don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lunedì, 09 Giugno 2025 03:44

Capaci di un nuovo inizio

«Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» - si legge nel Libro del Levitico (19,1). Con queste parole, e i precetti che ne conseguono, il Signore invitava il popolo che si era scelto ad essere fedele all’alleanza con Lui camminando sulle sue vie e fondava la legislazione sociale sul comandamento «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18). Se ascoltiamo, poi, Gesù, nel quale Dio ha assunto un corpo mortale per farsi prossimo di ogni uomo e rivelare il suo amore infinito per noi, ritroviamo quella stessa chiamata, quello stesso audace obiettivo. Dice, infatti, il Signore: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Ma chi potrebbe diventare perfetto? La nostra perfezione è vivere con umiltà come figli di Dio compiendo concretamente la sua volontà. San Cipriano scriveva che «alla paternità di Dio deve corrispondere un comportamento da figli di Dio, perché Dio sia glorificato e lodato dalla buona condotta dell’uomo» (De zelo et livore, 15: CCL 3a, 83).

In che modo possiamo imitare Gesù? Gesù stesso dice: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44-45). Chi accoglie il Signore nella propria vita e lo ama con tutto il cuore è capace di un nuovo inizio. Riesce a compiere la volontà di Dio: realizzare una nuova forma di esistenza animata dall’amore e destinata all’eternità. L’apostolo Paolo aggiunge: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Cor 3,16). Se siamo veramente consapevoli di questa realtà, e la nostra vita ne viene profondamente plasmata, allora la nostra testimonianza diventa chiara, eloquente ed efficace. Un autore medievale ha scritto: «Quando l’intero essere dell’uomo si è, per così dire, mescolato all’amore di Dio, allora lo splendore della sua anima si riflette anche nell’aspetto esteriore» (Giovanni Climaco, Scala Paradisi, XXX: PG 88, 1157 B), nella totalità della vita. «Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3).

[Papa Benedetto, Angelus 20 febbraio 2011]

Lunedì, 09 Giugno 2025 03:39

Non cedere ai meccanismi

1. "Ecco, noi saliamo a Gerusalemme" (Mc 10, 33). Con queste parole il Signore invita i discepoli a percorrere con Lui il cammino che dalla Galilea conduce al luogo dove si consumerà la sua missione redentrice. Questo cammino verso Gerusalemme, che gli Evangelisti presentano come il coronamento dell'itinerario terreno di Gesù, costituisce il modello della vita del cristiano, impegnato a seguire il Maestro sulla via della Croce. Anche agli uomini e alle donne di oggi Cristo rivolge l'invito a "salire a Gerusalemme". Lo rivolge con forza particolare in Quaresima, tempo favorevole per convertirsi e ritrovare la piena comunione con Lui, partecipando intimamente al mistero della sua morte e risurrezione.  

La Quaresima, pertanto, rappresenta per i credenti l'occasione propizia di una profonda revisione di vita. Nel mondo contemporaneo, accanto a generosi testimoni del Vangelo, non mancano battezzati che, dinanzi all'esigente appello ad intraprendere la "salita verso Gerusalemme", assumono un atteggiamento di sorda resistenza ed a volte anche di aperta ribellione. Sono situazioni in cui l'esperienza della preghiera è vissuta in modo piuttosto superficiale, così che la parola di Dio non incide nell'esistenza. Lo stesso Sacramento della Penitenza è ritenuto da molti insignificante e la Celebrazione eucaristica domenicale soltanto un dovere da assolvere. 

Come accogliere l'invito alla conversione che Gesù ci rivolge anche in questa Quaresima? Come realizzare un serio cambiamento di vita? Occorre innanzitutto aprire il cuore ai toccanti messaggi della liturgia. Il periodo che prepara alla Pasqua rappresenta un provvidenziale dono del Signore ed una preziosa possibilità per avvicinarsi a Lui, rientrando in se stessi e mettendosi in ascolto dei suoi interiori suggerimenti. 

2. Ci sono cristiani che pensano di poter fare a meno di tale costante sforzo spirituale, perché non avvertono l'urgenza di confrontarsi con la verità del Vangelo. Essi tentano di svuotare e rendere innocue, perché non turbino il loro modo di vivere, parole come: "Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano" (Lc 6, 27). Tali parole, per queste persone, risuonano quanto mai difficili da accettare e da tradurre in coerenti comportamenti di vita. Sono infatti parole che, se prese sul serio, obbligano ad una radicale conversione. Invece, quando si è offesi e feriti, si è tentati di cedere ai meccanismi psicologici dell'autocompassione e della rivalsa, ignorando l'invito di Gesù ad amare il proprio nemico. Eppure le vicende umane d'ogni giorno mettono in luce, con grande evidenza, quanto il perdono e la riconciliazione siano irrinunciabili per porre in essere un reale rinnovamento personale e sociale. Questo vale nelle relazioni interpersonali, ma anche nei rapporti fra comunità e fra nazioni. 

[Papa Giovanni Paolo II, Messaggio per la Quaresima 2001]

Lunedì, 09 Giugno 2025 03:28

Il buon affare

Amare i nostri nemici, quelli che ci perseguitano e ci fanno soffrire, è difficile e non è neppure un “buon affare” perché ci impoverisce. Eppure è questa la strada indicata e percorsa da Gesù per la nostra salvezza […]

Durante l’omelia il Pontefice ha ricordato che la liturgia in questi giorni propone di riflettere sui parallelismi fra «la legge antica e la legge nuova, la legge del monte Sinai e la legge del monte delle beatitudini». Entrando nello specifico delle letture — tratte dalla seconda lettera di san Paolo ai Corinzi (8, 1-9) e dal vangelo di Matteo (5, 43-48) — il Santo Padre si è soffermato sulla difficoltà dell’amore ai nemici e chiedendosi come sia possibile perdonare ha aggiunto: «Anche noi, tutti noi, abbiamo nemici, tutti. Alcuni nemici deboli, alcuni forti. Anche noi tante volte diventiamo nemici di altri; non gli vogliamo bene. Gesù ci dice dobbiamo amare i nemici».

