Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Santissimo Corpo e sangue di Cristo [22 Giugno 2025]
Dio ci benedica e la Vergine di protegga! In un tempo in cui sembra che l’Eucaristia non sia sempre il centro della vita dei cristiani, questo giorno ci invita a riflettere e a rimettere nel cuore della nostra vita sacerdotale la quotidiana degna celebrazione dell’Eucaristia e l’adorazione che la prepara e ne continua la contemplazione lungo tutta la giornata.
*Prima Lettura dal Libro della Genesi (14,18-20)
Melchisedek è nominato solo due volte nell’Antico Testamento: qui nel libro della Genesi e nel salmo 109/110 che leggiamo anche questa domenica. Questo personaggio ricoprirà un ruolo importante per coloro che attendevano il Messia, e ancor più tra i cristiani così da essere citato anche in una preghiera eucaristica. Abramo incontra Melchisedek mentre torna da una spedizione vittoriosa. La Bibbia raramente racconta i festeggiamenti dopo una vittoria militare, invece qui si celebra e, molto tempo dopo, viene data a questa storia un grande interesse. Questi i fatti: scoppia una guerra tra due piccole coalizioni, cinque contro quattro e il re di Sodoma fa parte dei combattenti, ma né Melchisedek né Abramo sono direttamente coinvolti all’inizio. Il re di Sodoma viene sconfitto e tra i suoi sudditi viene fatto prigioniero Lot, nipote di Abramo, il quale, informato, corre a liberarlo insieme al re di Sodoma e i suoi sudditi. Il re di Sodoma diventa così alleato di Abramo. A questo punto interviene Melchisedek (il cui nome significa “re di giustizia”) forse per un pasto di alleanza, ma l’autore biblico non lo precisa, e anzi, a partire da questo momento, concentra il racconto sulla figura di Melchisedek e sul suo rapporto con Abramo. Di Melchisedek abbiamo informazioni molto inusuali nella Bibbia: non ha genealogia, è contemporaneamente re e sacerdote mentre per molti secoli in Israele questo non doveva accadere; è re di Salem, probabilmente la città che più tardi sarà Gerusalemme quando Davide la conquista per farne la sua capitale; l’offerta che porta è composta di pane e vino e non di animali, come sarà invece il sacrificio che offrirà Abramo, raccontato in Gn. 15. Melchisedek benedice il Dio Altissimo e Abramo che gli versa la decima (un decimo del bottino di guerra) e con tale gesto riconosce il suo sacerdozio. Sono tutte precisazioni che hanno un chiaro valore per l’autore sacro, che si concentra sulle relazioni tra il potere regale e il sacerdozio: per esempio, è la prima volta che compare la parola “sacerdote” nella Bibbia e Melchisedek ne ha tutte le caratteristiche: offre un sacrificio, pronuncia la benedizione in nome del “Dio Altissimo che crea cielo e terra” e riceve da Abramo la decima dei suoi beni. Silenzio assoluto circa le origini di Melchisedek: la Bibbia attribuisce grande importanza alla genealogia dei sacerdoti, ma di Melchisedek, il primo della lista, non sappiamo nulla e sembra fuori dal tempo. Il fatto però che sia riconosciuto come sacerdote significa che esisteva un sacerdozio prima dell’istituzione legale del sacerdozio nella legge ebraica legato alla tribù di Levi, figlio di Giacobbe e pronipote di Abramo. Esistevano cioè sacerdoti non discendenti da Levi e perciò “secondo l’ordine di Melchisedek”, alla maniera di Melchisedek. Nessun esegeta sa dire con certezza da chi, quando e con quale scopo questo testo sia stato scritto, che potrebbe risalire all’epoca in cui la dinastia di Davide sembrava ormai spenta e si cominciava a intravedere un Messia diverso: non più un re discendente di Davide, ma un sacerdote, capace di portare ai discendenti di Abramo la benedizione del Dio Altissimo. Melchisedek, “re di giustizia e re di pace” è considerato un antenato del Messia come vediamo meglio nel salmo 109/110. Abramo non era ancora circonciso quando fu benedetto da Melchisedek e nelle controversie delle prime comunità formate da ebrei circoncisi e pagani, i cristiani dedurranno che non è necessario essere circoncisi per essere benedetti da Dio. Infine nell’offerta di pane e vino, che suggella un pasto di alleanza, noi cristiani riconosciamo il gesto di Cristo in continuità col progetto di Dio. Ad ogni Eucaristia, ripetiamo il gesto di Melchisedek accompagnando l’offerta di pane e vino con le parole “Tu sei benedetto, Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto il pane (il vino) che ti presentiamo…”
*Salmo responsoriale (109 /110,1-4)
Alcune di questi versi del salmo sono rivolti al nuovo re di Gerusalemme nel giorno della sua incoronazione, un rituale che esprimeva in filigrana l’attesa del Messia e si sperava che ogni nuovo re incoronato fosse il Messia. La cerimonia si svolgeva in due momenti, dapprima nel Tempio, poi all’interno del palazzo reale nella sala del trono. Quando il re arrivava nel Tempio scortato dalla guardia reale un profeta gli poneva il diadema sul suo capo, gli consegnava un rotolo detto “i Testimoni” cioè la carta dell’Alleanza conclusa da Dio con la discendenza di Davide contenente formule applicate a ogni re: “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato”, “Chiedimi e ti darò in eredità le nazioni” e questa carta gli rivelava anche il suo nuovo nome (cfr. Isaia 9,5). Il sacerdote gli conferiva l’unzione e il rito nel Tempio si concludeva con l’acclamazione chiamata “Terouah”, grido di guerra trasformato in ovazione per il nuovo re-condottiero. Si snodava poi la processione verso il Palazzo e lungo il cammino il re si fermava per bere a una sorgente, simbolo della vita nuova e della forza di cui doveva rivestirsi per trionfare sui suoi nemici. Arrivati al Palazzo, nella sala del trono si svolgeva la seconda parte della cerimonia. A questo punto inizia il salmo di oggi: il profeta prende la parola a nome di Dio, usando la formula solenne: ““Oracolo del Signore al mio signore” che va letto come “parola di Dio per il nuovo re”. Nella Bibbia si incontra l’espressione “sedersi sul trono dei re” che significa “regnare”. Il nuovo re è invitato a salire i gradini del trono e a sedersi: “Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”. Sui gradini del trono sono scolpiti o incisi guerrieri nemici incatenati: quindi, salendo i gradini, il re poserà il piede sulla nuca di questi soldati, gesto di vittoria e presagio delle sue vittorie future. Questo è il senso della prima strofa, fare dei suoi nemici lo sgabello dei