Mag 7, 2025 Scritto da 

“Memoriosi” e: cosa faccio di più?

Il cristiano non cammina da solo: è inserito in un popolo, in una storia secolare ed è chiamato a mettersi al servizio degli altri. «Memoria» e «servizio» sono le parole chiave della riflessione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta giovedì 30 aprile. La storia — e quindi la memoria che si ha di essa — e il servizio sono, ha detto il Pontefice, i «due tratti dell’identità del cristiano» sui quali ci fa riflettere «la liturgia di oggi».

Il richiamo è dato dal brano degli Atti degli apostoli (13, 13-25) in cui si legge che Paolo, arrivando ad Antiochia, «come abitualmente lui faceva, andò il sabato in sinagoga» e lì «fu invitato a parlare». Era questa, infatti, «un’abitudine degli ebrei di quel tempo» quando giungeva un ospite. Presa la parola, Paolo «cominciò a predicare Gesù Cristo». Ma, ha sottolineato il Papa, «lui non disse: “Io predico Gesù Cristo, il Salvatore; è venuto dal Cielo; Dio lo ha inviato; ci ha salvato tutti e ci ha dato questa rivelazione”. No, no, no». Per spiegare chi è Gesù, l’apostolo «incomincia a raccontare tutta la storia del popolo». Si legge allora nella Scrittura: «Si alzò Paolo e fatto cenno con la mano disse: “Ascoltate, il Dio di questo popolo di Israele scelse i nostri padri...”». E, partendo da Abramo, Paolo «racconta tutta la storia».

Non è una scelta casuale. Nella sua riflessione Francesco ha fatto notare come la stessa cosa fece «Pietro nei suoi discorsi, dopo la Pentecoste», e anche «Stefano, davanti al Sinedrio». Loro, cioè, «non annunziavano un Gesù senza storia», ma «Gesù nella storia del popolo, un popolo che Dio ha fatto camminare da secoli per arrivare a questa maturità, alla pienezza dei tempi, come dice Paolo». Da questo racconto si comprende che «quando questo popolo arriva alla pienezza dei tempi, viene il Salvatore, e il popolo continua a camminare perché questo Salvatore tornerà».

Ecco, allora, ha ribadito il Papa, uno dei tratti della identità cristiana: «è essere uomo e donna di storia, capire che la storia non comincia con me e finisce con me». Tutto è cominciato, infatti, quando il Signore è entrato nella storia.

A conforto di quanto detto, il Pontefice ha ricordato il salmo «tanto bello» recitato all’inizio della messa: «Quando avanzavi Signore col tuo popolo e quando gli aprivi la strada e abitavi con loro — ricordo che Dio camminava col suo popolo — tremò la terra, strillarono i Cieli. Ammirabile». Quindi «il cristiano è uomo e donna di storia, perché non appartiene a se stesso, è inserito in un popolo, un popolo che cammina». Da qui l’impossibilità di pensare a «un egoismo cristiano». Non c’è, cioè, il cristiano perfetto, «un uomo, una donna spirituale di laboratorio», ma sempre un uomo o una donna spirituali inseriti «in un popolo, che ha una storia lunga e continua a camminare fino a che il Signore torni».

Proprio guardando a questa vicenda concreta che si è dipanata nei secoli e che continua ancora oggi, il Pontefice ha aggiunto che se assumiamo «di essere uomini e donne di storia», ci rendiamo anche conto che questa è «storia di grazia di Dio, perché Dio avanzava col suo popolo, apriva la strada, abitava con loro». Ma è anche «storia di peccato». E ha ricordato il Papa: «Quanti peccatori, quanti crimini...». Anche nel brano degli Atti degli apostoli, ad esempio, «Paolo menziona il re Davide, santo», ma che «prima di diventare santo è stato un grande peccatore». E questo, ha sottolineato, vale «anche oggi» quando la «storia personale di ognuno» deve assumere «il proprio peccato e la grazia del Signore che è con noi». Dio infatti ci accompagna nel peccato «per perdonare», ci accompagna «nella grazia».

È quindi una realtà molto concreta che attraversa i secoli, quella richiamata da Francesco nell’omelia: «Noi — ha detto — non siamo senza radici», abbiamo «radici profonde» che non dobbiamo mai dimenticare e che vanno dal «nostro padre Abramo fino ad oggi».

Comprendere però che non siamo soli, che siamo strettamente legati a un popolo che cammina da secoli significa anche comprendere un altro tratto caratteristico del cristiano e che è «quello che Gesù ci insegna nel Vangelo: il servizio». Nel brano di Giovanni proposto dalla liturgia del giovedì della quarta settimana di Pasqua, «Gesù lava i piedi ai discepoli. E dopo che ebbe lavato i piedi, disse loro: “In verità, in verità io vi dico, un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. Io ho fatto questo con voi, voi fate lo stesso con gli altri. Io sono venuto da voi come servo, voi dovete farvi servi l’uno dell’altro, servire”».