Non si tratta di un impegno facile e, in genere, «pensiamo che Gesù ci chiede troppo. Pensiamo: “Lasciamo queste cose alle suore di clausura che sono sante, a qualche anima santa!”». Ma non è l’atteggiamento giusto. «Gesù — ha ricordato il Papa — dice che si deve fare questo perché altrimenti siete come i pubblicani, come i pagani, e non siete cristiani». Di fronte ai tanti drammi che segnano l’umanità, ha ammesso, è difficile fare questa scelta: come si può amare, infatti, «quelli che prendono la decisione di fare un bombardamento e ammazzare tante persone? Come si possono amare quelli che per amore dei soldi non lasciano arrivare le medicine a chi ne ha bisogno, agli anziani, e li lasciano morire?». E ancora: «Come si possono amare le persone che cercano solo il loro interesse, il loro potere e fanno tanto male?».

Io non so — ha affermato il vescovo di Roma — «come si possa fare. Ma Gesù ci dice due cose: primo, guardare al Padre. Nostro Padre è Dio: fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni; fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Nostro Padre al mattino non dice al sole: “Oggi illumina questi e questi; questi no, lasciali nell’ombra!” Dice: “Illumina tutti”. Il suo amore è per tutti, il suo amore è un dono per tutti, buoni e cattivi. E Gesù finisce con questo consiglio: “Voi dunque siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste”». Dunque l’indicazione di Gesù è di imitare il Padre in «quella perfezione dell’amore. Lui perdona ai suoi nemici. Fa tutto per perdonarli. Pensiamo con quanta tenerezza Gesù riceve Giuda nell’orto degli ulivi», quando tra i discepoli c’è chi pensa alla vendetta.

«La vendetta — ha detto in proposito il Pontefice — è quel pasto tanto buono quando si mangia freddo» e per questo attendiamo il momento giusto per compierla. «Ma questo — ha ripetuto — non è cristiano. Gesù ci chiede di amare i nemici. Come si può fare? Gesù ci dice: pregate, pregate per i vostri nemici». La preghiera fa miracoli e ciò vale non solo quando siamo in presenza di nemici; vale anche quando nutriamo qualche antipatia, «qualche piccola inimicizia». E allora bisogna pregare, perché «è come se il Signore venisse con l’olio e preparasse i nostri cuori alla pace».

Ma — ha aggiunto il Papa rivolgendosi ai presenti — «ora vorrei lasciarvi una domanda, alla quale ciascuno può rispondere in cuor suo: io prego per i miei nemici? Io prego per quelli che non mi vogliono bene? Se noi diciamo di sì, io vi dico: vai avanti, prega di più, perché questa è una buona strada. Se la risposta è no, il Signore dice: Poveretto! Anche tu sei nemico degli altri! E allora bisogna pregare perché il Signore cambi i loro cuori».

Il Papa ha poi messo in guardia da atteggiamenti tesi a giustificare la vendetta a seconda del grado dell’offesa ricevuta, del male fatto da altri: la vendetta, cioè, fondata sul principio «occhio per occhio, dente per dente». Dobbiamo guardare ancora all’esempio di Gesù: «Conoscete infatti la grazia di cui parla oggi l’apostolo Paolo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. È vero: l’amore ai nemici ci impoverisce, ci fa poveri, come Gesù, il quale, quando è venuto, si è abbassato sino a farsi povero». Forse non è un “buon affare”, ha aggiunto il Pontefice, o almeno non lo è secondo le logiche del mondo. Eppure, «è la strada che ha fatto Dio, la strada che ha fatto Gesù», sino a conquistarci la grazia che ci ha fatto ricchi.

Questo «è il mistero della salvezza: con il perdono, con l’amore per il nemico noi diventiamo più poveri. Ma quella povertà è seme fecondo per gli altri, come la povertà di Gesù è diventata grazia per tutti noi, salvezza. Pensiamo ai nostri nemici, a chi non ci vuole bene. Sarebbe bello se offrissimo la messa per loro, se offrissimo il sacrificio di Gesù per loro che non ci amano. E anche per noi, perché il Signore ci insegni questa saggezza: tanto difficile ma anche tanto bella e ci rende simili anche al suo Figlio, che nel suo abbassamento si è fatto povero per arricchire noi della sua povertà».

[Papa Francesco, meditazione a s. Marta, in L’Osservatore Romano 19/06/2013]

Domenica, 08 Giugno 2025 04:32

Vuoi passare avanti? Accomodati

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne

(Mt 5,38-42)

 

«Altra guancia»: clima dell’inventiva.

Non opporsi al malvagio consente di sperimentare le Beatitudini, antidoto ai rapporti unilaterali; ma ciò è impossibile, se non lasciamo si sviluppi una Energia innata.

Nel contraccambio infinitamente ripetuto non c’è saggezza che ‘legge dentro’; nel rovesciamento, sì.

 

La nuova esperienza di Dio è quella d’un Amore creativo genuino, che senza posa butta all’aria, introduce nuove potenze, e incredibilmente capovolge tutto.

Fuori e dentro di noi esiste un altro Territorio, dove l’affinità dell’Attesa incontra il Disegno di Dio: ciò dopo un tempo di Silenzio che vive intensamente l’Oggi cogliendone la profondità, intuendolo come radice imprevedibile del Domani.

C’è un diverso ‘regno’, dove l’accondiscendenza incontra nuove spinte, cosmiche e acutamente personali; Profilo del Vivente.

Ciò senza precipitazione: dopo una «energia di pausa», virtù che si fa radice e linfa del futuro più esclusivo.

 

La fermezza nella tribolazione accettata diventa Seme di un nuovo Figlio, d’una Genesi impensata, che sta appena intrecciando le sue prime radici proprio in quel terreno paludoso.

L’attesa di Dio apre il nostro destino di stoltezze senza tregua e già decretate, alla fiducia in una nuova Linfa e Potenza.

Spalanca il Senso che non t’aspetti, in un clima d’inventiva che sorvola l’istinto azione-reazione [affinché la catena delle normalità non prenda il sopravvento sul mistero della nostra Identità-carattere e Destinazione].

 

La non-violenza non è una norma, bensì una Freccia superiore, che indica una direzione di Ricerca, la quale avanza di scoperta in scoperta.

La vita davvero esemplare è sempre di altro genere, fuori del comune.

Lasciare che anche gli opportunisti passino avanti crea il giusto distacco, affinché avvenga un nuovo Atto d’Essere, irripetibile.

Quando saremo pronti ci accorgeremo che la nostra mortificazione era un crocevia: essa ha inopinatamente spalancato il destino a una speranza meno corta, dilatando la vita.