suoi piedi. L’espressione “alla mia destra” aveva un tempo un significato concreto, topografico: a Gerusalemme, il palazzo di Salomone è situato a sud del Tempio (quindi a destra del Tempio, se ci si volge verso oriente) per cui Dio troneggia invisibilmente sopra l’Arca nel Tempio e il re, sedendo sul suo trono, sarà alla sua destra. Poi il profeta consegna lo scettro al nuovo re; ed è la seconda strofa: “Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion domina in mezzo ai tuoi nemici”. La consegna dello scettro è simbolo della missione affidata al re che dominerà i nemici inserendosi nella lunga catena dei re discendenti di Davide, a sua volta portatore della promessa fatta a Davide. Il re è solo un uomo mortale, ma porta un destino eterno perché eterno è il progetto di Dio. Probabilmente questo è il significato della strofa seguente, un po’ oscura: “A te il principato nel giorno della tua potenza (cioè il giorno dell’incoronazione) tra santi splendori (sei rivestito della santità di Dio e quindi della sua immortalità). dal seno dell’aurora come rugiada, io ti ho generato”, un modo per dire che è previsto da Dio dall’alba del mondo. Il re resta mortale ma, nella fede d’Israele, la discendenza di Davide, prevista dall’eternità, è immortale. Nello stesso senso, la strofa seguente usa l’espressione “per sempre”: “Tu sei sacerdote per sempre”, il re futuro (cioè il Messia) sarà dunque al contempo re e sacerdote mediatore tra Dio e il suo popolo. Qui abbiamo la prova che, negli ultimi secoli della storia biblica, si pensava che il Messia sarebbe stato anche sacerdote. Infine il salmo precisa: sacerdote “secondo l’ordine di Melchisedek” perché esisteva il problema che non si può essere sacerdote se non si discende da Levi. Come conciliare questa Legge con la promessa che il Messia, re discendente di Davide della tribù di Giuda e non di Levi? Il salmo 109/110 dà la risposta: egli sarà sacerdote, sì, ma alla maniera di Melchisedek, re di Salem, al tempo stesso re e sacerdote, ben prima che esistesse la tribù di Levi. Il salmo 109/110 veniva cantato a Gerusalemme durante la Festa delle Capanne per ricordare le promesse messianiche di Dio: evocando una scena di intronizzazione, si pensava proprio a queste promesse per mantenere viva la speranza del popolo. Rileggendo questo salmo nel Nuovo Testamento vi si è scoperta una profondità nuova: Gesù Cristo è davvero quel sacerdote “in eterno”, mediatore dell’Alleanza definitiva, vincitore del peggiore nemico dell’uomo, la morte. San Paolo lo dice nella prima lettera ai Corinzi: “L’ultimo nemico ad essere distrutto sarà la morte, perché tutto ha posto sotto i suoi piedi”.
*Seconda Lettura dalla Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi (11,23-26)
San Paolo qui rivela il vero significato della parola “tradizione”: un prezioso deposito fedelmente tramandato di generazione in generazione. Se oggi siamo credenti, è perché, da oltre duemila anni, i cristiani, in ogni epoca, hanno trasmesso fedelmente il deposito della fede come in una staffetta senza interruzione. La trasmissione è fedele quando si conserva la tradizione del Signore, come scrive san Paolo: “Io ho ricevuto da Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso”. Solo questa trasmissione fedele costruisce il Corpo di Cristo lungo la storia dell’umanità, non essendo trasmissione di un sapere intellettuale, ma del mistero di Cristo e la fedeltà si misura nel nostro modo di vivere. Per questo Paolo si preoccupa di correggere le cattive abitudini dei Corinzi e afferma che vivere in comunione fraterna è direttamente connesso con il mistero dell’Eucaristia. Scrive Paolo: Gesù “nella notte in cui veniva tradito, prese del pane”. “Veniva tradito”: Proprio mentre incompreso e tradito, veniva consegnato nelle mani nemiche, Gesù “prese del pane, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse…”. Ha così la forza di capovolgere la situazione e da una condotta di morte, compie il gesto supremo dell’Alleanza tra Dio e gli uomini facendo eco a queste sue parole: “La mia vita, nessuno me la toglie: la do io” (Gv 10,18). Trasforma un contesto di odio e di accecamento in luogo dell’amore e della condivisione: “Il mio corpo che è per voi”, corpo donato per la nostra liberazione e l’efficacia di questa donazione è legata al concetto biblico di “memoriale”: fate questo in memoria di me”. “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”, questa formula è centrata sul tema della nuova alleanza, ripreso dal passo di Geremia (31,31-34) e stabilita non con il sangue versato sul popolo (Es 24), ma con il suo sangue e nello Spirito Santo. Qui possiamo capire cosa è il perdono, il dono perfetto compiuto al di là dell’odio, amore puro che trasforma condotte di morte in sorgente di vita. Solo il perdono è questo miracolo e lo ripetiamo in ogni Eucaristia: “Mistero della fede”. “Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore”: annunciamo la sua morte, testimonianza d’amore fino all’estremo, come ben ricorda la Preghiera eucaristica della Riconciliazione: “le sue braccia distese disegnano tra cielo e terra il segno indelebile dell’Alleanza” tra Dio e l’umanità. “Annunciamo la sua morte”: ci impegniamo nella grande opera di riconciliazione e di alleanza inaugurata da Gesù. “Finché egli venga”: siamo il popolo dell’attesa che proclamiamo in ogni Eucaristia e se Gesù ci invita a ripetere così spesso questa preghiera è per educarci alla speranza che significa diventare impazienti del suo Regno in gioiosa attesa della sua venuta. Infine: Paolo dice “finché egli venga” e non finché ritorni perché Cristo non è partito, è con noi fino alla fine del mondo (Cf Mt 28, 20). Anzi non smette mai di venire perché è presenza operante che realizza progressivamente il grande progetto divino fin dalla creazione del mondo e ci chiede di collaborarvi.
NOTA. L’ultima parola della Bibbia, nell’Apocalisse, è proprio «Vieni, Signore Gesù». L’inizio del libro della Genesi ci parlava della vocazione dell’umanità, chiamata ad essere immagine e somiglianza di Dio, dunque destinata a vivere di amore, di dialogo, di condivisione come Dio stesso è Trinità. L’ultima parola della Bibbia ci dice che il progetto si realizza in Gesù Cristo e quando diciamo “Vieni, Signore Gesù”, invochiamo con tutte le nostre forze il giorno in cui egli ci radunerà dai quattro angoli del mondo per formare un solo Corpo.
