La reputazione: crocevia della Croce
(Mt 16,24-28)
Smarrire la vita o perderla? Salvarla o trovarla? Cristo desidera condurci nella Patria che ci corrisponde profondamente.
Lo propone condividendo l’andare pellegrino, in esplorazione; insieme a Lui e ai fratelli.
Nel procedere, ciò che facciamo è motivato dalla ricerca di pienezza di essere e felicità - anche il rischio.
Ci siamo appassionati al cammino nello Spirito per lo stesso motivo: avere un incremento di vita.
Ma nella proposta del Maestro cogliamo una logica sconcertante.
Per porsi al riparo da vane illusioni (che degradano) non bisogna precipitarsi ad agguantare ruoli prestigiosi, beni, relazioni che contano.
Le cose più attraenti e vistose, permangono esterne e infeconde. Non rigenerano.
Invece… attesa, ascolto, esercizio di virtù passive, amarezza e sconfitta, chiamano a rientrare in noi stessi.
Lo smacco è un appello che sta preparando gli sviluppi futuri più pertinenti e fondati, proprio a favore di un’esistenza piena.
Certo, chi non s’inserisce nella fretta dei titoli e nella commedia dei cerimoniali di società affine, può subire immediatamente il peggio. Ma è meglio questo che perdere qualità e fecondità di vita, disperdendole nell’equivoco.
Spesso il nostro “lasciare tutto” per la sequela di Cristo è anch’esso per un guadagno atteso e sperato. Persino “buono”: immediatamente relazionale, qualitativo, e culturale, ad es.
[Le guide ci parlavano in tal senso di vizio di “gola spirituale”: il fine è apprendere cose interessanti, avere buone e corpose compagnie, accrescere conoscenze, trovare modi anche fondati per farsi lodare, etc].
Il punto è che la ricaduta positiva immaginata, si configura sempre secondo antichi propositi. Infine per imporsi, brillare e comandare; non per “perdere”.
Non per “cedere”. Non per far sì che altre energie e orizzonti si introducano nelle situazioni, e affiorino - paradossali - in noi.
Su questo terreno poco appetibile - ma che in Cristo diverrà eccessivo di grazia, fecondo, intimamente educativo - anche coloro che non temono sacrifici possono oscillare, perché la Via del Crocifisso sembra condurci subito ai motteggi, al fallimento.
Emerge però il motivo profondo e in apparenza assurdo, del nuovo Magistero; senza retropensieri.
Il confronto con la Parola aiuta sempre più a renderci conto che è necessario introdurre nell’anima di ciascuno un nuovo profilo di riferimento: personale, sociale, comunitario.
L’antico contesto sicuro e trionfale ha contribuito ad edificare una impalcatura impressionante, ma che stride con il senso del Lieto Annunzio di Salvezza.
La vita da salvati è per tutti. Una Proclamazione trasparente, ormai: di smisurate Beatitudini in favore dei miti, umiliati e trascurati, bisognosi di tutto.
Anche per Gesù l'evangelizzazione degli Apostoli e dei “vicini” - tutti intenti ad ammorbidire e attenuare i suoi Sogni immoderati - non è stato un gioco da ragazzi.
Proprio come il Signore, anche oggi i veri Annunciatori devono già mettere in conto afflizioni, e trappole, spallate, beffe, derisioni (le più sorprendenti).
Ma non si molla, anche perché è comprensibile l’imbarazzo di coloro che d’improvviso si vedono introdotti non in un cammino trionfale. Non su un sentiero mozzafiato, punteggiato di approdi onorevoli ed esaltanti.
Piuttosto, di verità e dono di sé dismesso e reietto - non più edulcorante, né epidermico, o di contrabbando.
Lo si può tollerare, in fondo, con senso di realismo; come ha fatto Gesù con il suo Pietro. Insomma, anche questo filone potrà far parte del nuovo equilibrio che lo Spirito sta edificando.