Se gli altri non sono come abbiamo sognato, è una fortuna: le porte sbattute in faccia e il loro pungolo stanno preparandoci ben altre gioie.

 

L’avventura della Fede estrema è per una Bellezza che ferisce - acuendo la percezione, spostando lo sguardo, dilatando il cuore - e per una Gioia anormale, prominente.

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne.

Dice il Tao Tê Ching: «I nuovi inizi sono spesso camuffati da dolorose perdite [ma] ciò ch’è cedevole sopraffà ciò ch’è duro. Il lento sorpassa il veloce».

Solo chi sa attendere trova la sua Via.

 

 

[Lunedì 11.a sett. T.O. 16 giugno 2025]

Domenica, 08 Giugno 2025 04:28

Vuoi passare avanti? Accomodati

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne

(Mt 5,38-42)

 

«Altra guancia»: clima dell’inventiva.

Non opporsi al malvagio consente di sperimentare le Beatitudini, antidoto ai rapporti unilaterali; ma ciò è impossibile, se non lasciamo si sviluppi una Energia innata.

Dice il Tao: «Se vuoi che ti sia dato tutto, molla tutto». Nel contraccambio infinitamente ripetuto non c’è saggezza che “legge dentro”; nel rovesciamento, sì.

[Per questo motivo, ad es. il testo di Lc 6,27-38 non parla di ‘meriti’ (cf. traduzione CEI 1974) e neppure di ‘gratitudine’ (traduzione CEI 2008), bensì di «Gratuità» (vv.31.33-34)].

Certo, non è semplice capire il senso del Dono, del Gratis: ma il Maestro non vuole che diventiamo solo più capaci di ringraziare e ben educati.

Gesù in noi non si occupa semplicemente di cambiare la situazione e ingentilirla: vuole rimpiazzare l’intero sistema delle cose spurie e delle relazioni artificiose - di maniera.

Altrimenti nulla verrebbe modificato, niente s’invertirebbe radicalmente; tutt’altro: nel buonismo di circostanza le sovrastrutture che ci alienano si rafforzerebbero.

La nuova esperienza di Dio è quella d’un Amore creativo genuino, che senza posa butta all’aria, introduce nuove potenze, e incredibilmente capovolge tutto.

 

C’è una Giustizia più grande: vivere nella nuova posizione che la marea della vita e la Provvidenza cesellano per ciascuno di noi.

Non sarà lo sforzo che ci farà stare dove la Vocazione (davvero perfetta) vuole che dimoriamo, ma una lenta corrispondenza - anche nelle altalene.

Fuori e dentro di noi esiste un altro territorio, dove l’affinità dell’Attesa incontra il Disegno di Dio: ciò dopo un tempo di Silenzio che vive intensamente l’Oggi cogliendone la profondità, intuendolo come radice imprevedibile del Domani.

C’è un diverso Regno, dove l’accondiscendenza incontra nuove spinte, cosmiche e acutamente personali; Profilo del Vivente.

In tal guisa, eccoci senza precipitazione: dopo una energia di pausa, virtù che si fa radice e linfa del futuro più esclusivo.

La spirale del restituire l’offesa può occupare tutto il nostro spazio. Così smorza la capacità di corrispondere al tintinnio nuovo della Chiamata.

Ci toglie percezione, l’intero Ascolto della Novità di Dio che è agli albori.

Generando confusioni tutte nostre, impallidisce la Storia di Salvezza che sta viceversa creando un inedito: la si taglia in radice.

Per questo motivo il Signore ordina di sovvertire le consuetudini della religiosità antica, del suo stesso impeto; delle divisioni interessate [accettabile o meno, amici o nemici, vicini o lontani, puro e impuro, sacro e profano, etc.].

Il Regno divino parte dal Seme, non dalla gestualità esteriore o dalle forme; né usa edulcoranti conformisti, che lasciano intatti i ruoli.

Per cogliere il ritmo stesso di Dio (che sapientemente crea) le anime devono prendere il passo delle cose, le quali maturano in termini lineari sino a che rovesciano o moltiplicano - in modo non già “stampato”, bensì personale.

Gli accadimenti stessi rigenerano in modo spontaneo, fuori e persino dentro di noi; inutile forzare.

La crescita e destinazione permane anche grazie alla molla di beffe e costrizioni esterne.

Nel Tao Tê Ching si legge: «Se vuoi ottenere qualcosa, devi prima permettere che sia dato ad altri». La fioritura sarà senza forzature.

Allora, la fermezza nella tribolazione, nell’accettazione e nella sopportazione di profittatori, superficiali e vanitosi diventa scaturigine di un nuovo figlio, d’una Genesi impensata che sta appena intrecciando le sue prime radici proprio con quel terreno paludoso.

 

Dai lingotti non nasce nulla, dagli ostinati nascono le solite cose, dai precipitosi l’esatto contrario; dal letame nascono i fiori nuovi, che neanche abbiamo piantato.

La sospensione vissuta nel Mistero apre il nostro destino di stoltezze già decretate alla fiducia in un nuovo Atto d’Essere, irripetibile.

Spalanca il Senso che non t’aspetti, in un clima d’inventiva che sorvola l’istinto azione-reazione - affinché la catena delle normalità non prenda il sopravvento sul prodigio dell’Identità vocazionale, del nostro carattere e realizzazione.

La non-violenza non è dunque una norma di sola squisitezza d’animo, bensì una Freccia superiore, che indica una direzione di Ricerca non meccanica, la quale avanza di scoperta in scoperta.

La vita davvero esemplare è sempre di altro genere, fuori dal comune.

Appunto, lasciare che tutti, anche gli opportunisti [e gli attori della santità] passino avanti, non ci mette subito in sella o in vetrina, ma infine neppure ci farà pagare troppo di persona.

Crea il giusto distacco perché quando saremo pronti giunga il tempo in cui ci accorgeremo che la nostra mortificazione era un crocevia: ci ha aperto il destino a una speranza meno corta, dilatando la vita.

Dice il Tao: «I nuovi inizi sono spesso camuffati da dolorose perdite [ma] ciò ch’è cedevole sopraffà ciò ch’è duro. Il lento sorpassa il veloce».

Se gli altri non sono come abbiamo sognato, è una fortuna: le porte sbattute in faccia e il loro pungolo mettono in contatto con le nostre virtù profonde, e con risorse cui non abbiamo ancora dato spazio.