*Dal vangelo secondo Luca (9, 11b-17)
Per la festa del Corpo e Sangue di Cristo, leggiamo il miracolo della moltiplicazione dei pani in cui Luca vuole certamente sottolinearne il legame con l’Eucaristia descrivendo i gesti di Gesù con le stesse parole della liturgia eucaristica: “Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli”: una chiara allusione anche ai discepoli di Emmaus (Lc24,30). Gesù sta annunciando il regno di Dio, predica il vangelo e compie miracoli. La moltiplicazione dei pani si colloca in questo contesto: è sera, i discepoli si preoccupano della folla e suggeriscono di rimandare tutti perché nelle vicinanze ognuno per conto proprio trovi di che sfamarsi. Gesù non accetta la soluzione di dispersione perché il Regno di Dio è un mistero di comunione, non si accontenta del “ciascuno per sé” e propone la sua soluzione: “Voi stessi date loro da mangiare”. Ma come? Cinque pani e due pesci, replicano gli apostoli, sono sufficienti solo per una famiglia e non per cinquemila uomini. Gesù non vuole metterli in difficoltà, ma se dice loro di dare essi stessi da mangiare, è perché sa che possono farlo. I discepoli rispondono mettendosi a disposizione per andare a comperare il pane, ma Gesù ha un’altra soluzione: “Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa”. Sceglie la “soluzione del radunarsi” perché il Regno di Dio non è folla indistinta, ma comunità di comunità. Gesù benedisse i pani, riconoscendo il pane come dono di Dio da usare per servire gli affamati. Riconoscere il pane come dono di Dio è un vero e proprio programma di vita ed è questo il significato della “preparazione dei doni” durante la Messa. Si chiamava prima “offertorio” e la riforma liturgica del Concilio Vaticano II l’ha sostituito con “preparazione dei doni” per aiutarci a capire meglio che non siamo noi a dare qualcosa di nostro, ma è la “preparazione dei doni di Dio” e recando pane e vino, simboli di tutto il cosmo e del lavoro dell’umanità, riconosciamo che tutto è dono e non siamo padroni di ciò che Dio ci ha dato (sia i beni materiali che le ricchezze fisiche, intellettuali, spirituali), ma solo amministratori. Questo gesto, ripetuto ad ogni Eucaristia con fede, ci trasforma facendoci diventare davvero amministratori delle nostre ricchezze per il bene di tutti. Proprio in questo gesto di generosa spoliazione di sé stessi possiamo trovare il coraggio dei miracoli: quando dice ai discepoli “Date loro voi stessi da mangiare”, Gesù vuole far loro scoprire che hanno risorse insospettate, ma a condizione di riconoscere tutto come dono di Dio. Davanti agli affamati del mondo intero dice anche a noi: “Date loro voi stessi da mangiare” e, come i discepoli, abbiamo risorse che ignoriamo a condizione di riconoscere che quanto possediamo é dono di Dio e noi siamo solo amministratori che rifiutano la “logica della dispersione”, il pensare cioè ognuno al proprio interesse. Diventa quindi chiaro il legame tra questa moltiplicazione dei pani e la festa del Corpo e Sangue di Cristo. I tre sinottici raccontano l’istituzione dell’Eucaristia la sera del Giovedì santo e Luca aggiunge l’ordine del Signore “Fate questo in memoria di me”, ma san Giovanni ci offre un’altra chiave: riferisce la lavanda dei piedi con il comando di Gesù ai discepoli a fare altrettanto. Ecco quindi due modi inseparabili di celebrare il memoriale di Cristo: condividere l’Eucaristia e mettersi al servizio degli altri.
+Giovanni D’Ercole
Falsari & Co: come se non esistessimo
(Mt 7,15-20)
«Dai loro frutti li riconoscerete […] così ogni albero buono fa frutti buoni, ma l’albero guasto fa frutti cattivi» (Mt 7,16-17).
Come al tempo di Gesù, anche oggi ci sono banditori che annunciano messaggi di ogni genere.
Perfino nel dominio ecclesiale ristretto, spesso non è facile valutare le varie interpretazioni.
Sin dai primi tempi il Maestro si è distinto perché non ha imposto una severa selezione fra i suoi seguaci: il campo dell’Amore è quello della Libertà.
La ricchezza dell’onda vitale del Padre resta ovunque esuberante.
Il Signore stesso infatti prediligeva il carattere universale della chiamata… per Nome.
Eppure, malgrado l’ambito di accoglienza a maglie larghe, nel passo di Vangelo odierno Egli sembra assai preoccupato.
In effetti, sin dalla Chiesa delle origini si rese necessario ricorrere a principi di comprensione elementare degli spiriti.
Elementi di discernimento ancora essenziali, a tutela delle persone più deboli: coloro che hanno indole e radici «buone» ma rischiano di essere plagiati da opportunisti.
Il tema ricorre in tutti i tempi: la guida sapiente non sottovaluta l’allievo, non gli inocula paure di non essere all’altezza; valorizza e non scarta ciò che il discepolo ama.
Non gli chiede di sconfiggere subito i “difetti” ma li rende suoi compagni di viaggio e partecipi della realizzazione.
In tal modo l’anima del credente assume la sua ‘panoramica’, prende respiro, conquista equilibrio più completo, si realizza secondo la propria Chiamata. La quale non pretende di far diventare ogni cuore estraneo a se stesso: in ogni vicenda c’è un segreto da rinvenire, e caratteristico.
La guida spirituale secondo Cristo non imporrà di far assomigliare tutti ai suoi modelli preferiti, quindi non ci renderà rigidi [nel pericolo che qualsiasi contrarietà ci spezzi].
E quando non verremo sottovalutati, ci sentiremo adeguati - all’altezza che ci appartiene: i frutti fioriranno spontaneamente.
«Non può un albero buono fare frutti cattivi, né un albero guasto fare frutti buoni» (v.18).
Chi è felice fa il Bene.
«Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi in vesti di pecore, ma dentro sono lupi rapaci» (v.15).
I travestiti della santità sono una grave insidia: spengono la nostra firma; identità caratteristica e creativa.
Li si può descrivere quasi come dei veri maestri, perché somigliano e sembrano analoghi agli autentici. In realtà flagellano l’anima di pensieri e gesti che non ci appartengono.
