivente eredità che Gesù ci ha lasciato nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Eredità che domanda di essere costantemente ripensata, rivissuta, affinché, come ebbe a dire il venerato Papa Paolo VI, possa “imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale” (Papa Benedetto)
The road that Jesus points out can seem a little unrealistic with respect to the common mindset and to problems due to the economic crisis; but, if we think about it, this road leads us back to the right scale of values (Pope Francis)
La strada che Gesù indica può sembrare poco realistica rispetto alla mentalità comune e ai problemi della crisi economica; ma, se ci si pensa bene, ci riporta alla giusta scala di valori (Papa Francesco)
Our commitment does not consist exclusively of activities or programmes of promotion and assistance; what the Holy Spirit mobilizes is not an unruly activism, but above all an attentiveness that considers the other in a certain sense as one with ourselves (Pope Francis)
Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con se stesso (Papa Francesco)
The drama of prayer is fully revealed to us in the Word who became flesh and dwells among us. To seek to understand his prayer through what his witnesses proclaim to us in the Gospel is to approach the holy Lord Jesus as Moses approached the burning bush: first to contemplate him in prayer, then to hear how he teaches us to pray, in order to know how he hears our prayer (Catechism of the Catholic Church n.2598)
L’evento della preghiera ci viene pienamente rivelato nel Verbo che si è fatto carne e dimora in mezzo a noi. Cercare di comprendere la sua preghiera, attraverso ciò che i suoi testimoni ci dicono di essa nel Vangelo, è avvicinarci al santo Signore Gesù come al roveto ardente: dapprima contemplarlo mentre prega, poi ascoltare come ci insegna a pregare, infine conoscere come egli esaudisce la nostra preghiera (Catechismo della Chiesa Cattolica n.2598)
If penance today moves from the material to the spiritual side, let's say, from the body to the soul, from the outside to the inside, it is no less necessary and less feasible (Pope Paul VI)
Se la penitenza si sposta oggi dalla parte, diciamo, materiale a quella spirituale, dal corpo all’anima, dall’esterno all’interno, non è meno necessaria e meno attuabile (Papa Paolo VI)
“Love is an excellent thing”, we read in the book the Imitation of Christ. “It makes every difficulty easy, and bears all wrongs with equanimity…. Love tends upward; it will not be held down by anything low… love is born of God and cannot rest except in God” (III, V, 3) [Pope Benedict]
«Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3) [Papa Benedetto]
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
Disclaimer
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.