 

Tradimenti, soprusi, dispetti, vendette, oltraggi, mortificazioni… che vorrebbero renderci inquieti e avvilirci… stanno preparando il nostro sviluppo.

L’avventura della Fede estrema è infatti per una Bellezza che ferisce e una Felicità anormale, prominente. Ma solo chi sa attendere trova la sua Via.

 

Il Primo Testamento riconosceva il principio di giustizia ‘uno vale uno’ nel diritto di vendetta.

In tal guisa arginando nel limite della parità il volume della ritorsione e lo strapotere dei forti [la loro eventuale violenza cieca a seguito d’inezie] sui deboli.

Ma non basta questo a non pervertire le relazioni e consentire al Padre di proporci una speciale realizzazione-configurazione, la quale impone ‘Sospensioni’ dalla spirale omologante.

Generando confusioni tutte nostre, impallidisce proprio quella storia di salvezza che sta viceversa creando un inedito: la si taglia in radice.

Il gorgo del restituire l’offesa può occupare tutto il nostro spazio e tempo.

Così tale vortice smorza la capacità di corrispondere al tintinnio nuovo della Chiamata.

Ci toglie il silenzio, la cura, l’Ascolto della Novità di Dio che sta germogliando.

La fermezza nella tribolazione, nell’accettazione e nella sopportazione di profittatori, superficiali e vanitosi diventa Seme di un nuovo figlio, d’una Genesi impensata, che sta appena intrecciando le sue prime radici proprio in quel terreno paludoso.

Dai ‘perfetti’ e ‘brillanti’ non nasce nulla, dagli ostinati nascono le solite cose, dai precipitosi l’esatto contrario; dal letame nascono i fiori nuovi, che neanche abbiamo piantato.

 

L’attesa di Dio apre il nostro destino di stoltezze senza tregua e già decretate, alla fiducia in una nuova Linfa e Potenza.

Spalanca il Senso che non t’aspetti, in un clima d’inventiva che sorvola l’istinto azione-reazione, affinché la catena delle normalità non prenda il sopravvento sul mistero della nostra Identità-carattere e Destinazione.

La non-violenza non è una norma, bensì una Freccia superiore, che indica una direzione di Ricerca, la quale avanza di scoperta in scoperta.

La vita davvero esemplare è sempre di altro genere, fuori del comune.

Lasciare che tutti passino avanti, non ci mette in sella o in vetrina, ma infine neppure ci farà pagare troppo di persona e di senso.

Crea il giusto distacco perché quando saremo pronti giunga il tempo in cui ci accorgeremo che la nostra umiliazione era un discrimine, un punto critico.

Essa ha inopinatamente spalancato il destino a una speranza meno corta, dilatando la vita.

Avverrà un nuovo Atto d’Essere, irripetibile.

Se gli altri non sono come abbiamo sognato, è una fortuna: le porte sbattute in faccia e il loro pungolo stanno preparandoci ben altre gioie.

L’avventura della Fede estrema è per una Bellezza che ferisce - acuendo la percezione, spostando lo sguardo, dilatando il cuore - e per una Gioia anormale, prominente.

 

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne.

Domenica, 08 Giugno 2025 04:25

Rivoluzione senza strategie

Il Vangelo […] contiene una delle parole più tipiche e forti della predicazione di Gesù: "Amate i vostri nemici" (Lc 6,27). E’ tratta dal Vangelo di Luca, ma si trova anche in quello di Matteo (5,44), nel contesto del discorso programmatico che si apre con le famose "Beatitudini". Gesù lo pronunciò in Galilea, all’inizio della sua vita pubblica: quasi un "manifesto" presentato a tutti, sul quale Egli chiede l’adesione dei suoi discepoli, proponendo loro in termini radicali il suo modello di vita. Ma qual è il senso di questa sua parola? Perché Gesù chiede di amare i propri nemici, cioè un amore che eccede le capacità umane? In realtà, la proposta di Cristo è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo "di più" viene da Dio: è la sua misericordia, che si è fatta carne in Gesù e che sola può "sbilanciare" il mondo dal male verso il bene, a partire da quel piccolo e decisivo "mondo" che è il cuore dell’uomo.

Giustamente questa pagina evangelica viene considerata la magna charta della nonviolenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male – secondo una falsa interpretazione del "porgere l’altra guancia" (cfr Lc 6,29) – ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia. Si comprende allora che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della "rivoluzione cristiana", una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico. La rivoluzione dell’amore, un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane, ma è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa. Ecco la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore. Ecco l’eroismo dei "piccoli", che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita.

Cari fratelli e sorelle, la Quaresima, che inizierà mercoledì prossimo con il rito delle Ceneri, è il tempo favorevole nel quale tutti i cristiani sono invitati a convertirsi sempre più profondamente all’amore di Cristo. Domandiamo alla Vergine Maria, docile discepola del Redentore, che ci aiuti a lasciarci conquistare senza riserve da quell’amore, ad imparare ad amare come Lui ci ha amato, per essere misericordiosi come è misericordioso il nostro Padre che è nei cieli (cfr Lc 6,36).

[Papa Benedetto, Angelus 18 febbraio 2007]

Domenica, 08 Giugno 2025 04:21

Saliamo su il Monte

1. Venite, saliamo sul monte...(Is 2,3; cf. Mi 4,2). Ascoltiamo oggi questo invito del profeta e lo rileggiamo come un imperativo interiore: l’imperativo della coscienza e l’imperativo del cuore. Il giorno 18 maggio ci obbliga moralmente a venire su questo monte; a fermarci con la preghiera sulle labbra davanti alle tombe dei soldati qui caduti; a guardare le mura del monastero che allora – trentacinque anni fa – fu ridotto in macerie; a ricordare quegli avvenimenti; a cercare, ancora una volta, di trarne un insegnamento per il futuro.

Camminiamo qui sulle tracce di una grande battaglia, una di quelle che hanno dato il colpo decisivo all’ultima guerra in Europa, alla seconda grande guerra mondiale. Questa guerra, negli anni 1939-1945, ha coinvolto quasi tutte le Nazioni e gli Stati del nostro continente, ha coinvolto nella sua orbita anche le potenze extra europee, ha manifestato i vertici dell’eroismo dei militari, ma ha svelato anche il pericoloso volto della crudeltà umana, ha lasciato dietro di sé le tracce dei campi di sterminio, ha tolto la vita a milioni di esseri umani, ha distrutto i frutti del lavoro di molte generazioni. È difficile enumerare tutte le calamità che con essa si abbatterono sull’uomo manifestandogli – al suo termine – anche la possibilità, attraverso i mezzi della più moderna tecnica degli armamenti, di un eventuale futuro annientamento di massa, di fronte al quale impallidiscono le distruzioni del passato.