Vale invece la pena di occuparsi delle radici, più delle foglie: prima della linfa che scorre dentro il tronco, solo poi del numero e vistosità di frutti.
La nostra vocazione è stimolata e accompagnata e nasce da un desiderio, una voce e un’immagine dell’anima che fa da guida.
I manipolatori tendono a sostituire la loro suggestione alla nostra, personalissima.
I «falsi profeti» (v.15) non partono verso il futuro, dalla Sorgente intima della persona. Essi vanno sempre a cercare una conferma della loro.
Come se non esistessimo.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa pensi dei lupi in vesti angeliche?
Le asperità chiudono o dilatano le tue scoperte? O ti guidano al compromesso con le forze in campo?
[Mercoledì 12.a sett. T.O. 25 giugno 2025]
Falsari & Co: come se non esistessimo
(Mt 7,15-20)
«Dai loro frutti li riconoscerete […] così ogni albero buono fa frutti buoni, ma l’albero guasto fa frutti cattivi» (Mt 7,16-17).
Come al tempo di Gesù, anche oggi ci sono banditori che annunciano messaggi di ogni genere.
Perfino nel dominio ecclesiale ristretto, spesso non è facile valutare le varie interpretazioni.
In linea di massima, possiamo affermare che i Pontefici ci mettono in guardia sia da proposte di salvezza «a basso prezzo» [Papa Benedetto], sia dall’esercizio manierista di una spiritualità vuota, che tende alla ricerca del consenso - tipica di coloro che «accarezzano le pecore» [Papa Francesco].
Ma sin dai primi tempi il Maestro si è distinto perché non ha imposto una severa selezione fra i suoi seguaci: il campo dell’Amore è quello della Libertà.
La ricchezza dell’onda vitale del Padre resta ovunque esuberante.
Ricordo per esperienza personale che ai tempi di Giovanni Paolo II i criteri di discernimento per l’accesso dei candidati alla vita di Seminario erano infatti piuttosto larghi di veduta; poi forse c’è stata una stretta canonica, che tuttavia non ha prodotto risultati pastorali.
Il Signore stesso infatti prediligeva il carattere universale della chiamata… per Nome.
Eppure, malgrado l’ambito di accoglienza a maglie larghe, nel passo di Vangelo odierno Egli sembra assai preoccupato.
In effetti, sin dalla Chiesa delle origini si rese necessario ricorrere a principi di comprensione elementare degli spiriti.
Elementi di discernimento ancora essenziali, a tutela delle persone più deboli: coloro che hanno indole e radici «buone» ma rischiano di essere plagiati da opportunisti.
Il tema ricorre in tutti i tempi: la guida sapiente non sottovaluta l’allievo; non gli inocula paure di non essere all’altezza. Valorizza e non scarta ciò che il discepolo ama.
Non gli chiede di sconfiggere subito i “difetti” ma li rende suoi compagni di viaggio e partecipi della realizzazione.
In tal modo l’anima del credente assume la sua “panoramica”, prende respiro, conquista equilibrio più completo; si realizza secondo la propria Chiamata. La quale non pretende di far diventare ogni cuore più forte di quel che è, o estraneo a se stesso: in ogni vicenda c’è un segreto da rinvenire, e caratteristico.
La guida spirituale secondo Cristo non imporrà di far assomigliare tutti gli allievi ai suoi modelli preferiti, quindi non ci renderà rigidi [nel pericolo che qualsiasi contrarietà ci spezzi].
E quando non verremo sottovalutati, ci sentiremo adeguati - all’altezza che ci appartiene: i frutti fioriranno spontaneamente.
«Non può un albero buono fare frutti cattivi, né un albero guasto fare frutti buoni» (v.18).
Chi è felice fa il Bene.
«Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi in vesti di pecore, ma dentro sono lupi rapaci» (v.15).
I travestiti della santità sono una grave insidia: spengono la nostra firma; identità caratteristica e creativa.
I bisogni che contano non sarebbero mai i nostri [comunque, tutto farebbe numero e brodo - anzi, pula e foraggio].
Li si può descrivere quasi come dei veri maestri, perché somigliano e sembrano analoghi agli autentici. In realtà flagellano l’anima di pensieri e gesti che non ci appartengono.
Conformi al loro concerto, solito (o newsletter). Distanti dalla nostra Chiamata e dall’inedito personale modo di stare in campo. Questo il punto.
Essi blandiscono tutti, ma sanno già tutto. E si nota che pretendono solo di essere considerati.
C’indicano senza posa la rotta, ma ricordando sempre un passato (anche recente), per cronicizzarlo.
O un futuro glamour; oggi disumanizzante.
In tal guisa, hanno la testa piena di pensieri e di vento, propugnando cammini disincarnati, astratti, non calati sulla natura, persona e il suo ritmo.
Cullano e accarezzano, ovvero sgridano aspramente - accusando tutti - ma tolgono il pungolo che ci corrisponde e appartiene.
Test infallibile per riconoscerli è metterli alla prova sulle pubbliche e private relazioni, sul falso prestigio, sulla rinuncia alla rapacità e alle celebrità; all’amore del potere anche sul pensiero altrui.
Attenzione ai falsari che manifestano intenzioni eccellenti, dopodiché alle persone impongono almeno qualche postilla che non le fa sentire adeguate.
Dentro il loro festival c’è la schiavitù d’una mistica allestita pro domo sua [solo in favore della causa propria], falsata a monte.
Vale invece la pena di occuparsi delle radici, più delle foglie: prima della linfa che scorre dentro il tronco, solo poi del numero e vistosità di frutti.
La nostra vocazione è stimolata e accompagnata e nasce da un desiderio, una voce e un’immagine dell’anima che fa da guida.
I manipolatori tendono a sostituire la loro suggestione alla nostra, personalissima.
I «falsi profeti» (v.15) non partono verso il futuro dalla sorgente intima della persona, ma vanno sempre a cercare una conferma della loro.
Come se non esistessimo.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa pensi dei lupi in vesti angeliche? Le asperità chiudono o dilatano le tue scoperte? O ti guidano al compromesso con le forze in campo?
Incantatori di serpenti
Quali forme assumono i falsi profeti?
Essi sono come “incantatori di serpenti”, ossia approfittano delle emozioni umane per rendere schiave le persone e portarle dove vogliono loro. Quanti figli di Dio sono suggestionati dalle lusinghe del piacere di pochi istanti, che viene scambiato per felicità! Quanti uomini e donne vivono come incantati dall’illusione del denaro, che li rende in realtà schiavi del profitto o di interessi meschini! Quanti vivono pensando di bastare a sé stessi e cadono preda della solitudine!