Sì, l’aspetto istituzionale e compromissorio [“petrino”] vuole spesso prendere l’iniziativa ed esorcizzare il Richiamo di Gesù; metterlo a tacere, in favore dell’esibizione dei suoi superpoteri.
Eppure il Maestro non si fa prendere in ostaggio - anzi è Lui che ha collocato il capo dei discepolo al suo posto (vv.22-23).
La croce era pena di morte e onta perenne riservata agli schiavi ribelli; banditi, sovversivi, disadattati che rifiutavano la loro posizione di emarginazione civile.
Questa è tutta la partita: accettare di sollevare il braccio orizzontale del pubblico patibolo dietro a Gesù significa ancora oggi dimenticare la “reputazione”, essere svergognato.
Non per ascesi, né perfezionismo particolare alcuno.
Impoverire di beni superflui, perdere prestigio e ruoli, essere svergognato, lasciare che siano gli altri a passare avanti [anche per manipolarci: ché prima o poi si rendano conto].
Affinché si lasci il tempo alla Provvidenza di prepararci.
La vita che viene farà appello ad altre energie, disporrà accadimenti in modo più misterioso che ovvio.
Metterà in gioco virtù personali e sociali difformi - confluenti - cosmiche e intimamente umanizzanti; acutamente fascinose e sorgive.
Lo stiamo vivendo nel tempo della crisi e del travaglio, per una “rinascita” che vuole altri primordi; che pare non abbia voglia alcuna di ri-conformarsi all’età trascorsa.
Infatti, nella bufera, la passione d’amore ha i suoi stadi preparatori, di più alta portata, i quali presto o tardi faranno emergere consapevolezze autentiche eminenti. E lo spirito fraterno annidato nell’anima di tutti.
La prospettiva è in tal senso personale, ma non individualistica, bensì quella del «Figlio dell’uomo»: Colui che lascia intuire il portato umano, accessibile e divinizzante.
Però bisogna accorgersene: aiutiamoci a coglierlo Presente (vv.27-28)!
Infatti, nei Vangeli «Figlio di Dio» è Cristo che manifesta il Padre, svelando Dio nella condizione umana. «Figlio dell’uomo» è Gesù che manifesta l’uomo nella condizione divina.
«Figlio dell’uomo» è Colui che essendosi spinto al massimo dell’amore nella pienezza di Persona, giunge a riflettere la condizione divina, la mostra e irradia in contrassegni eminenti.
Lo fa senza prospettive anguste, tipiche delle religioni; senza neppure un retaggio d’idee “giuste” e invariabili, o forze di livello crescente e sempre performanti.
«Figlio dell’uomo» è il Figlio riuscito: la Persona dal passo definitivo.
Verbo fattosi fratello prossimo, che in noi aspira alla pienezza diffusa nella storia, a una caratura indistruttibile dentro ciascuno che accosta (e incontra cifre divine accorate, tratti sublimi di umanizzazione).
Rischiamo dunque di vivere “con” e “per” gli altri, tralasciando la ricerca della stima, e perdendo credito [non a tutti i costi lucrandolo].
Lo facciamo con piglio; abbracciati alla propria Chiamata individuante, sperimentando il Padre che provvede a noi.
In tal guisa, riusciremo a sollevare positivamente la Croce fiorita, che feconda l’anima e il mondo attorno.
Esperienza dalla quale non si esce più - tanto è sublime e dai traguardi sterminati, impossibili da immaginare e proporsi, per via di sterile “natura”.
Su tale raggio di luce e con nuovo Nome, anche nei grandi disagi del nostro tempo saremo come l’Amico-Guida: genuini, non omologati; sdraiati sul nucleo dell’essere, ma ritti su strade inesplorate.
Simultaneamente impegnati e sereni. Meno banali, per contatto personale.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
In che senso hai fatto esperienza di vita guadagnata, dopo averla “persa”? Contattando quali energie sopite? Su quali strade inesplorate?