2. Chi ha condotto questa guerra? Chi ha compiuto l’opera di distruzione? Gli uomini e le Nazioni. Questa era una guerra delle Nazioni europee pur legate fra di loro dalle tradizioni di una grande cultura: scienza ed arte profondamente radicate nel passato dell’Europa cristiana. Gli uomini e le Nazioni: questa era la loro guerra; e, come fu loro la vittoria e la sconfitta, così anche gli effetti di questo conflitto ad essi appartengono.

Perché hanno combattuto gli uni contro gli altri, uomini e nazioni? Sicuramente non li hanno spinti a questa terribile strage fratricida le verità del Vangelo e le tradizioni della grande cultura cristiana.

Sono stati coinvolti dalla guerra con la forza di un sistema che, in antitesi al Vangelo e alle tradizioni cristiane, era stato imposto ad alcuni popoli con spietata violenza come un programma, costringendo, al tempo stesso, gli altri ad opporre resistenza con le armi in pugno. In lotte gigantesche quel sistema subì una sconfitta definitiva. Il giorno 18 maggio è stato una delle tappe decisive di quella sconfitta.

Trovandoci a Montecassino nel XXXV anniversario di quel giorno, desideriamo, attraverso l’eloquente rievocazione di quella giornata, comprendere davanti a Dio, e alla storia, il significato di tutta la terribile esperienza della seconda guerra mondiale. Ciò non è facile; anzi, in un certo qual modo, diventa impossibile esprimere in brevi parole ciò che è stato oggetto di tante ricerche, di studi e di monografie, e certamente lo sarà ancora per lungo tempo. Tutta la nostra generazione è sopravvissuta a questa guerra, la quale ha gravato sulla sua maturazione e sul suo sviluppo, ma continua a vivere tuttora nell’orbita delle conseguenze di un tale conflitto. Non è dunque facile parlare di un problema che ha nella vita di noi tutti una dimensione tanto profonda. Di un problema ancora vivo e legato in un certo senso al sangue e al dolore di tanti cuori e di tante Nazioni.

3. Tuttavia, se ci sforziamo di comprendere tale problema dinanzi a Dio e alla storia, allora più che qualsiasi regolamento di conti col passato, prendono rilievo gli insegnamenti per il futuro. Questi si impongono con grande forza, dal momento che la storia non è soltanto il grande poligono degli avvenimenti, ma è anche soprattutto un libro aperto di quegli insegnamenti stessi; essa è fonte della sapienza della vita per gli uomini e per le Nazioni.

Quanto rileggiamo in questo libro, così dolorosamente aperto dinanzi a noi, ci conduce all’ardente preghiera, al fervente grido per la riconciliazione e per la pace. Siamo venuti qui, soprattutto, per pregare per questo, e per questo gridare a Dio e agli uomini. Poiché però la pace sulla terra dipende dalla buona volontà degli uomini, è difficile non riflettere, almeno brevemente, in quale direzione devono orientarsi tutti gli sforzi delle persone di buona volontà bisogna che tali siano tutti se vogliamo assicurare questo grande bene della pace e della riconciliazione per noi e per le generazioni future.

Il Vangelo di oggi contrappone due programmi. Uno basato sul principio dell’odio, della vendetta e della lotta. Un altro sulla legge dell’amore. Cristo dice: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5,44). È una grande esigenza.

Coloro che sono sopravvissuti alla guerra, come noi, che si sono incontrati con l’occupazione, con la crudeltà, con la violazione di tutti i diritti umani, la più brutale, sanno quanto grave e difficile sia questa esigenza. Eppure, dopo così terribili esperienze come l’ultima guerra, diventiamo ancor più consapevoli che sul principio che dice: “occhio per occhio e dente per dente” (Mt 5,38) e sul principio dell’odio, della vendetta, della lotta, non si può costruire la pace e la riconciliazione tra gli uomini e tra le Nazioni; essa soltanto si può costruire sul principio della giustizia e dell’amore reciproco. E perciò fu questa la conclusione che, dalle esperienze della seconda guerra mondiale, ha tratto l’Organizzazione delle Nazioni Unite, proclamando la “Carta dei diritti dell’uomo”. Soltanto sulla base del pieno rispetto dei diritti degli uomini e dei diritti delle Nazioni – del pieno rispetto! – può essere costruita, in futuro, la pace e la riconciliazione dell’Europa e del mondo.

4. Preghiamo, quindi, su questo luogo di grande battaglia per la libertà e per la giustizia, affinché le parole della liturgia odierna si incarnino nella vita.

Preghiamo Dio che è Padre degli uomini e dei popoli, così come prega oggi il profeta: “perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri... egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra...” (Is 2,3-4).

Preghiamo così, tenendo presente che non si tratta più di spade o di lance, ma delle armi nucleari; dei mezzi di distruzione, che sono capaci di ridurre al nulla la terra abitata dagli uomini.

Ricordiamo anche che a Montecassino, Papa Paolo VI ha proclamato, nel 1964, durante il Concilio Vaticano II, San Benedetto Patrono dell’Europa, facendo riferimento alle millenarie tradizioni benedettine di lavoro, di preghiera e di cultura frutto della pace e della riconciliazione.

Ricordiamo, infine, che il luogo sul quale ci troviamo è stato reso fertile dal sangue di tanti eroi: dinanzi alla loro morte per la grande causa della libertà e della pace siamo venuti a chinare, ancora una volta, il capo.

5. Cari Connazionali!

È insolito questo momento, in cui posso insieme con voi partecipare a questo grande anniversario. Trentacinque anni fa è terminata la battaglia di Monte Cassino, una di quelle che ha deciso le sorti dell’ultima guerra. Per noi, che allora, nel 1944, abbiamo vissuto la terribile oppressione dell’occupazione, per la Polonia, che si trovava alla vigilia dell’insurrezione di Varsavia, questa battaglia fu una nuova conferma di quella incrollabile volontà di vita, della tensione alla piena indipendenza della Patria, che non ci lasciarono mai nemmeno un istante. A Monte Cassino combatté il soldato polacco, qui morì, qui versò il suo sangue, col pensiero fisso alla Patria, che per noi è una Madre così amata, proprio perché l’amore ad essa esige così tanti sacrifici e rinunce.