Altri falsi profeti sono quei “ciarlatani” che offrono soluzioni semplici e immediate alle sofferenze, rimedi che si rivelano però completamente inefficaci: a quanti giovani è offerto il falso rimedio della droga, di relazioni “usa e getta”, di guadagni facili ma disonesti! Quanti ancora sono irretiti in una vita completamente virtuale, in cui i rapporti sembrano più semplici e veloci per rivelarsi poi drammaticamente privi di senso! Questi truffatori, che offrono cose senza valore, tolgono invece ciò che è più prezioso come la dignità, la libertà e la capacità di amare. E’ l’inganno della vanità, che ci porta a fare la figura dei pavoni… per cadere poi nel ridicolo; e dal ridicolo non si torna indietro. Non fa meraviglia: da sempre il demonio, che è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44), presenta il male come bene e il falso come vero, per confondere il cuore dell’uomo. Ognuno di noi, perciò, è chiamato a discernere nel suo cuore ed esaminare se è minacciato dalle menzogne di questi falsi profeti. Occorre imparare a non fermarsi a livello immediato, superficiale, ma riconoscere ciò che lascia dentro di noi un’impronta buona e più duratura, perché viene da Dio e vale veramente per il nostro bene.
[Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2018]
Salvatore a basso prezzo?
L’umanità del nostro tempo attende ancora un Salvatore? Si ha la sensazione che molti considerino Dio come estraneo ai propri interessi. Apparentemente non hanno bisogno di Lui; vivono come se non esistesse e, peggio, come se fosse un “ostacolo” da rimuovere per realizzare se stessi. Anche fra i credenti – siamo certi - alcuni si lasciano attrarre da allettanti chimere e distrarre da fuorvianti dottrine che propongono illusorie scorciatoie per ottenere la felicità. Eppure, pur con le sue contraddizioni, le sue angustie e i suoi drammi, e forse proprio per questi, l’umanità oggi cerca una strada di rinnovamento, di salvezza, cerca un Salvatore e attende, talora inconsapevolmente, l’avvento del Salvatore che rinnova il mondo e la nostra vita, l’avvento di Cristo, l’unico vero Redentore dell’uomo e di tutto l’uomo. Certo, falsi profeti continuano a proporre una salvezza a “basso prezzo”, che finisce sempre per generare cocenti delusioni. Proprio la storia degli ultimi cinquant’anni dimostra questa ricerca di un Salvatore a “basso prezzo” ed evidenzia tutte le delusioni che ne sono derivate. E’ compito di noi cristiani diffondere, con la testimonianza della vita, la verità del Natale, che Cristo reca a ogni uomo e donna di buona volontà. Nascendo nella povertà del presepe, Gesù viene ad offrire a tutti quella gioia e quella pace che sole possono colmare l’attesa dell’animo umano.
[Papa Benedetto, Udienza Generale 20 dicembre 2006]
L’umanità del nostro tempo attende ancora un Salvatore? Si ha la sensazione che molti considerino Dio come estraneo ai propri interessi. Apparentemente non hanno bisogno di Lui; vivono come se non esistesse e, peggio, come se fosse un “ostacolo” da rimuovere per realizzare se stessi. Anche fra i credenti – siamo certi - alcuni si lasciano attrarre da allettanti chimere e distrarre da fuorvianti dottrine che propongono illusorie scorciatoie per ottenere la felicità. Eppure, pur con le sue contraddizioni, le sue angustie e i suoi drammi, e forse proprio per questi, l’umanità oggi cerca una strada di rinnovamento, di salvezza, cerca un Salvatore e attende, talora inconsapevolmente, l’avvento del Salvatore che rinnova il mondo e la nostra vita, l’avvento di Cristo, l’unico vero Redentore dell’uomo e di tutto l’uomo. Certo, falsi profeti continuano a proporre una salvezza a “basso prezzo”, che finisce sempre per generare cocenti delusioni. Proprio la storia degli ultimi cinquant’anni dimostra questa ricerca di un Salvatore a “basso prezzo” ed evidenzia tutte le delusioni che ne sono derivate. E’ compito di noi cristiani diffondere, con la testimonianza della vita, la verità del Natale, che Cristo reca a ogni uomo e donna di buona volontà. Nascendo nella povertà del presepe, Gesù viene ad offrire a tutti quella gioia e quella pace che sole possono colmare l’attesa dell’animo umano.
[Papa Benedetto, Udienza Generale 20 dicembre 2006]
La vita spirituale ha bisogno di illuminazione e di guida. Per questo Gesù, nel fondare la Chiesa e nel mandare gli Apostoli nel mondo, ha affidato loro il compito di ammaestrare tutte le genti, come leggiamo nel Vangelo secondo Matteo (Mt 28, 19-20), ma anche di “predicare il Vangelo a tutta la creazione”, come dice il testo canonico del Vangelo di Marco (Mc 16, 15). Anche San Paolo parla dell’apostolato come di una “illuminazione di tutti” (Ef 3, 9).
Ma quest’opera della Chiesa evangelizzatrice e docente appartiene al ministero degli Apostoli e dei loro successori e, a titolo diverso, a tutti i membri della Chiesa, per continuare per sempre l’opera di Cristo “unico Maestro” (Mt 23, 8), che ha portato all’umanità la pienezza della rivelazione di Dio. Rimane la necessità di un Maestro interiore, che faccia penetrare nello spirito e nel cuore degli uomini l’insegnamento di Gesù. È lo Spirito Santo, che Gesù stesso chiama “Spirito di verità”, e che promette come Colui che guiderà verso tutta la verità (cf. Gv 14, 17; 16, 13). Se Gesù ha detto di sé: “Io sono la verità” (Gv 14, 6), è questa verità di Cristo che lo Spirito Santo fa conoscere e diffonde: “Non parlerà di sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito . . . prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16, 13-14). Lo Spirito è Luce dell’anima: “Lumen cordium”, come lo invochiamo nella Sequenza di Pentecoste.
2. Lo Spirito Santo è stato Luce e Maestro interiore per gli Apostoli che dovevano conoscere Cristo in profondità per poter assolvere il compito di suoi evangelizzatori. Lo è stato e lo è per la Chiesa, e, nella Chiesa, per i credenti di tutte le generazioni e in modo particolare per i teologi e i maestri di spirito, per i catechisti e i responsabili di comunità cristiane. Lo è stato e lo è anche per tutti coloro che, dentro e fuori dei confini visibili della Chiesa, vogliono seguire le vie di Dio con cuore sincero, e senza loro colpa non trovano chi li aiuti a decifrare gli enigmi dell’anima e a scoprire la verità rivelata. Voglia il Signore concedere a tutti i nostri fratelli - milioni e anzi miliardi di uomini - la grazia del raccoglimento e della docilità allo Spirito Santo in momenti che possono essere decisivi nella loro vita.