Appare chiaro, ha evidenziato il Pontefice, che «l’identità cristiana è il servizio, non l’egoismo». Qualcuno, ha detto, potrebbe ribattere: «Ma padre, tutti siamo egoisti», ma questo «è un peccato, è un’abitudine dalla quale dobbiamo staccarci»; dobbiamo allora «chiedere perdono, che il Signore ci converta». Essere cristiano, infatti, «non è un’apparenza o anche una condotta sociale, non è un po’ truccarsi l’anima, perché sia un po’ più bella». Essere cristiano, ha detto con decisione il Papa, «è fare quello che ha fatto Gesù: servire. Lui è venuto non per essere servito, ma per servire».

Da qui alcuni suggerimenti del Pontefice per la vita quotidiana di ciascuno di noi. Innanzitutto, «pensate a queste due cose: io ho senso della storia? Mi sento parte di un popolo che cammina da lontano?». Utile potrebbe essere «prendere la Bibbia, il Libro del Deuteronomio, capitolo 26, e leggerlo». Qui, ha detto, s’incontra «la memoria, la memoria dei giusti» e «come il Signore vuole che noi siamo “memoriosi”», che ricordiamo, cioè, «il cammino percorso dal nostro popolo». E poi ci farà anche bene pensare: «nel mio cuore cosa faccio di più? Mi faccio servire dagli altri, mi servo degli altri, della comunità, della parrocchia, della mia famiglia, dei miei amici o servo, sono al servizio»?

«Memoria e servizio», quindi, sono i due atteggiamenti del cristiano, quelli con i quali anche si partecipa alla celebrazione eucaristica «che è proprio memoria del servizio che ha fatto Gesù; memoria reale, con Lui, del servizio che ci ha reso: dare la sua vita per noi».

[Papa Francesco, omelia s. Marta in L’Osservatore Romano 01/05/2015]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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St Teresa of Avila wrote: “the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ” (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7) [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6) [Papa Benedetto]
Dear friends, the mission of the Church bears fruit because Christ is truly present among us in a quite special way in the Holy Eucharist. His is a dynamic presence which grasps us in order to make us his, to liken us to him. Christ draws us to himself, he brings us out of ourselves to make us all one with him. In this way he also inserts us into the community of brothers and sisters: communion with the Lord is always also communion with others (Pope Benedict)
Cari amici, la missione della Chiesa porta frutto perché Cristo è realmente presente tra noi, in modo del tutto particolare nella Santa Eucaristia. La sua è una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a Sé. Cristo ci attira a Sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui. In questo modo Egli ci inserisce anche nella comunità dei fratelli: la comunione con il Signore è sempre anche comunione con gli altri (Papa Benedetto)
Jesus asks us to abide in his love, to dwell in his love, not in our ideas, not in our own self-worship. Those who dwell in self-worship live in the mirror: always looking at themselves. He asks us to overcome the ambition to control and manage others. Not controlling, serving them (Pope Francis)
Gesù ci chiede di rimanere nel suo amore, abitare nel suo amore, non nelle nostre idee, non nel culto di noi stessi. Chi abita nel culto di sé stesso, abita nello specchio: sempre a guardarsi. Ci chiede di uscire dalla pretesa di controllare e gestire gli altri. Non controllare, servirli (Papa Francesco)
In this passage, the Lord tells us three things about the true shepherd:  he gives his own life for his sheep; he knows them and they know him; he is at the service of unity [Pope Benedict]
In questo brano il Signore ci dice tre cose sul vero pastore: egli dà la propria vita per le pecore; le conosce ed esse lo conoscono; sta a servizio dell'unità [Papa Benedetto]
Jesus, Good Shepherd and door of the sheep, is a leader whose authority is expressed in service, a leader who, in order to command, gives his life and does not ask others to sacrifice theirs. One can trust in a leader like this (Pope Francis)
Gesù, pastore buono e porta delle pecore, è un capo la cui autorità si esprime nel servizio, un capo che per comandare dona la vita e non chiede ad altri di sacrificarla. Di un capo così ci si può fidare (Papa Francesco)
In today’s Gospel passage (cf. Jn 10:27-30) Jesus is presented to us as the true Shepherd of the People of God. He speaks about the relationship that binds him to the sheep of the flock, namely, to his disciples, and he emphasizes the fact that it is a relationship of mutual recognition […] we see that Jesus’ work is explained in several actions: Jesus speaks; Jesus knows; Jesus gives eternal life; Jesus safeguards (Pope Francis)
Nel Vangelo di oggi (cfr Gv 10,27-30) Gesù si presenta come il vero Pastore del popolo di Dio. Egli parla del rapporto che lo lega alle pecore del gregge, cioè ai suoi discepoli, e insiste sul fatto che è un rapporto di conoscenza reciproca […] vediamo che l’opera di Gesù si esplica in alcune azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce (Papa Francesco)

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