Non è mio compito pronunciarmi sul tema del significato di questa battaglia, sul tema dei successi del soldato polacco qui, in questi rocciosi pendii. Gli abitanti di questo bel paese, l’Italia, ricordano che il soldato polacco ha portato alla loro patria la liberazione. Lo ricordano con stima e con amore. Noi sappiamo che questo soldato, per tornare in Polonia, ha percorso una strada lunga e tortuosa: “dalla terra italiana alla Polonia...” come un tempo le legioni di Dabrowski. Lo ha guidato la consapevolezza di una giusta causa. Proprio per tale giusta causa, sorse e non cessa di esistere il diritto della nazione all’esistenza, all’indipendenza, a una vita sociale che rispetti lo spirito delle proprie convinzioni, delle tradizioni nazionali e religiose, alla sovranità del proprio stato. Questo diritto della nazione, violato nel corso di più di cento anni di smembramenti, è stato brutalmente violato e minacciato di nuovo nel settembre del 1939. Ed ecco, durante questo tempo, dal 1 settembre fino a Monte Cassino, questo soldato ha percorso tante strade, con lo sguardo fisso nella Provvidenza di Dio e nella giustizia della storia, con l’immagine della Madre di Jasna Gora negli occhi... è venuto e di nuovo ha combattuto come la precedente generazione “per la libertà nostra e vostra”.

6. Oggi, stando qui in questo posto, a Monte Cassino, desidero essere servo e araldo di questo ordine della vita umana, sociale, internazionale, che si costruisce sulla giustizia e sull’amore: secondo le indicazioni del Vangelo di Cristo. E proprio per questo sento insieme a voi – soprattutto a voi tutti che avete combattuto qui 35 anni fa – l’eloquenza morale di questa lotta. La sento insieme a voi, cari Connazionali, e nello stesso tempo insieme a tutti coloro che qui riposano: i vostri compagni d’armi. Insieme a tutti, cominciando dal Comandante Supremo e dal Vescovo Militare. Tutti, fino al più giovane soldato semplice.

Molte volte sono venuto in questo cimitero. Ho letto le scritte sulle lapidi, che danno testimonianza a ciascuno di coloro che qui sono caduti, e indicano il giorno e il luogo della loro nascita. Queste iscrizioni hanno riverberato negli occhi della mia anima l’immagine della Patria, di quella in cui sono nato. Queste scritte, di tanti posti della terra polacca – da tutte le parti, dall’est all’ovest e dal sud al nord – non cessano di gridare qui, nel cuore stesso dell’Europa, ai piedi dell’abbazia che ricorda i tempi di San Benedetto, non cessano di gridare, così come hanno gridato i cuori dei soldati che qui combatterono: “O Dio, che hai protetto la Polonia, per così numerosi secoli...”.

Chiniamo la fronte davanti agli eroi.

Raccomandiamo le loro anime a Dio.

Raccomandiamo a Dio la Patria. La Polonia, l’Europa, i Mondo.

[Papa  Giovanni Paolo II, cimitero polacco di Montecassino 18 maggio 1979]

Domenica, 08 Giugno 2025 04:13

Rivoluzione cristiana

Nel Vangelo di questa domenica (Mt 5,38-48) – una di quelle pagine che meglio esprimono la “rivoluzione” cristiana – Gesù mostra la via della vera giustizia mediante la legge dell’amore che supera quella del taglione, cioè «occhio per occhio e dente per dente». Questa antica regola imponeva di infliggere ai trasgressori pene equivalenti ai danni arrecati: la morte a chi aveva ucciso, l’amputazione a chi aveva ferito qualcuno, e così via. Gesù non chiede ai suoi discepoli di subire il male, anzi, chiede di reagire, però non con un altro male, ma con il bene. Solo così si spezza la catena del male: un male porta un altro male, un altro porta un altro male… Si spezza questa catena di male, e cambiano veramente le cose. Il male infatti è un “vuoto”, un vuoto di bene, e un vuoto non si può riempire con un altro vuoto, ma solo con un “pieno”, cioè con il bene. La rappresaglia non porta mai alla risoluzione dei conflitti. ”Tu me l’hai fatta, io te la farò”: questo mai risolve un conflitto, e neppure è cristiano.

Per Gesù il rifiuto della violenza può comportare anche la rinuncia ad un legittimo diritto; e ne dà alcuni esempi: porgere l’altra guancia, cedere il proprio vestito o il proprio denaro, accettare altri sacrifici (cfr vv. 39-42). Ma questa rinuncia non vuol dire che le esigenze della giustizia vengano ignorate o contraddette; no, al contrario, l’amore cristiano, che si manifesta in modo speciale nella misericordia, rappresenta una realizzazione superiore della giustizia. Quello che Gesù ci vuole insegnare è la netta distinzione che dobbiamo fare tra la giustizia e la vendetta. Distinguere tra giustizia e vendetta. La vendetta non è mai giusta. Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell’odio e della violenza.

Gesù non vuole proporre un nuovo ordinamento civile, ma piuttosto il comandamento dell’amore del prossimo, che comprende anche l’amore per i nemici: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (v. 44). E questo non è facile. Questa parola non va intesa come approvazione del male compiuto dal nemico, ma come invito a una prospettiva superiore, a una prospettiva magnanima, simile a quella del Padre celeste, il quale - dice Gesù - «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (v. 45). Anche il nemico, infatti, è una persona umana, creata come tale a immagine di Dio, sebbene al presente questa immagine sia offuscata da una condotta indegna.

Quando parliamo di “nemici” non dobbiamo pensare a chissà quali persone diverse e lontane da noi; parliamo anche di noi stessi, che possiamo entrare in conflitto con il nostro prossimo, a volte con i nostri familiari. Quante inimicizie nelle famiglie, quante! Pensiamo a questo. Nemici sono anche coloro che parlano male di noi, che ci calunniano e ci fanno dei torti. E non è facile digerire questo. A tutti costoro siamo chiamati a rispondere con il bene, che ha anch’esso le sue strategie, ispirate dall’amore.