Per noi cristiani il magistero intimo dello Spirito Santo è una gioiosa certezza, fondata sulla parola di Cristo circa la venuta dell’“altro Paraclito”, che - diceva - “il Padre manderà nel mio nome. Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” (Gv 14, 26). “Egli vi guiderà verso tutta la verità” (Gv 16, 13).
3. Come risulta da questo testo, Gesù non affida la sua parola soltanto alla memoria dei suoi uditori: questa memoria sarà aiutata dallo Spirito Santo, che ravviverà continuamente negli apostoli il ricordo degli eventi e il senso dei misteri evangelici.
Di fatto, lo Spirito Santo ha guidato gli Apostoli nella trasmissione della parola e della vita di Gesù, ispirando sia la loro predicazione orale e i loro scritti, sia la redazione dei Vangeli, come abbiamo visto a suo tempo nella catechesi sullo Spirito Santo e la rivelazione.
Ma è ancora Lui che ai lettori della Scrittura dà l’aiuto per capire il significato divino incluso nel testo di cui Egli stesso è l’ispiratore e l’autore principale: Lui solo può far conoscere “le profondità di Dio” (1 Cor 2, 10), quali sono contenute nel testo sacro; Lui che è stato mandato per istruire i discepoli sugli insegnamenti del loro Maestro (cf. Gv 16, 13).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 24 aprile 1991]
Quali forme assumono i falsi profeti?
Essi sono come “incantatori di serpenti”, ossia approfittano delle emozioni umane per rendere schiave le persone e portarle dove vogliono loro. Quanti figli di Dio sono suggestionati dalle lusinghe del piacere di pochi istanti, che viene scambiato per felicità! Quanti uomini e donne vivono come incantati dall’illusione del denaro, che li rende in realtà schiavi del profitto o di interessi meschini! Quanti vivono pensando di bastare a sé stessi e cadono preda della solitudine!
Altri falsi profeti sono quei “ciarlatani” che offrono soluzioni semplici e immediate alle sofferenze, rimedi che si rivelano però completamente inefficaci: a quanti giovani è offerto il falso rimedio della droga, di relazioni “usa e getta”, di guadagni facili ma disonesti! Quanti ancora sono irretiti in una vita completamente virtuale, in cui i rapporti sembrano più semplici e veloci per rivelarsi poi drammaticamente privi di senso! Questi truffatori, che offrono cose senza valore, tolgono invece ciò che è più prezioso come la dignità, la libertà e la capacità di amare. E’ l’inganno della vanità, che ci porta a fare la figura dei pavoni… per cadere poi nel ridicolo; e dal ridicolo non si torna indietro. Non fa meraviglia: da sempre il demonio, che è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44), presenta il male come bene e il falso come vero, per confondere il cuore dell’uomo. Ognuno di noi, perciò, è chiamato a discernere nel suo cuore ed esaminare se è minacciato dalle menzogne di questi falsi profeti. Occorre imparare a non fermarsi a livello immediato, superficiale, ma riconoscere ciò che lascia dentro di noi un’impronta buona e più duratura, perché viene da Dio e vale veramente per il nostro bene.
[Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2018]
Ardore profetico, Salvezza che non ripete
(Lc 1,57-66.80)
La Salvezza - lo spunto per un’esistenza piena - percorre spazi sempre più vasti e irrompe in modo perentorio, senza mai ripetersi.
Non chiede permessi autorevoli, né aspetta una dimora bella spazzata e adorna.
Entra persino nella Casa (Israele) in cui non si faceva altro che commemorare, senza possibilità di rinnovamento e progresso.
La trasforma, sebbene profumata d’incenso e purezze.
In quell’ambito, purtroppo, l’Attesa si era trasformata in un’abitudine [ad attendere] che ormai non attendeva più nulla.
L’annuncio dei tempi nuovi suscita viceversa gioie contagiose, una voglia di fare e intaccare l’antico recinto abitudinario - sotto tutti gli aspetti della mentalità, d’improvviso non più conforme.
Il cambiamento inaugura un’era di redenzione: concretamente, una vita da salvati.
Traiettoria ora in grado di aprire pertugi sulla grande muraglia delle convenzioni che imbrigliano la libertà di essere e di fare.
Zaccaria [«Dio fa memoria»: il solito Dio e il solito ricordo] genera una Promessa che si sta compiendo sotto gli occhi.
Parola-evento che visita realmente il popolo - qui e ora, ogni alba - imponendo il «nessuno della tua parentela» (v.61) ossia del costume: ecco Johanan [«Dio ha fatto Grazia»].
Il Vivente misericordioso non è più esattamente quello dei culti cruenti e propiziatori al Tempio - bensì delle prospettive, dei dispiegati orizzonti.
Si ritrova leggerezza. Nessun blocco condizionante, né senso di colpa per aver deviato. Nelle sue proposte di vita dilatata, Egli è e resta «Favorevole».
Il Nome da imporre per antica consuetudine veicolava una cultura e un ruolo (persino) dalle venature sacrali, rassicuranti.
Cambiandolo si muta destino. Non ci si cala in una veste, in una parte da recitare; si coglie l’essenza del Volto atteso.
L’Eterno non è Colui che invita a una serie di consuetudini identificate da ricalcare senza tregua: le sue iniziative senza condizioni porgono ogni giorno una decisiva apertura di campo.
L’Altissimo crea e chiama per lo sviluppo, per il meglio e l’ulteriore sovreminente: le categorie di possibilità sono sorvolate!
Le antiche barriere fra Cielo e Terra, fra Tradizione e Manifestazione, stanno per cadere, in favore d’un mondo incline alla vita.
La Redenzione inizia a fare scintille con le scelte da manuale: non si sopportano più.
Anche nel nostro percorso, accettando orizzonti differenti dal previsto consentiamo all’anima divina della storia della salvezza di farci visita.
Ciò affinché l’essenza dei nostri stati profondi si distacchi dal giudizio comune, e risintonizzi su quant’è ancora Sconosciuto ma sentiamo ci appartiene.
In ogni spostamento di sguardo troveremo un altro cosmo, una Bellezza discreta, riservata - nella quale si annida il Segreto per ciascuno, una tappa della piena realizzazione per tutti.