La Vergine Maria ci aiuti a seguire Gesù su questa strada esigente, che davvero esalta la dignità umana e ci fa vivere da figli del nostro Padre che è nei cieli. Ci aiuti a praticare la pazienza, il dialogo, il perdono, e ad essere così artigiani di comunione, artigiani di fraternità nella nostra vita quotidiana, soprattutto nella nostra famiglia.

[Papa Francesco, Angelus 19 febbraio 2017]

Nella società odierna i fattori che procurano affanno e inquietudine sono molteplici e sovente le strategie per combatterle sono più difficili da trovare. 

Questo tempo caratterizza il  “barcollare” di valori fondamentali, di norme, di aspirazioni, che spingevano l’uomo verso la sua realizzazione, verso una sana relazione con gli altri.

Le attuali guerre nel mondo, il ricordo di esse per i meno giovani, le minacce atomiche, si aggiungono alla lista.

In un clima  così ostile l’isolamento dell’uomo si accentua.

Ogni persona  ha il proprio modo di reagire: quello più usuale è un senso di disagio, di ansietà, di sentirsi in pericolo senza sapere quale esso sia; di rovina, o altro.

Sovente ci sfugge la causa di tutto questo. La persona si sente disarmata, e se questa inquietudine è forte, può essere scaricata sul corpo.

Si noterà una rigidità muscolare, o possono essere presenti tremori, un sentirsi deboli, stanchi; anche la voce può tremare.

A livello cardio-circolatorio possono manifestarsi palpitazioni, svenimenti, aumento del battito cardiaco, aumento della pressione. 

Anche a  livello dell’intestino possono manifestarsi nausee, vomiti, mal di pancia - che non hanno origine organica. 

Vi possono essere anche altre manifestazioni tipiche della storia di ogni persona, e non c’è organo su cui non può essere scaricata la tensione interna.

Ricordo che nella mia attività  professionale ho incontrato soggetti con problematiche psicologiche “scaricate” in diverse parti del corpo; a volte, le più impensabili.

Mi sono ritrovato di fronte alopecie (perdita di capelli), arti bloccati, disturbi della vista, svenimenti, e negli ultimi tempi adolescenti che si tagliavano…

Se la persona si sente sopraffare da un’onda anomala di malessere interiore, può reagire in maniera inadeguata o addirittura pericolosa (alcol, droghe, corse in auto, gioco d’azzardo, ecc.).

La comprensione di queste agitazioni, preoccupazioni, ansie, è importante per stabilire quando esse sono nella norma o meno.

Gli stati di ansia non comuni si distinguono da una apprensione più o meno persistente, con crisi acute.

Questi stati sono da distinguersi dallo stato di preoccupazione diffusa che troviamo come usuale nella nostra vita quotidiana.

Ricordiamoci che per definire la nostra ansia, agitazione, dobbiamo convincerci che essa è qualcosa di normale quando l’individuo si sente minacciato.

L’agitazione va distinta dalla paura, dove il pericolo è reale: l’individuo può valutare la situazione e scegliere se affrontarla, o fuggire.

Quando parliamo di agitazione nella norma, vogliamo dire che è nella natura umana provarla di fronte ad un pericolo, a una malattia, etc.

Rappresenta il modo di vivere più profondo della nostra esistenza umana,

Ci fa trovare dinanzi ai nostri limiti, alle nostre debolezze, che non sono  manifestazioni del malessere interiore o di malattia, ma espressioni della natura umana. 

Più siamo coscienti dei nostri limiti, più riusciamo a vivere con le nostre ansie.

Per i nostri simili che si sentono onnipotenti l’agitazione, l’ansia, risultano insopportabili, poiché vengono alla coscienza i limiti che sono una ferita al proprio “sentirsi una creatura superiore”. 

Sperimentiamo una normale inquietudine anche quando lasciamo una “strada vecchia per una nuova”.

Sotto questo punto di vista essa ci accompagna nei nostri cambiamenti, nella nostra evoluzione, e nel trovare un significato nella nostra vita.

 

Dott Francesco Giovannozzi  psicologo-psicoterapeuta

Ss. Trinità

Pr 8,22-31; Rom 5,1-5; Gv 16,12-15 (anno C)

 

La Scrittura attesta che il Signore procede col suo popolo e si manifesta nella storia, ma non è legato a un territorio o alture particolari, bensì alla donna e all’uomo.

L’Eterno è «Dio di Abramo e di Isacco e di Giacobbe» (Mt 22,32; Mc 12,26; Lc 20,37; cf. Es 3,6).

Egli è «Colui che sarà» [Es 3,14 testo ebraico] ossia: nello svolgersi degli eventi le persone fanno esperienza essenziale del Vivente come Liberatore, e Sposo [cf. l’oscillante vicenda affettiva di Osea].

Ma nella pienezza del suo cuore, unicamente Gesù lo manifesta - ancora nella Prima Alleanza confuso con un legislatore arcigno, notaio, giudice che interviene per tagliare o distinguere, poi attende per la resa dei conti.

L’Onnipotente sogna di trasmettere vita e creare Famiglia, non dividere amici incontaminati da nemici impuri, o capaci e incapaci.

Tale diventa l’intima espressione della donna e dell’uomo autentici; cifra dell’identità della Chiesa che non si pronuncia al minimo.

Carta d’identità dei figli è la fede in un Dio che crea, fa Alleanza, è vicino, redime, consente la fioritura in qualsiasi accadimento o età.

 

La prima Lettura mette in luce il Progetto del Padre, il quale dispiega il suo essere mentre viene assistito dalla deliziosa figura della Sapienza.

La Creazione riflette il proponimento d’amore divino, che si manifesta nell’incanto d’un passeggiare gioioso con noi.

Egli desidera rimanere sulla terra, senza condizioni.

Sua Beatitudine? La stessa nostra; di ogni creatura, che ama fiorire malgrado i conflitti.

Ciò appunto - se il figlio pur malfermo  non si sente frutto del caso, anzi coglie gli attimi di confusione della vita come fossero quelli d’un cantiere [perché il Disegno sa dove andare].

Disordine, materiali accatastati, scompiglio, inediti a ogni pie’ sospinto; ma non ci si perde: dentro l'anima c’è l’immagine-prototipo di un ‘programma’ che consente tentativi ed errori, anzi fa leva su di essi.

È un Progetto che recupera tutte le energie sparse e i sentieri interrotti, creando varietà impensabili, quindi essenze svariate. Come farebbe un Genitore che si compiace della ricca prole, delle differenti opere dei suoi intimi nei più svariati campi, manifestate in mille sfaccettature.

 

Se il Progetto che guida è del Creatore, la vetta e l’Opera sono del Figlio.

La seconda Lettura fa comprendere che il Padre non ha considerato conclusa la sua attività concedendo il semplice input all’essere e alle essenze - abbandonando poi la realtà e gli uomini; e ritirandosi lassù.

Per Grazia, nella Fede siamo partecipi di Dio, abbiamo accesso diretto alla sua azione indipendente, a Lui stesso (Rm 5,2).

La Persona e vicenda di Gesù narrano di un Regno nel quale non si teme che la santità sia messa in pericolo dal contatto col mondo.

C’è un solo problema che taglia il Dialogo con l’Altissimo (v.3): credere che il nostro vanto sia di genere ovvio.

Di fronte ai nostri simili ci gloriamo di traguardi, ruoli, titoli e successi [capita anche nel cammino di perfezione religiosa]. Ma il Figlio annuncia che il Padre è solo Comprensione immeritata. 

Impariamo finalmente che l’ossessione di farsi ammirare dall’esterno - e il piacere dell’approvazione a ogni costo - non sono affatto “laVia.

Infatti la vera Scia - l’Opera genuina - è unicamente del Figlio, il quale avendo corrisposto sino in fondo all’iniziativa di Dio Padre, Giustifica.

L’Amico interiore poi non ci ‘rende giusti’ rivestendoci esteriormente e in modo puntuale, bensì in un processo esistenziale, che sposta gli equilibri (vv.3-4).

Il Signore opera nell’intimo tramite l’esperienza. Lo fa anche assediando “l’altro” noi-stessi che abbiamo messo da parte.

In tal guisa modificando il cuore rattrappito e migliorandoci con la sua Amicizia appassionata, riproposta in nuove opportunità di vita.

 

Il Vangelo fa appello al senso misterioso, incognito, del Dono totale di sé.

Non è semplice sostenerne il «peso» [Gv 16,12: allude alla Croce] né coglierne i risvolti e immaginarne la paradossale Fecondità.

Lo Sviluppo che ne sgorga è l’empatia, il portato, l’azione dello Spirito.

Gesto dispiegato che interiorizza questa proposta non solo stranissima, ma assurda: quella del trionfo nella perdita, e persino della Vita dalla morte.

Lo sperimentiamo in atto: nei recuperi inspiegabili che rendono gloria a Dio (v.14) [ossia rinnovano i rapporti] e rimettono in piedi persone che neppure hanno stima di sé.

Solo in questo modo si attua il Disegno di Salvezza.

Uscendo dall’ombra altrui, l’opportunista diventa giusto, il dubbioso più sicuro, l’infelice riprende a sperare; tutti possono vivere felicemente.

La Diversità accettata diventa impulso all’arricchimento e matrice di sviluppo.

L’identificazione sociale non c’entra più. In noi c’è altro.

 

Egli stesso è «Colui che sarà»: via le zavorre, il Meglio deve ancora Venire. Motivo per non scappare più dai grandi Desideri.

 

 

[Ss.Trinità, 15 giugno 2025]

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If penance today moves from the material to the spiritual side, let's say, from the body to the soul, from the outside to the inside, it is no less necessary and less feasible (Pope Paul VI)
Se la penitenza si sposta oggi dalla parte, diciamo, materiale a quella spirituale, dal corpo all’anima, dall’esterno all’interno, non è meno necessaria e meno attuabile (Papa Paolo VI)
“Love is an excellent thing”, we read in the book the Imitation of Christ. “It makes every difficulty easy, and bears all wrongs with equanimity…. Love tends upward; it will not be held down by anything low… love is born of God and cannot rest except in God” (III, V, 3) [Pope Benedict]
«Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3) [Papa Benedetto]
For Christians, non-violence is not merely tactical behaviour but a person's way of being (Pope Benedict)
La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere (Papa Benedetto)
But the mystery of the Trinity also speaks to us of ourselves, of our relationship with the Father, the Son and the Holy Spirit (Pope Francis)
Ma il mistero della Trinità ci parla anche di noi, del nostro rapporto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (Papa Francesco)
Jesus contrasts the ancient prohibition of perjury with that of not swearing at all (Matthew 5: 33-38), and the reason that emerges quite clearly is still founded in love: one must not be incredulous or distrustful of one's neighbour when he is habitually frank and loyal, and rather one must on the one hand and on the other follow this fundamental law of speech and action: "Let your language be yes if it is yes; no if it is no. The more is from the evil one" (Mt 5:37) [John Paul II]
Gesù contrappone all’antico divieto di spergiurare, quello di non giurare affatto (Mt 5, 33-38), e la ragione che emerge abbastanza chiaramente è ancora fondata nell’amore: non si deve essere increduli o diffidenti col prossimo, quando è abitualmente schietto e leale, e piuttosto occorre da una parte e dall’altra seguire questa legge fondamentale del parlare e dell’agire: “Il vostro linguaggio sia sì, se è sì; no, se è no. Il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37) [Giovanni Paolo II]
And one thing is the woman before Jesus, another thing is the woman after Jesus. Jesus dignifies the woman and puts her on the same level as the man because he takes that first word of the Creator, both are “God’s image and likeness”, both; not first the man and then a little lower the woman, no, both. And the man without the woman next to him - both as mother, as sister, as bride, as work partner, as friend - that man alone is not the image of God (Pope Francis)
E una cosa è la donna prima di Gesù, un’altra cosa è la donna dopo Gesù. Gesù dignifica la donna e la mette allo stesso livello dell’uomo perché prende quella prima parola del Creatore, tutti e due sono “immagine e somiglianza di Dio”, tutti e due; non prima l’uomo e poi un pochino più in basso la donna, no, tutti e due. E l’uomo senza la donna accanto – sia come mamma, come sorella, come sposa, come compagna di lavoro, come amica – quell’uomo solo non è immagine di Dio (Papa Francesco)
Only one creature has already scaled the mountain peak: the Virgin Mary. Through her union with Jesus, her righteousness was perfect: for this reason we invoke her as Speculum iustitiae. Let us entrust ourselves to her so that she may guide our steps in fidelity to Christ’s Law (Pope Benedict)

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