Il Compimento è ora «fortificato in Spirito e nei deserti» invece che secondo usanza, misurata - in luoghi deputati (v.80) dai quali ci si può spingere fuori, perfino in modo irregolare.
[Natività di s. Giovanni Battista, 24 giugno]
Ardore profetico, Salvezza che non ripete
(Lc 1,57-66.80)
La nuova Creazione annunciata in periferia investe il territorio che ancora tergiversa su ciò ch’è certificato, comprovato e tranquillizzante - perché ritenuto (attorno) puro e quotato.
La Salvezza - lo spunto per un’esistenza piena - percorre spazi sempre più vasti e irrompe in modo perentorio, senza mai ripetersi.
Non chiede permessi autorevoli, né aspetta una dimora bella spazzata e adorna.
Entra persino nella Casa (Israele) in cui non si faceva altro che commemorare, senza possibilità di rinnovamento e progresso.
La trasforma, sebbene già profumata d’incenso e purezze.
In quell’ambito, purtroppo, l’Attesa si era trasformata in un’abitudine [ad attendere] che ormai non attendeva più nulla. Ci si tratteneva e basta, senza granché nelle aspettative.
L’annuncio dei tempi nuovi suscita viceversa gioie contagiose, una voglia di fare e intaccare l’antico recinto abitudinario - sotto tutti gli aspetti della mentalità, d’improvviso non più conforme.
Il cambiamento inaugura un’era di redenzione: concretamente, una vita da salvati.
Traiettoria ora in grado di aprire pertugi sulla grande muraglia delle convenzioni che imbrigliano la libertà di essere e di fare.
Zaccaria [«Dio fa memoria»: il solito Dio e il solito ricordo] genera una Promessa che si sta compiendo sotto gli occhi.
Parola-evento che visita realmente il popolo - qui e ora, ogni alba - imponendo il «nessuno della tua parentela» (v.61) ossia del costume - addirittura sacerdotale: ecco Johanan [«Dio ha fatto Grazia»].
Il Vivente misericordioso non è più esattamente quello dei culti cruenti e propiziatori al Tempio, bensì delle prospettive, dei dispiegati orizzonti.
Si ritrova leggerezza. Nessun blocco condizionante, né senso di colpa per aver deviato. Nelle sue proposte di vita dilatata, Egli è e resta «Favorevole».
Il Nome da imporre per antica consuetudine veicolava una cultura e un ruolo (persino) dalle venature sacrali, rassicuranti.
Cambiandolo si muta destino. Non ci si cala in una veste, in una parte da recitare; si coglie l’essenza del Volto atteso.
L’Eterno non è Colui che invita a una serie di pie e arcinote consuetudini rituali identificate, da ricalcare senza tregua. Le sue iniziative senza condizioni porgono ogni giorno una decisiva apertura di campo.
L’Altissimo crea e chiama per lo sviluppo, per il meglio e l’ulteriore sovreminente: le categorie di possibilità sono sorvolate!
Le antiche barriere fra Cielo e Terra, fra Tradizione e Manifestazione, stanno per cadere, in favore d’un mondo incline alla vita.
La Redenzione inizia a fare scintille con le scelte da manuale: non si sopportano più.
Scrive il Tao Tê Ching (xix), che reputa esteriori le più celebrate virtù:
«Insegna che v’è altro cui attenersi: mostrati semplice e mantieniti grezzo».
Commenta il maestro Wang Pi: «Le qualità formali sono del tutto insufficienti».
E il maestro Ho-shang Kung aggiunge: «Tralascia il regolare e il creare dei santi, torna a quel che era al Principio».
Anche nel nostro percorso, accettando orizzonti differenti dal previsto consentiamo all’anima divina della storia della salvezza di farci visita.
Ciò affinché l’essenza dei nostri stati profondi si distacchi dal giudizio comune, e risintonizzi su quant’è ancora Sconosciuto invece che utile - ma sentiamo ci appartiene.
In ogni spostamento di sguardo troveremo un altro cosmo, una Bellezza discreta, riservata.
Essa riconduce al nostro Nucleo naturale, alla Chiamata per Nome nella quale si annida il Segreto per ciascuno, e una tappa della piena realizzazione per tutti.
Il Compimento è ora «fortificato in Spirito e nei deserti» invece che secondo usanza, misurata - in luoghi deputati della liturgia sacerdotale (v.80) dai quali bisogna spingersi fuori, perfino in modo irregolare.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quante volte hai sentito ripetere che non vai bene?
Come ti accorgi dei tempi del Cambiamento di Dio?
Quale sbalordimento hai provato nel tuo cammino spirituale?
Quale differenza hai misurato con le tue aspettative e propositi?
Come pensi di costruire la tua dignità da battistrada?
Quale principio di discernimento viene usato nella tua comunità? Si parte dalla tua irripetibile Vocazione o esiste un cliché assuefatto e omologante, altri nomi che devi ripetere e copiare?
«Cosa pensate che diverrà, questo mio figlio?» [di Teresa Girolami]
Il Vangelo odierno ci presenta la nascita di Giovanni, il profeta di Cristo, e lo stupore degli astanti:
«Che sarà mai questo bambino? E davvero la mano del Signore era con lui» (Lc 1,66).
Nella vita di Francesco, fin dalla nascita, si manifestò su di lui e sulla madre Monna Pica un segno visibile della predilezione di Dio.
Le Fonti evidenziano con chiarezza tutto questo:
“Infatti, fu resa partecipe, come privilegio, di una certa somiglianza con l’antica Santa Elisabetta, sia per il nome imposto al figlio, sia anche per lo spirito profetico.
Quando i vicini manifestavano la loro ammirazione per la generosità d’animo e l’integrità morale di Francesco ripeteva, quasi divinamente ispirata:
«Cosa pensate che diverrà, questo mio figlio? Sappiate, che per i suoi meriti diverrà figlio di Dio».
In realtà, era questa l’opinione anche di altri, che apprezzavano Francesco già grandicello per alcune sue inclinazioni molto buone.
Allontanava da sé tutto ciò che potesse suonare offesa a qualcuno e, crescendo con animo gentile, non sembrava figlio di quelli che erano detti suoi genitori.
Perciò il nome di Giovanni conviene alla missione che poi svolse, quello invece di Francesco alla sua fama, che ben presto si diffuse ovunque, dopo la sua piena conversione a Dio.
Al di sopra della festa di ogni altro santo, riteneva solennissima quella di Giovanni Battista, il cui nome insigne gli aveva impresso nell’animo un segno di arcana potenza.
Tra i nati di donna non sorse alcuno maggiore di quello, e nessuno più perfetto di questo tra i fondatori di ordini religiosi. È una coincidenza degna di essere sottolineata” (FF 583).
[Teresa Girolami]
Secondo quale immagine e somiglianza?
Il nostro sguardo va al quadro di Giulio Romano, sopra all’altare maggiore di questa Chiesa: esso presenta la Sacra Famiglia, con Giovanni il Battista ancora piccolo, l’Apostolo Giacomo e l’Evangelista Marco, questi ultimi già adulti.
Il Battista indica vivacemente con la sinistra il Bambino Gesù, rappresentato nella sua debolezza infantile. Alla domanda dei familiari e dei vicini di Elisabetta e di Zaccaria: “Cosa ne sarà di questo bambino?” il quadro sembra darci questa risposta: Giovanni il Battista indica con tutto il suo atteggiamento Gesù al visitatore Giacomo che gli è vicino; si inchina profondamente nella consapevolezza della sua piccolezza: Non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo a colui che viene dopo di me, ma che è prima di me. Questa parola non ha nulla a che vedere con una falsa umiltà. Il Battista è troppo retto, troppo sobrio per questo. Ha certamente riconosciuto l’impotenza umana meglio della maggior parte degli uomini.
Il predicatore della penitenza che interpella gli uomini nel loro intimo, che li scuote nelle loro certezze e li trasforma, li strappa dalla superficialità di un atteggiamento materialistico puramente terreno, appartiene ancora all’Antica Alleanza, è solo colui che indica la via verso il Regno di Dio; e questo Regno di Dio è vicino, si ode la voce di colui che chiama nel deserto. L’umiltà del Battista è autentica. Ma Dio ha esaltato la piccolezza del Battista con la grandezza del compito affidatogli, anzi, lo aveva già esaltato nel grembo di sua madre: prima ancora di nascere, era infatti già “rinato” dallo Spirito di Cristo. La grandezza umana è niente in confronto alla piccolezza che è chiamata a partecipare della grandezza e della santità di Dio.
Per noi sacerdoti, Giovanni è un modello. Non cerca niente per sé, ma tutto per colui che ora addita. Il bambino rappresenta già in certo qual modo la parola trasmessaci nel quarto Vangelo: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 30). Giovanni doveva condurre gli uomini a Gesù e rendere testimonianza […].
Giovanni e la storia della sua vita sono come una diapositiva sulla quale sono indicati un nome e una verità. Resta oscura finché una fonte luminosa non viene accesa dietro ad essa. Così dice il Vangelo di Giovanni: “Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce” (Gv 1, 8). La luce di Dio è determinante nella sua vita e nella sua missione. Per la sua luce noi diventiamo veggenti, per riconoscere la volontà di Dio. Questa è spesso contraria ai nostri desideri e alla nostra propria volontà. Quando si trattò di dare un nome al neonato Giovanni in occasione della sua circoncisione, era determinante la tradizione: avrebbe ricevuto il nome del padre. Ma Elisabetta decise altrimenti. Conosceva la volontà di Dio e diede al bambino il nome di “Giovanni”, che significa “Dio si dimostra misericordioso”.
Perché dovrebbe essere stato così solo allora?
Tutti possiamo sperimentare nella vita la potenza e la bontà di Dio, quando abbiamo fiducia in lui e ci sforziamo seriamente di compiere la sua volontà. Ma questo richiede da noi umiltà e la consapevolezza che l’uomo non possiede la misura di tutte le cose. Non possiamo considerarci come metro di ogni pensiero, di ogni morale e di ogni diritto. Cediamo troppo facilmente alla convinzione che tutto possa essere fatto, il cielo come la terra, anzi l’uomo stesso, sempre secondo la nostra propria immagine e somiglianza.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia s. Maria dell’Anima 24 giugno 1990]
Try to understand the guise such false prophets can assume. They can appear as “snake charmers”, who manipulate human emotions in order to enslave others and lead them where they would have them go (Pope Francis)
Chiediamoci: quali forme assumono i falsi profeti? Essi sono come “incantatori di serpenti”, ossia approfittano delle emozioni umane per rendere schiave le persone e portarle dove vogliono loro (Papa Francesco)
Every time we open ourselves to God's call, we prepare, like John, the way of the Lord among men (John Paul II)
Tutte le volte che ci apriamo alla chiamata di Dio, prepariamo, come Giovanni, la via del Signore tra gli uomini (Giovanni Paolo II)
Paolo VI stated that the world today is suffering above all from a lack of brotherhood: “Human society is sorely ill. The cause is not so much the depletion of natural resources, nor their monopolistic control by a privileged few; it is rather the weakening of brotherly ties between individuals and nations” (Pope Benedict)
Paolo VI affermava che il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità: «Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli» (Papa Benedetto)
Dear friends, this is the perpetual and living heritage that Jesus has bequeathed to us in the Sacrament of his Body and his Blood. It is an inheritance that demands to be constantly rethought and relived so that, as venerable Pope Paul VI said, its "inexhaustible effectiveness may be impressed upon all the days of our mortal life" (Pope Benedict)
Questa, cari amici, è la perpetua e vivente eredità che Gesù ci ha lasciato nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Eredità che domanda di essere costantemente ripensata, rivissuta, affinché, come ebbe a dire il venerato Papa Paolo VI, possa “imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale” (Papa Benedetto)
The road that Jesus points out can seem a little unrealistic with respect to the common mindset and to problems due to the economic crisis; but, if we think about it, this road leads us back to the right scale of values (Pope Francis)
La strada che Gesù indica può sembrare poco realistica rispetto alla mentalità comune e ai problemi della crisi economica; ma, se ci si pensa bene, ci riporta alla giusta scala di valori (Papa Francesco)
Our commitment does not consist exclusively of activities or programmes of promotion and assistance; what the Holy Spirit mobilizes is not an unruly activism, but above all an attentiveness that considers the other in a certain sense as one with ourselves (Pope Francis)
Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con se stesso (Papa Francesco)
The drama of prayer is fully revealed to us in the Word who became flesh and dwells among us. To seek to understand his prayer through what his witnesses proclaim to us in the Gospel is to approach the holy Lord Jesus as Moses approached the burning bush: first to contemplate him in prayer, then to hear how he teaches us to pray, in order to know how he hears our prayer (Catechism of the Catholic Church n.2598)
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
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